La campagna elettorale spagnola sta prendendo toni che non potrei definire altrimenti se non italiani. Un fuorionda di Zapatero, che al giornalista di rete Cuatro sussurra, a fine intervista e a microfoni presumibilmente chiusi, "al PSOE conviene un po' di tensione" scatena i Popolari di Mariano Rajoy che accusano il premier "incumbent" di voler esasperare il dibatitto. Non che Rajoy stia parlando all'insegna dell'understatement, anche se devo ammettere che le magliette della campagna AdioZ (Adios a Zapatero) sono una trovata simpatica.
Chi decisamente non parla all'insegna dell'understatement è l'ineffabile Federico, anchorman radiofonico della COPE, la catena dell'episcopato spagnolo. RP aveva già parlato di Federico Jiménez Losantos, dopo uno splendido reportage di Concita De Gregorio su Repubblica. Lo si potrebbe definire un Giuliano Ferrara castigliano, con qualche differenza importante. Federico non è stato un funzionario politico comunista, come Giuliano, ma un giovane attivista maoista nella Barcellona di Franco. E invece della televisione un po' paludata, falsamente britannica di Giuliano, Federico è uno che preferisce scatenarsi, in stile volutamente iberico e taurino, dai microfoni delle radio, dai giornali e dal suo sito Libertad Digital (il filmato YouTube che ho riportato qui sopra viene proprio da lì). Dopo una visita in Cina, una repentina conversione lo ha portato su posizioni ultraliberiste. E non ce n'è davvero per nessuno. Se andate sul sito della sua trasmissione mattutina alla COPE, La Mañana, fate attenzione: il vetriolo di Federico a volte suona addirittura troppo forte, anche per orecchie abituate agli Sgarbi nostrani.
Mentre ero in aeroporto a Barça ho visto in libreria l'ultima fatica di Losantos dopo quello, di un paio d'anni fa, dedicato alla storia di Cadena COPE (De la noche a la mañana, El milagro de la COPE). Con La ciudad que fue. Barcelona Años 70, Federico ha deciso di raccontare la sua gioventù nella Barcellona degli ultimi anni del franchismo, dove migliaia di ragazzi spagnoli cercavano di dare il loro contributo alla rinascita della Spagna. A quell'esperienza si ricollega l'attuale antinazionalismo del commentatore di oggi, palesemente contrario alle vulgate autonomiste catalane e basche.
Sfogliando il libro, pieno tra l'altro di foto molto suggestive dal personale archivio dell'autore, avevo in tasca un ritaglio del Pais su un'altra storia che riguarda lo scatenato locutor, che evidentemente prova gusto a essere contro tutti, compresi gli alti esponenti di quella che dovrebbe essere la sua stessa parte politica. A fine maggio, dopo le elezioni, il tribunale di Madrid celebrerà il processo della causa di diffamazione che il sindaco della capitale Alberto Ruiz-Gallardón ha intentato contro Losantos. Ruiz-Gallardón è uno degli esponenti più autorevoli del PP e lo scorso gennaio ci sono state molte polemiche interne quando il sindaco, che aveva ipotizzato una candidatura alle elezioni, era stato escluso dalle liste (il Partito Popolare ha una regola per cui i sindaci delle grandi città non possono diventare deputati). Gallardón ha addirittura annunciato l'intenzione di ritirarsi dalla politica, a soli cinquant'anni e con un grosso seguito tra l'elettorato moderato (anche se ha sposato la figlia di un ex ministro di Franco).
Lo scontro con Losantos risale all'estate del 2006, quando dai microfoni della COPE Federico aveva attaccato il sindaco con toni ed espressioni da squadrista, accusandolo di aver ignorato, per mera convenienza politica, le istanze di chi voleva "far luce" sull'attentato dell'11 marzo 2004. Tra le frasi ingiuriose che Losantos aveva proferito ce n'era una particolarmente sarcastica: te ne freghi, sindachetto, te ne freghi, a te basta arrivare al potere. Sea lo que sea. Non ci sarebbe nulla di eccezionale in questo risvolto giudiziario, se Losantos non avesse chiamato a testimoniare per la difesa tre altri personaggi di spicco del PP, inclusa l'aggressiva presidentessa della Comunidad madrilena, Esperanza Aguirre. E' un po' come se io chiamassi Casini e Fini a difendermi da una accusa di diffamazione intententami da Berlusconi. Una parte importante del PP dovrebbe salire sul banco dei testimoni e controaccusare un esponente del proprio partito. A quanto leggo su El Pais, la questione è complicata anche dal punto di vista giuridico, perché i testimoni, in quanto rappresentanti pubblici, potrebbero avvalersi di una forma di immunità su questioni che non siano riferibili al loro mandato. E' palese comunque, la volontà di mettere in risalto le differenze interne al partito moderato spagnolo, considerando che Gallardón appartiene a un'ala meno estremista. Intanto, Federico non smette di tuonare contro Zapatero. Il suo intervento di stamattina da Alicante era particolarmente brillante contro el aventurero monclovita, el embustero (bugiardo) patologico quello que tiene una sonrisa como la niña del Exorcista. Dai microfoni di una stazione ascoltata da decine di milioni di spagnoli, dall'alto dei suoi libri in cima alle classifiche di vendita del Corte Ingles, Federico pontifica sulle definizioni di dittatura come "governo che aggredisce l'opposizione e i mezzi di comunicazione", e di democrazia come "opposizione e mezzi di comunicazione che aggrediscono il governo", facendo passare il solito ritornello di una sinistra come oscuro regime antidemocratico, istruendo i soliti processi alle intenzioni. Gli eterni trucchetti da partigiano di una poltica che evidentemente, ovunque spiri il vento, è sempre a corto di argomenti (e infatti tutti i commentatori dei giornali che ho letto in questi giorni in Spagna affermano di non poterne più di un clima elettorale che invita la gente a votare contro qualcuno, mai a favore di qualcosa).
Una cosa è sicura. Da noi sarebbe impensabile che un risultato elettorale potesse essere influenzato dagli opinionisti radiofonici. E questo la dice lunga sulle abissali differenze rispetto a una nazione tutto sommato normale come la Spagna, dove la politica non viene scientificamente costruita per "bucare" lo strafottuto schermo.
Mentre ero in aeroporto a Barça ho visto in libreria l'ultima fatica di Losantos dopo quello, di un paio d'anni fa, dedicato alla storia di Cadena COPE (De la noche a la mañana, El milagro de la COPE). Con La ciudad que fue. Barcelona Años 70, Federico ha deciso di raccontare la sua gioventù nella Barcellona degli ultimi anni del franchismo, dove migliaia di ragazzi spagnoli cercavano di dare il loro contributo alla rinascita della Spagna. A quell'esperienza si ricollega l'attuale antinazionalismo del commentatore di oggi, palesemente contrario alle vulgate autonomiste catalane e basche.
Sfogliando il libro, pieno tra l'altro di foto molto suggestive dal personale archivio dell'autore, avevo in tasca un ritaglio del Pais su un'altra storia che riguarda lo scatenato locutor, che evidentemente prova gusto a essere contro tutti, compresi gli alti esponenti di quella che dovrebbe essere la sua stessa parte politica. A fine maggio, dopo le elezioni, il tribunale di Madrid celebrerà il processo della causa di diffamazione che il sindaco della capitale Alberto Ruiz-Gallardón ha intentato contro Losantos. Ruiz-Gallardón è uno degli esponenti più autorevoli del PP e lo scorso gennaio ci sono state molte polemiche interne quando il sindaco, che aveva ipotizzato una candidatura alle elezioni, era stato escluso dalle liste (il Partito Popolare ha una regola per cui i sindaci delle grandi città non possono diventare deputati). Gallardón ha addirittura annunciato l'intenzione di ritirarsi dalla politica, a soli cinquant'anni e con un grosso seguito tra l'elettorato moderato (anche se ha sposato la figlia di un ex ministro di Franco).
Lo scontro con Losantos risale all'estate del 2006, quando dai microfoni della COPE Federico aveva attaccato il sindaco con toni ed espressioni da squadrista, accusandolo di aver ignorato, per mera convenienza politica, le istanze di chi voleva "far luce" sull'attentato dell'11 marzo 2004. Tra le frasi ingiuriose che Losantos aveva proferito ce n'era una particolarmente sarcastica: te ne freghi, sindachetto, te ne freghi, a te basta arrivare al potere. Sea lo que sea. Non ci sarebbe nulla di eccezionale in questo risvolto giudiziario, se Losantos non avesse chiamato a testimoniare per la difesa tre altri personaggi di spicco del PP, inclusa l'aggressiva presidentessa della Comunidad madrilena, Esperanza Aguirre. E' un po' come se io chiamassi Casini e Fini a difendermi da una accusa di diffamazione intententami da Berlusconi. Una parte importante del PP dovrebbe salire sul banco dei testimoni e controaccusare un esponente del proprio partito. A quanto leggo su El Pais, la questione è complicata anche dal punto di vista giuridico, perché i testimoni, in quanto rappresentanti pubblici, potrebbero avvalersi di una forma di immunità su questioni che non siano riferibili al loro mandato. E' palese comunque, la volontà di mettere in risalto le differenze interne al partito moderato spagnolo, considerando che Gallardón appartiene a un'ala meno estremista. Intanto, Federico non smette di tuonare contro Zapatero. Il suo intervento di stamattina da Alicante era particolarmente brillante contro el aventurero monclovita, el embustero (bugiardo) patologico quello que tiene una sonrisa como la niña del Exorcista. Dai microfoni di una stazione ascoltata da decine di milioni di spagnoli, dall'alto dei suoi libri in cima alle classifiche di vendita del Corte Ingles, Federico pontifica sulle definizioni di dittatura come "governo che aggredisce l'opposizione e i mezzi di comunicazione", e di democrazia come "opposizione e mezzi di comunicazione che aggrediscono il governo", facendo passare il solito ritornello di una sinistra come oscuro regime antidemocratico, istruendo i soliti processi alle intenzioni. Gli eterni trucchetti da partigiano di una poltica che evidentemente, ovunque spiri il vento, è sempre a corto di argomenti (e infatti tutti i commentatori dei giornali che ho letto in questi giorni in Spagna affermano di non poterne più di un clima elettorale che invita la gente a votare contro qualcuno, mai a favore di qualcosa).
Una cosa è sicura. Da noi sarebbe impensabile che un risultato elettorale potesse essere influenzato dagli opinionisti radiofonici. E questo la dice lunga sulle abissali differenze rispetto a una nazione tutto sommato normale come la Spagna, dove la politica non viene scientificamente costruita per "bucare" lo strafottuto schermo.
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