Ascolto, linguaggi, tecnologie, storia, geopolitica, cultura della radio: emittenti locali, internazionali e pirata • Web radio • radio digitale • streaming music • ham radio • software defined and cognitive radio • radiocomunicazioni • regolamentazione
Torna a far parlare di sé HackingTeam, la società italiana specializzata in software di sorveglianza, questa volta in relazione a un rapporto di Human Rights Watch sulle attività di spionaggio interno e esterno (rivolto cioè alla diaspora degli oppositori al governo) condotte dalle autorità dell'Etiopia. Nella corrispondenza del 25 marzo Martha van der Wolf della VOA scrive:
Felix Horne is the Horn of Africa researcher with the international human rights organization. He says the Ethiopian government has unlimited access to records of phone calls and emails of Ethiopians at home and abroad:
“Inside Ethiopia, its control of its Chinese developed telecom system results in having unfettered access to phone records and metadata of all phone calls in the country," he said. "Outside the country, they are using western-made technology to target the activities of very specific members of the diaspora. These technologies are being provided by a company in Italy, called HackingTeam and a company in Germany called Gamma.”
La notizia è stata trasmessa nel fine settimana nella abituale trasmissione VOA Radiogram, che utilizza in onde corte modalità radiotelex concepite per la comunità editoriale, riuscendo a trasmettere lunghi testi, grafici e persino fotografie a bassa risoluzione.
Per il comunicato relativo alla pubblicazione del rapporto di HRW cliccate qui. Ci sono molte notizie anche sull'uso della radio, sul jamming delle trasmissioni, sulla censura.
Un lungo articolo del New York Times racconta le numerose voci dell'opposizione al regime siriano che in questa lunga e disastrosa guerra civile informano e cercano di influenzare la popolazione, svolgendo spesso un prezioso ruolo di allerta in caso di bombardamenti e indisponibilità di servizi essenziali, interruzioni del traffico e così via. Il giornalista romano di origini siriane Fouad Roueiha ha compilato su Facebook una lista di una trentina di risorse che aggiornano continuamente la loro situazione sul social network, fornendo un quadro in tempo reale di una situazione che i media italiani, distratti da noiosissime vicende interne, ignorano colpevolmente.
Anche i gruppi di oppositori più strutturati cominciano a utilizzare i programmi radiofonici. Il MEMRI, istituto di studi mediorientali basato a Washington e accusato da parte araba di essere marcatamente filoisraeliano, segnala per esempio che trasmissioni a carattere religioso dell'ISIS (gruppo irakeno di matrice fondamentalista che sarebbe affiliato ad al-Qaeda) dalla località del nord ar-Raqqa. Tra pochissimo, verso le 11 su Radio 3 Mondo, Andrea Borgnino parlerà delle stazioni radio clandestine e pirata attive in Siria (puntata successivamente disponibile in podcast).
In aprile dovrebbe essere rilasciato il documentario di Yorgos Avgeropoulos "Agorà, dalla democrazia al mercato", sulla repentina chiusura di ERT, l'ente radiotelevisivo pubblico greco. Un primo estratto del film è stato pubblicato su Vimeo. ERT, che aveva trasmesso anche durante l'occupazione nazista, è stata chiusa dal governo greco nel giugno del 2013. Dopo mesi di occupazione la sede di Atene è stata sgomberata dalla polizia. Malgrado questo, alcune frequenze in onde medie (per la precisione 1512 kHz da Chania, 1404 kHz da Komotini e 1260 kHz da Rodi) e corte continuano a trasmettere in mano a ex dipendenti ERT, che diffondono anche uno stream televisivo sul sito ERTopen. Da poche settimane la nuova organizzazione nata dalle ceneri di ERT, EDT - Ellinikí Dimósia Tileórasi, ha iniziato a trasmettere su 729 kHz, sempre in onde medie.
Vicenda molto intricata in Romania dove la stampa riferisce che Radio Guerrilla, network progressista (almeno dal punto di vista musicale), dovrà cessare le trasmissioni in FM (credo una trentina di frequenze) per una violazione della legge che impedisce il trasferimento diretto di una licenza da un proprietario all'altro. Il titolare di Guerrilla, Realitatea Media, è in difficoltà economiche e l'azionista di riferimento, Cozmin Gusa - un laureato in fisica prestato al giornalismo e alla politica, ex deputato, fuoriuscito dal Partito Democratico per fondare una sua lista autonoma - sostiene di aver ceduto Guerrilla e il canale televiso The Money Channel rispettando la legge fallimentare rumena. Il problema, ha denunciato Gusa a Reporter Virtualaccusando esplicitamente la presidente dell'authority CNA Laura Georgescu (l'organo che ha deciso la sospensione) di atteggiamento ostile, è tutto politico. Dal canto loro, i dirigenti di Guerrilla hanno dichiarato sul loro profilo Facebook di essere intenzionati a proseguire li loro progetto editoriale. "Abbiamo rispettato la legge e rispetteremo la decisione del CNA, ma torneremo a chiedere una licenza", si legge sulla pagina. Una vicenda piuttosto intricata, anche perché il rumeno non è certo leggibile come una lingua latina e Google non riesce a tradurre tutte le sfumature. La cosa è curiosa perché Guerrilla, se non ricordo male, ha fatto parte del piccolo gruppo di emittenti che in Europa ha sperimentato il sistema di radio digitale HD Radio. Cercherò di approfondire.
Andrea Borgnino si sta per occupare su Radio Tre Mondo di due progetti di radiofonia indipendente lanciati nella Siria della guerra civile. Radio Rozana è la più recente ed è promossa da IMS International Media Support e trasmette via Internet e prossimamente via satellite da Parigi.
Radio Al-Kul, è invece basata a Instambul ma afferma di poter contare su diversi corrispondenti dall'interno della Siria. Realtà già più consolidata Radio Al-Kul (al-Kul significa "ciascuno, la gente) riesce a utilizzare alcuni ripetitori FM nelle città siriane. Secondo il network ebraico JN1 il responsabile della stazione si chiama Jaleel Taha. La tv libanese MTV afferma che l'emittente può contare anche su giovani insider del regime siriano. Al-Kul ha un sito Web molto ben fatto dove è possibile trovare l'archivio dei 14 programmi trasmessi. Tutti su Radio 3 Mondo tra pochi minuti e successivamente in podcast.
L'editore Rubbettino ha recentemente dato alle stampe un volume di Rocco Turi, giornalista e sociologo anche lui calabrese, intitolato "Vi racconto la falce e il martello". Nel libro - che non ho ancora tra le mani, anche se la curiosità è molta - Turi "ricostruisce la genesi politica e la storia del complotto internazionale che portò al rapimento dell’onorevole Aldo Moro, contestando le tesi “politicamente corrette” apparse fino ad ora in una miriade di pubblicazioni. Storia segreta del Pci è il libro più documentato, l’ultimo atto di una vicenda descritta attraverso migliaia di carte ufficiali del Governo italiano e attraverso il racconto di numerosi osservatori diretti e partecipanti, come i partigiani italiani fuggiti dal nostro Paese - residenti in Cecoslovacchia - e personalità della nostra ambasciata a Praga."
Turi è stato anche l'autore, per Marsilio, di "Gladio Rossa" e la tesi di fondo è che alcune delle vicende più dolorose dei nostri ultimi cinquant'anni, inclusa l'azione terroristica che portò al rapimento e all'uccisione di Aldo Moro, abbiano radici che portano diritto ai convulsi anni della guerra, in particolare all'esistenza di gruppi di combattendi comunisti "deviati" e a personaggi che in seguito erano riparati in esilio in Cecoslovacchia, senza però smettere di essere manovrati dalle forze politiche che hanno agito nel corso della cosiddetta Guerra Fredda.
Oggi, con mia sorpresa, ricevo la mail di Claudia Cipriani, regista di un documentario che nel 2009 ebbe una certa risonanza. Nel suo lavoro, "La guerra delle onde" la Cipriani racconta - guarda caso - la storia di Radio Oggi in Italia, emittente che trasmetteva dalla Cecoslovacchia ed era formalmente priva di legami con la radio propagandistica ufficiale Radio Praga. Oggi in Italia venne costituita nel 1950 proprio da un gruppo di comunisti italiani fuggiti a Praga alla fine della guerra e la storia dice che la redazione venne sciolta e i programmi chiusi a causa delle posizioni antisovietiche assunte nel periodo della Primavera del '68.
Avevo dedicato al documentario un post che ebbe un interessante seguito grazie ad alcuni lettori che, commentandolo, avevano voluto aggiungere nuovi particolari alla narrazione di una vicenda molto complesse. Anche senza tener conto dei lavori come quelli di Rocco Turi (e delle sue ipotesi su una storia giunta per l'Italia addirittura agli anni '90), gli avvenimenti legati a quel gruppo di transfughi dovevano necessariamente essere oscuri e per niente trionfalistici. Chi animava le trasmissioni di Oggi in Italia si portava dietro un carico di ideologie, scelte politiche e azioni molto criticabili e le motivazioni che portarono alla chiusura di quella esperienza - sempre ammesso che siano autentiche - non bastano a farci dimenticare tutta la violenza e la brutalità che hanno contraddistinto, non solo gli ultimi anni di guerra, ma anche il lungo periodo della contrapposizione tra occidente e blocco sovietico. Resta il fatto che "La guerra delle onde", basato com'è su una serie di testimonianze dirette, è un lavoro che - se solo fosse stato distribuito in Italia in modo abbastanza esaustivo - avrebbe meritato di essere visto e discusso, proprio perché si riferisce a un periodo storico su cui gli italiani preferiscono evitare confrontarsi, magari abbandonandosi a questa o quella retorica ex post, a seconda della rispettiva convenienza.
E invece a parte qualche proiezione in occasione di festival specializzati e qualche riconoscimento all'estero, il reportage di Clauda Cipriani non ha praticamente avuto circolazione. Almeno fino a oggi. La regista mi comunica infatti di aver deciso di lanciare una campagna di crowdfunding per raccogliere la somma necessaria alla pubblicazione di un volume con annesso DVD. L'idea è di raccogliere 500 quote di 12 euro per poter finanziare una produzione limitata. Cedo momentaneamente la parola a Claudia:
Le scrivo perché tempo fa mi ha chiesto se era possibile acquistare una copia del documentario "La guerra delle onde - Storia di una radio che non c'era". Il film racconta la storia di Radio Oggi in Italia, la prima radio clandestina italiana, nata a Praga nel 1950 come radio comunista e chiusa dopo l’invasione della Cecoslovacchia per aver manifestato posizioni antisovietiche. Finalmente abbiamo deciso di lanciare una campagna di distribuzione "dal basso", lontana dalle pratiche della distribuzione "mainstream". Il documentario, nonostante le ottime recensioni, la presenza a festival importanti e il passaggio televisivo sulla rete pubblica della Repubblica Ceca, non è mai stato trasmesso dalla Rai e non ha trovato canali di distribuzione ufficiali e ciò, a nostro parere, è molto triste dal momento che racconta un pezzo importante della storia del nostro Paese. E’ dunque nostra intenzione far conoscere questa storia attraverso una campagna di distribuzione che prevede la prenotazione di una copia.
Per riuscire nel nostro obiettivo abbiamo bisogno di raggiungere € 6000 attraverso 500 quote di sostegno da 12 € ciascuna (che include i costi di spedizione). Il budget servirà per coprire i costi di duplicazione, stampa, progetti grafici, editing, promozione e spedizione. Il dvd sarà distribuito insieme a un libro che andrà a completare il racconto fatto attraverso le immagini del documentario.
Io confido che il progetto vada a buon fine e vi invito senz'altro a dare il vostro contributo visitando il sito di Produzioni dal basso. Quando ho parlato la prima volta di La guerra delle onde avevo anche segnalato un paio di puntate della rubrica del TG3 EstOvest, che l'anno prima, nel marzo del 2008, si era occupata sia di Radio Oggi in Italia che di Radio Praga. Purtroppo sui siti Rai sono presenti solo le schede di quelle due puntate (1 e 8 marzo 2008). Stranamente, i video di entrambe mancano dagli archivi (e mi chiedo perché, mica avranno dato fastidio a qualcuno?). Nel frattempo però altre opere, a parte il libro di Rubbettino, si sono aggiunte al testo di Giuseppe Fiori "Uomini ex", che negli anni '90 fu tra i primi a rievocare, in chiave romanzesca ma molto fedele alle cronache, le vicende degli esuli praghesi. Mi riferisco in particolare alla storia di quello che fu molto probabilmente il personaggio più famoso del gruppo, quel "Tenente Alvaro", nome di battaglia di Giulio Paggio, che comandò il raggruppamento della "Volante Rossa", macchiandosi fino al 1949 di omicidi particolarmente efferati. Dopo la fuga a Praga, Paggio si rifiutò di tornare in Italia malgrado la grazia che il presidente Pertini gli concesse nel 1978 e morì proprio nel 2008. Tre anni dopo l'editore DeriveApprodi ha dedicato al Tenente Alvaro e agli uomini della Volante Rossa, un libro curato da Massimo Recchioni. La stessa storia è stata ripresa da Terranullius, un sito Web libertario, per un racconto firmato da Massimo Di Mino. Testo che è stato "drammatizzato" in un radioracconto diffuso dalla emittente bolognese Radio Kairos.
Da diversi anni Daniele Sensi - prima sul suo blog poi, dal maggio del 2012, sotto l'ombrello dei blog dell'Epresso - documenta puntigliosamente, con tanto di registrazioni, le frasi apertamente razziste pronunciate ai microfoni di Radio Padania Libera, emittente che si ascolta da Pantelleria (non sto scherzando) alle Alpi. Come è successo a Massimo Tonelli, autore del blog Cartellopoli, condannato a 9 mesi per "istigazione a delinquere" per aver pubblicato le foto del danneggiamento subito da alcuni cartelli pubblicitari, vera piaga del paesaggio romano e letale ostacolo alla circolazione stradale, adesso anche Daniele Sensi è stato denunciato da un esponente leghista che accusa il blogger di aver riportato frasi mai pronunciate. Sensi, che fortunatamente nel proprio collegio di difesa ha anche un giurista esperto di diritto online come Guido Scorza, ribatte con pacatezza che tutto quello che viene pubblicato nel suo spazio è regolarmente documentato in audio. Soprattutto le frasi "mai pronunciate". Bisogna dirlo chiaramente: quello che si ascolta dall'emittente ufficiale leghista, non esente da finanziamenti pubblici, come il quotidiano organo di partito, è indegno di una democrazia. Tra conduttori e telefonate, il blog di Daniele - ma basta sintonizzarsi su una delle numerose frequenze per constatarlo di persona - riporta contenuti che riportano indietro le lancette dell'orologio alla peggiore retorica dell'Europa tra le due guerre. E certe frasi, certi toni, vengono ripetuti ogni giorno, da anni, in una litania martellante e ipnotica su cui quel partito costruisce un consenso che profuma sempre più di fanatismo. Leggete questo estratto che ho ritagliato dal lungo articolo apparso oggi sull'Espresso online in cui Daniele racconta dell'avviso di garanzia ricevuto.
"Il 16 giugno del 2008 ho sentito un assessore leghista alla Sicurezza dire che «se i rom sono finiti nei lager nazisti, se nel corso della storia non si sono fatti molto amare, qualche errore lo avranno commesso»: lo scrissi sul blog, allegando la registrazione audio.
Ho sentito un ascoltatore dire a quello stesso assessore che «i rom sono parassiti come le pulci sui cani» e ho sentito l'assessore ribattere che «se questo pregiudizio è radicato nei secoli, un motivo ci sarà: la diceria degli zingari che rubano i bambini non è una leggenda metropolitana» («no, non li rubano: li prendono in prestito, in affido», ho sentito fargli eco Salvini): lo scrissi sul blog, allegando la registrazione audio."
La frase "se XXX viene perseguitato da secoli, qualche motivo ci sarà" è la quintessenza del discorso razzistico, il paradigma di una mentalità distorta dal pregiudizio al punto di dover ricorrere alle più risibili e insensate tautologie. "Se ti ammazzo col gas un motivo ci sarà: quindi fatti ammazzare e stai zitto". Una nazione che tollera questo tipo di retorica e questo tipo di insulti nei confronti di un essere umano è una nazione con molti problemi irrisolti e il problema più grosso è proprio il non dare minimo segno di volere affrontarlo. È inaccettabile che bambini e adolescenti italiani abbiano la possibilità di ascoltare alla radio frasi che incitano se non esplicitamente all'odio comunque al disprezzo di altri bambini e adolescenti che siedono accanto a loro nelle scuole, che giocano insieme a loro nei campetti degli oratori, che tifano per le stesse squadre di calcio. È un atto dissennato - che dovrebbe essere perseguito penalmente - instillare nelle menti più suggestionabili l'idea che possa essere una colpa, un marchio di diversità e inferiorità il solo fatto di appartenere a una comunità, avere una carnagione più scura, parlare una certa lingua, seguire certi costumi, o andare in giro con vecchi vestiti consumati addosso, senza lavarsi troppo perché nelle roulotte la doccia non c'è (e non è colpa tua se a sette anni qualcuno decide per te che devi vivere in una roulotte).
Trovo desolante che in un'Italia che si dice cattolica (religione cristiana, a quanto mi risulta), che ancora piange le morti e i soprusi subiti da diverse generazioni di migranti, ci possa essere una emittente a carattere nazionale che su scala ridotta ma con toni paurosamente simili ricorre agli stessi artifici propagandistici di Radio Milles Collines, la stazione che giusto vent'anni condizionò, con i suoi incitamenti, lo scoppio della guerra razziale in Rwanda. La mia solidarietà nei confronti di Daniele Sensi e di tutte le vittime del razzismo è totale, il mio rifiuto per una politica basata su questi messaggi irremovibile. Certe affermazioni sono una macchia sulla nostra democrazia e se non prendiamo una posizione ferma il rischio è che diventi indelebile.
Sul gruppo FB "Radioascolto interattivo" Gabriele Rizzi ripesca un corto americano di una decina di anni fa che ho la sensazione di aver già sentito citare all'epoca della sua uscita, il 2003, trentennale del golpe cileno. Shortwave - a film, racconta la storia immaginaria ma molto realistica di un insegnante di Santiago, Rafael Casagrande, che nei giorni dell'uccisione di Allende e delle retate dei militari di Pinochet si mette davanti al microfono di una vecchia apaprecchiatura radioamatoriale per trasmettere sulle onde corte una cronaca - artigianale ma veritiera - degli avvenimenti di un Cile che sta precipitando nella morsa di una spietata dittatura. Le parole del resistente cileno vengono fortuitamente intercettate da Hal Dumont, uno studente universitario americano, che senza saper bene come fare, cerca comunque di attivarsi per amplificare quelle terribili notizie di morte e tortura. Non finirà bene per Rafael, ma le ultime scene della storia lasciano capire che anche Hal (visto il pesante coinvolgimento americano in quella tragedia) passerà dei guai.
Shortwave - a film, scritto, prodotto e diretto da Chris McElory e Terry Young, due giovani di Detroit, grazie a una donazione di un ente di interesse pubblico, circolò su scala locale e ora, proprio grazie a McElroy, approda finalmente su You Tube, dove è possibile seguirlo in una versione presumo integrale di poco meno di 45 minuti:
Nella sua veste molto amatoriale, Shortwave riesce a ricostruire bene lo spirito di quell'epoca, con i giovani americani ancora ribelli e anticonformisti, chiaramente segnati dalle vicende del Vietnam. Ma offre anche uno spaccato molto verosimile di come poteva essere ormai 40 anni fa l'ascolto delle onde corte, in un'epoca di grandi conflitti, guerriglie nazionali e indipendentiste e propaganda sfrenata. Ci sono anche dei particolari degni di un collezionista di apparati radio d'epoca, come le prime scene in cui Rafael sintonizza un ricevitore National NC-155, un apparecchio dei primi anni 60 che copriva le bande radioamatoriali fino ai 6 metri. Dal punto di vista tecnico non tutto è inappuntabile, ma tutto sommato non ci sono grandi errori: ai fini della narrazione qualche licenza poetica è comprensibile. La capacità evocativa di certe immagini è davvero drammatico, le scene ti fanno veramente capire il potere di un mezzo di comunicazione che quasi venti anni prima di Internet riusciva ad annullare ogni distanza e ad aggirare ogni controllo (e proprio per questo poteva comportare grossi rischi). Un regalo molto gradito da parte di questo cineasta indipendente.
Da una ventina d'anni qualcosa è cambiato nel linguaggio della politica. E' successo che di fronte ai suoi spauracchi e ai suoi nodi più complicati (welfare, intervento dello stato, lavoro, immigrazione, sistema scolastico, regolamentazione dei media), la politica parlamentare, un po' dappertutto, forse con un po' di volontà in più nei circoli della destra più conservatrice, ha rinunciato al suo ruolo intermediatore e ha scelto la reazione emotiva, o addirittura la negazione e il divieto al posto della sua tradizionale missione: la gestione. Una politica che non è fatta di ragionamenti e decisioni, ma di parole, possibilmente parole di odio. Perché sono quelle più facili da ricordare quando si vota.
Le conseguenze in campo mediatico sono state disastrose. I tradizionali luoghi del confronto sui temi politici e sociali, i giornali quotidiani, i talk show televisivi e radiofonici, sono diventati un campo di battaglia, un distillato di odio nei confronti di tutto e tutti: avversari politici, lavoratori, cittadini, minoranze, immigrati. Le cose sono andate anche peggio nei luoghi in cui il cortocircuito media-elettorato è meno sottoposto a controllo (non censura, controllo). Vedi il caso dell'Italia. Ma anche negli Stati Uniti sono nati fenomeni famosi e analizzati come la talk radio ultraconservatrice. La notorietà di personaggi come Rush Limbaugh, Mike Savage, Sean Hannity ha travalicato i confini degli Stati Uniti, dove la pubblica opinione si forma anche ascoltando le lunghe, astiose tirate contro la presunta minaccia della sinistra politica e dei suoi "difetti" peggiori: il sostegno a strategie sociali a tutela delle fasce più povere, la regolamentazione dei mercati finanziari e bancari, il ricorso alla diplomazia piuttosto che alla forza militare, il mantenimento del controllo pubblico in ambiti come la scuola o la sanità. "Difetti" tra l'altro che caratterizzano sempre meno la politica della sinistra, in un'era post-ideologica in cui i partiti pensano e fanno più o meno le stesse cose.
A vent'anni di distanza, però, per i media dell'odio cominciano a esserci dei cambiamenti. E guarda caso riguardano proprio il personaggio più rappresentativo della talk radio americana, Rush Limbaugh, incorso recentemente in un brutto caso di diffamazione nei confronti di una studentessa di legge e attivista femminista, Sandra Fluke, che in occasione di una udienza presso una commissione parlamentare americana (peraltro non diffusa dalla televisione) aveva parlato a favore di un piano di copertura previdenziale delle spese sostenute per l'acquisto di mezzi contraccettivi dagli studenti di tutte le università, incluse quelle religiose. Nella sua trasmissione del 29 febbraio Limbaugh aveva ridicolizzato la proposta, definendo la Fluke, una "sporcacciona e una prostituta": «in pratica ci sta chiedendo di pagarla per fare sesso» ha detto Limbaugh in una delle sue proverbiali deduzioni. Successivamente è tornato sulla questione affermando: «facciamo così, se voi "femminaziste" volete che vi paghiamo i contraccettivi, allora dovete mettere i vostri video su Internet così almeno potremo vederli».
Questa volta la volgarità di Limbaugh non è passata inosservata e il commentatore radiofonico ha ricevuto una montagna di critiche bipartizan, da destra e sinistra. Alla fine ha dovuto fare marcia indietro, scusandosi pubblicamente con Sandra Fluke. Ma ci sono state conseguenze peggiori, per lui. La testata specializzata Radio-Info ha diffuso in questi giorni un memo che Premiere Network, la società che distribuisce il programma di Limbaugh e di molti altri host conservatori, ha trasmesso alle stazioni radio. Nel memo c'è un elenco di un centinaio di inserzionisti famosi - nomi grossi come Ford, Toyota, Prudential, persino McDonald's - che hanno espressamente chiesto di non far comparire i loro spot pubblicitari "in programmi dai contenuti potenzialmente offensivi". Seguono alcuni esempi espliciti: niente pubblicità negli show di Mark Levin, Rush Limbaugh, Tom Leykis, Michael Savage, Glenn Beck, Sean Hannity. La notizia ha fatto molta sensazione, commentando la vicenda dei grandi brand che abbandonano volontariamente il carrozzone della "hate radio", i giornali dicono che gli inserzionisti hanno fatto quattro conti e si sono accorti che l'ascoltatore tipo dei programmi di Limbaugh, il maschio americano bianco di una certa età e senza titoli di studio, è uno che non ha soldi da spendere. La pubblicità oggi parla piuttosto alle giovani donne istruite e piene di relazioni sociali, come Sandra Fluke. Per Limbaugh & C. è il colmo dell'ironia: hanno difeso strenuamente le ragioni di un mercato libero dalle manette "comuniste" e oggi questo stesso mercato gli sta dicendo di piantarla. L'odio non paga più
Ancora una volta Berlusconi ha dimostrato di essere un passo avanti. Il suo "editto bulgaro" decretò l'inizio della fine delle trasmissioni RAI non allineate alla grancassa del Partito delle Incapacità. Un editto partito con Enzo Biagi e giunto a compimento con Serena Dandini (il cui format, va detto, era forse un po' cotto di suo). Ieri, giorno di San Valentino, un editto russo ha gettato un'ombra inquietante - a venti giorni dalle elezioni presidenziali - sul futuro della stazione Eco di Mosca, quasi un milione di ascoltatori nella sola area metropolitana della capitale e programmi sempre molto critici nei confronti del potere esercitato con estrema disinvoltura da Czar Putin. Dall'amico Putin. In mezzo c'è stato l'edito magiaro che ha misteriosamente cambiato le regole di assegnamento delle frequenze in Ungheria e ha danneggiato, guarda caso, proprio Klub Radio, l'unica emittente che contrasta apertamente la politica oppressiva del premier Viktor Orban.
Il Corriere della Sera del 12 febbraio intervista il direttore di Klub Radio, Andras Arato. E oggi il Sole 24 Ore (ma anche il blog del Manifesto) parlano della strana decisione di rinnovare, ben prima della sua naturale scadenza, il board di Eco di Mosca. L'emittente fondata nel 1990 sulla scia della Glastnost garbacioviana (ieri Gorbachev è stato intervistato al proposito da Radio Free Europe) e diretta dal combattivo Aleksej Venediktov (nella foto, insieme al suo avversario) è indipendente, ma il suo azionista di riferimento, al 66%, è uno dei veri padroni dell'Impero di Putin, il potentissimo gruppo energetico Gazprom, che aveva rilevato la quota dell'emittente posseduta fino al 1994 dal discusso magnate di NTV Vladimir Gusinski, protagonista di un lungo braccio di ferro con le autorità russe. La notizia viene data anche dalla redazione di RadioVoce della Russia, che laconicamente riporta la dichiarazione del portavoce di Putin, Dmitrij Peskov, "convinto che il rimpasto nel consiglio dei direttori della Eco di Mosca non possa essere legato alle critiche da parte di Vladimir Putin." Il 18 gennaio, in un incontro con i direttori dei media russi, Putin si era lamentato per la "diarrea" che la stazone gli rovescia sempre addosso.
La blogosfera russa in queste ore è percorsa da scosse di indignazione. Tutti i retroscena, inclusi i comunicati che sul sito di Ekho Movsky annunciano gli improvvisi avvicendamenti (Venediktov stesso teme di essere scalzato dal CdA) e diversi altri link, li trovate nella corrispondenza di Nina Ognianova (una bulgara!) sul sito del CPJ Committee to Protect Journalists, un organismo newyorkese che si batte per la libertà di stampa e l'immunità dei giornalisti, così spesso vittima della violenza militare, politica e mafiosa. Come sottolinea giustamente la Ognianova, è molto probabile che l'annullamento dei vertici di Eco di Mosca non sia stato ordinato da Putin in persona. In questi casi, lascia intuire la giornalista, i cortigiani sono sempre più realisti del re. Non è neppure detto che Venediktov perda il controllo editoriale dei programmi: il CPJ cita le parole attribuite in passato allo stesso Vladimir Putin, incapace di rinunciare a uno sfoggio di machismo: "come l'uomo, il potere ha sempre il dovere di provarci e i media, come la donna, quello di rifiutare".
Resta l'impressione che il potere, ogni tipo di potere, si senta ovunque sotto assedio, sempre più incalzato da una possente voglia di trasparenza e informazione, in assenza delle quali il potere può dare sfogo a ogni forma di prevaricazione e corruzione. Ancora una volta è una radio neanche troppo libera dai condizionamenti a essere percepita come un nemico da annientare.
A volte la democrazia è una strana cosa. Uno si fa eleggere, democraticamente, ma sfruttando qualche conflitto di interesse, o qualche condizionamento, che equivalgono alla morte della democrazia ma che la democrazia non può facilmente prevenire onde evitare di passare per non-democrazia (un bel paradosso); e dopo essersi fatto eletto fa approvare leggi che anti-democratiche, esercitando indebiti controlli e censure sulla libertà di espressione. Possiamo fingere che non sia così, fosse solo per rispetto di elettori di destra sicuramente più distratti che antidemocratici, ma il discorso dovrebbe purtroppo essere applicato all'Italia governata da Berlusconi.
Questa però volta il protagonista della storia di censura mediatica (segnalatami da Marco Allaria Olivieri attraverso il link ad Andrea Tarquini su Repubblica), è il governo ungherese di Viktor Orban. Utilizzando come una vera e propria scure l'agenzia ungherese di regolamentazione dei media, la Nemzeti Média- és Hírközlési Hatóság, Orban ha fatto togliere la frequenza utilizzata a Budapest dalla popolarissima emittente privata Klubradio, che dava voce nei suoi dibattiti alle forze di opposizione. Una decisione presa con la risibile scusa dello scarso fervore nazionalistico della stazione radio, colpevole di non aver trasmesso un volume sufficiente di contenuti originali magiari (e quei pochi, aggiungo io, evidentemente "sbagliati"). Questo insopportabile atto di censura, che sta già suscitando scandalo dentro e fuori l'Ungheria, non è affatto casuale: giunge infatti nelle stesse ore in cui la Corte Costituzionale ungherese ha sollevato numerose eccezioni di costituzionalità nella famigerata Legge dei Media del 2010, un obbrobrio giuridico che toglie ogni forma di garanzia agli ungheresi che cercano di produrre giornalismo indipendente. L'OSCE aveva già lanciato l'allarme lo scorso anno e Radiopassioni lo aveva puntualmente segnalato in un post che univa le vicende ungheresi a quelle bielorusse. Ieri la stessa rappresentante OSCE per la libertà dei media, Dunja Mijatovic, ha emesso un indignato comunicato sulla chiusura di Radioklub, congratulandosi con la Corte Costituzionale ungherese per la sua sentenza.
In base a regole assurde - credo di capire dalla traduzione Google dell'articolo pubblicato dal giornale Népszabadság - la NMHH ha tolto le frequenze a Klubradio riassegnandole a società che avevano presentato una domanda di licenza ma sembrano praticamente sconosciute, entrambe fondate quest'anno con strani giri di proprietà : Prodo Voice Studio e una certa Autórádió Műsorszolgáltató, un marchio registrato a febbraio dal gruppo polacco Tunnel Media e ora in mano a investitori ungheresi. Alle due nuove entità sono state assegnate due frequenze nella capitale ungherese prima occupate da Klub e Juventus Radio. Mentre quest'ultima dovrà spostarsi su una frequenza diversa (e sfavorevole), Klubradio rischia di rimanere a bocca asciutta perché sono in dubbio le sue chance di successo nella riassegnazione della frequenza di 92.9, in seguito al ritiro dell'originario pretendente. La stazione ha già fatto sapere che continuerà a trasmettere su Internet nell'interesse di quasi mezzo milione di ascoltatori, ma è chiaro che una nazione UE come l'Ungheria non può ammettere il verificarsi di fatti del genere.
Oggi pomeriggio, giovedì 22 dicembre, alle 16 accanto al Museo Nazionale in Pollack Mihaly è prevista una manifestazione di solidarietà e su Facebook è stata aperta la pagina Mentsük meg a Klubrádiót (Salviamo Klubradio). I sostenitori di questa vittima della censura sottolineano che da qui partirono i moti indipendentisti di due secoli fa.
Il nostro bravo Chris Diemoz - ormai definitivamente approdato alla world class della saggistica globale impegnata a studiare quella particolare forma di public diplomacy che si articola attraverso l'attività dei broadcaster internazionali - ha ripreso l'altro giorno una notizia apparsa su Northkoreatech.org, un informatissimo blog (ne avevo parlato qualche mese fa) che studia le tecnologie e i media della Corea del Nord, forse la realtà geopolitica più impenetrabile della storia. L'autore di questo eccezionale diario della paranoia asiatica, Martyn Williams, segnala dal BBC Monitoring Servicel'attivazione di un server, probabilmente localizzato in Corea del Sud e riferibile all'emittente Unification Broadcasting, che diffonde in streaming Web, riprendendolo dal satellite, il canale televisivo ufficiale della Korean Central Television. Il flusso si può raggiungere facilmente con VLC puntando il mediaplayer open source all'indirizzo: http://112.170.78.145:50000/chosun. Williams consiglia saggiamente di affrettarsi: secondo la legge sudcoreana uno che decide di mettere su un server del genere rischia la fucilazione perpetua. Per il momento lo stream funziona, ma occorre sintonizzarsi dopo le 17 ora di Pyongyang se si vuole sperare di vedere qualche ameno reportage di Kim Jong Il impegnato a visitare fabbriche e dispensare buoni consigli a orchestrali e addetti alle postazioni missilistiche (spesso le figure professionali coincidono). Nelle ore "vuote" il server trasmesse delle interessantissime barre colorate che secondo me sono ancora più divertenti.
Nell'attesa che il pomeriggio televisivo nordcoreano riprenda, potete ingannare il tempo con una lettura molto piùà istruttiva di cui ci rende conto lo stesso Northkoreatech. Pochi mesi fa Reporters sans frontières aveva pubblicato un report investigativo sulla Corea del Nord intitolato Frontiers of Censorship. Si tratta di un follow up a un rapporto apparso nel 2004 e dedicato alla connivenza tra il mestiere del giornalismo e il granitico regime di Pyongyang. Nel nuovo studio trovate molti dettagli anche sulle emittenti propagandistiche che agiscono in Corea del Sud. Per saperne di più potete procurarvi "Comrades and Strangers" l'eccezionale diario di Michael Harrold, cittadino britannico che nel 1987 accettò di andare a lavorare in Corea del Nord come consulente alle traduzioni in inglese della propaganda ufficiale.
Il bellissimo diario di Kim Andrew Eliott sulla public diplomacy attraverso la radio non poteva lasciarsi sfuggire il lancio della France Presse, ripreso dai giornali di mezzo mondo, in cui veniva tratteggiato un sommario ritratto di Mario Monti, personaggio che è sempre stato avaro di interviste troppo personali. La stampa italiana ha rilevato in questi giorni che a infrangere la regola era stato sei anni fa L'Espresso, che era riuscito a parlare a cuore aperto con un Monti da poco uscito dal governo dell'Europa (nel 2004 il governo Berlusconi si era rifiutato di confermarlo per un terzo mandato di Commissario, puntando piuttosto su un autentico cavallo di razza come Rocco Buttiglione - respinto al mittente per le sue dichiarazioni omofobiche e intolleranti).
Nella parte più autobiografica della conversazione, a un certo punto Monti risponde così a una domanda dell'intervistatrice del settimanale, Stefania Rossini:
Ha intenzione di raccontare sessant'anni di sobrietà? Rintracci almeno un attimo di irrequietezza. Anche lei sarà stato adolescente.
«Un po' tardivo, per la verità. Non ero precoce da nessun punto di vista. Studiavo, ero appassionato di ciclismo e passavo molte notti ad ascoltare la radio ad onde corte. L'ho fatto per anni».
Le serviva per evadere?
«No. E' stato utile un po' per conoscere le lingue e molto per capire il mondo. Ascoltavo trasmissioni dall'Australia, dai Paesi dell'Est e dall'Africa. Nel 1958 ho capito da parole in codice che era scoppiata la ribellione in Algeria. Nel 1960 ho sentito in diretta il discorso di insediamento di John Kennedy».
Monti, insomma, era un vero e proprio collega, un fratello dell'etere senza confini. In un periodo, oltretutto, in cui la televisione in Europa ancora non conosceva la capillarità e la tempestività della radio. Almeno per tutti gli anni 60 e direi fino alla morte di Mao (1976) le notizie da guerre, ribellioni, colpi di stato e disastri arrivavano sul piccolo schermo solo dopo essere transitate per i microfoni e gli altoparlanti delle radio. Il riferimento all'Algeria in quella intervista all'Espresso ci dice che il "DXer" Mario Monti fu testimone diretto del "putsch" da parte dei francesi anti-indipendentisti, che il 13 maggio del 1958 portò alla creazione, ad Algeri, di un Comitato di salute pubblica contrario alla politica coloniale di Parigi. In seguito a quel colpo di stato in Francia venne eletto un governo, presieduto da Pierre Pflimlin, che sarebbe durato appena un paio di settimane e avrebbe aperto la strada al ritorno di De Gaulle e alla fine della Terza Repubblica. L'articolo apparso nel 1988 sulla rivista storica Vingtième Siècle e intitolato Radio-Algérie, un acteur méconnu de mai 1958, rende giustizia alla buona memoria dell'attuale Presidente del Consiglio (anche lui a suo modo di un comitato di salute pubblica), a distanza di quasi mezzo secolo dai fatti che un Monti quindicenne sentiva raccontare in modo concitato dal suo apparecchio sintonizzato - secondo i dati che ho ritrovato sul World Radio Handbook del 1960 - sugli 11.835 kHz delle onde corte. Molto meglio delle gonne corte di Berlusconi, no?
Una mossa a sorpresa che desta una curiosa animazione nella comunità degli ascoltatori delle onde corte ha portato su Internet la voce del regime politico più chiuso e paranoico oggi esistente. Dopo che lo scorso ottobre aveva fatto la sua comparsa sul Web il dominio nord-coreano ".kp", anche Voice of Korea, emittente internazionale multilingue che opera da Pyongyang, ha da ieri il suo sito ufficiale. Per l'inaugurazione è stata scelta LA data fondativa dell'ultimo dei regimi comunisti irriducibili: il 15 aprile, compleanno del presidente "immortale" Kim Il Sung. Graficamente il sito è in quello stile "grande muraglia di piombo" tipico dell'area asiatica (anche le stazioni radio cinesi lo adottano): al posto delle notizie dei titoli con un link a un file .aac. Non mancano, in teoria, musiche e altri contenuti, tutti abbastanza sparsi e rapsodici.
Dico in teoria perché tutto quello che si trova sulla versione inglese del sito per il momento non si può ascoltare, i link non portano a nessun file. Peccato, avrei proprio voluto ascoltare i 45 messaggi sull'arrivo delle ceste di fiori per il compleanno del leader (morto da anni ma ufficialmente assunto in cielo secondo i canoni della strana religione delle Juche). E non vedo l'ora di caricare sull'iPod il celebre inno "Long Live Generalissimo Kim Il Sung" e sono curiosissimo di se davvero il musicista maltese Joseph Aquilina ha meritato il premio internazionale concesso al suo Immortale Peana Rivoluzionario "Song of General Kim Il Sung". Speriamo che tutto questo venga davvero messo online, immagino che a Palazzo Grazioli e TG4 siano ansiosi di copiare il format.
Il sito di Web di Voice of Korea ha in effetti un'altra particolarità inquietante. In apertura il navigatore è invitato a scaricare un player (solo per Windows) per poter accedere ai file audio attraverso un protocollo di trasporto sconosciuto, il "kms://". Il player in questione si basa su una tecnologia Macrovision (oggi Rovi) adattata dai programmatori di Pyongyang. Ovviamente installare un pezzo di software made in North Korea sul vostro computer non è una faccenda da prendere così alla leggera. Gli appassionati rivelano però che lo stesso protocollo è utilizzato dalla agenzia stampa ufficiale KCNA e per accedervi sembra sia possibile utilizzare il player universale multipiattaforma VLC semplicemente sostituendo il prefisso kms:// con il solito http://. Non ho potuto verificare la cosa perché i file risultano comunque non esistenti sul server.
Per il momento è altrettanto inutile cercare sul sito di VoK la griglia delle trasmissioni in onde corte. Quella che segue è la programmazione entrata in vigore a fine marzo per le quattro lingue inglese, francese, spagnolo e tedesco, così come è stata distribuita attraverso i consueti canali hobbystici. Credo che per il momento non ci si debba attendere la disattivazione degli impianti in onde corte a favore di una distribuzione "Web only", come sta avvenendo da qualche anno a questa parte per molte emittenti internazionali.
Se volete stare al passo con le prime apparizioni nordcoreane su un medium che il regime di Kim Jong Il fa di tutto per censurare, potete seguire NorthKoreaTech l'eccellente blog di Martyn Williams, di IDG Japan, che riporta anche molte notizie sul software e le tecnologie in salsa nordcoreana. Il sito riporta anche una lista di siti con dominio .kp
A11 Summer Schedule of VOICE OF KOREA, Pyongyang, DPR Korea (North), effective Mon, 28 March 2011
Una ventina di minuti fa, alle 22.45 UTC (le 23.45) da noi, un rapporto di un DXer arabo residente in Danimarca segnala la prima trasmissione da una emittente libica "liberata". L'impianto è quello in onde medie di El Beida, che trasmette su 1.125 kHz. La stazione emette proclami di liberazione e invita la popolazione a unirsi alla rivolta. Sto cercando di monitorare la frequenza, che è senz'altro possibile anche qui a Milano.
Ecco un prospetto delle frequenze libiche in onde medie, chi abita nelle regioni meridionali ha migliori chance di ascolto, interferenze possibili da Spagna e qui al nord Belgio.
Voice of Africa (servizio per l'estero) - 648 711 1251 1449 1485
Il 26 gennaio il governo britannico ha annunciato una pesante politica dei tagli ai finanziamenti concessi alla BBC per la conduzione del suo World Service. Sparizione di intere redazioni, drastica riduzione delle trasmissioni in onde corte. Ecco un riassunto delle decisioni che entrano in vigore in queste settimane, così come sono state comunicate pochi giorni fa.
Peter Horrocks, head of the BBC Global News Division, today announced the following closure dates:
1. BBC Portuguese for Africa and BBC Serbian will cease broadcasting on Friday 25 February.
2. BBC Albanian will cease broadcasting on Monday 28 February.
3. BBC Macedonian will deliver its final broadcast on Friday 4 March.
4. BBC Caribbean will cease broadcasting on Friday 25 March.
5. BBC Mundo radio will cease broadcasting on Friday 25 February.
6. BBC Russian radio and BBC Chinese radio will end on Friday 25 March.
7. BBC Vietnamese radio will cease broadcasting on Saturday 26 March.
8. BBC Azeri radio will end broadcasting on the weekend of 26/27 March.
9. It is proposed that SW distribution will cease for the following services on the weekend of 26/27 March: Indonesian, Kyrgyz, Nepali, Swahili, Great Lakes and Hindi.
10. The cessation of English on 648 MW and SW and the cessation of MW to Russia and the FSU are also proposed for the weekend of 26/27 March.
Grazie al forte dibattito scatenatosi su questa politica di tagli (una politica che incide direttamente sul profilo diplomatico della Gran Bretagna e sulla sua politica estera), il Guardian ha rivelato che il management della BBC starebbe studiando delle possibili alternative. Una di queste prevede la possibilità di utilizzare le trasmissioni a onde corte in una modalità ad hoc, contingente, quando la situazione internazionale dovessere richiederlo. In casi cioè come la rivolta in Egitto o nel Maghreb, quando le notizie diffuse attraverso le onde corte possono aggirare le misure di censura applicate a Internet o alla tv satellitare (casi di jamming di Al Jazeera sono stati riscontrati proprio nei giorni della crisi mediorientale):
The BBC is considering plans to reinstate axed short-wave World Service radio broadcasts on a short-term basis to regions where major events are taking place, following the revolution in Egypt.
Short-wave radio broadcasts of the BBC Arabic service, which has around 400,000 listeners in Egypt, will be significantly reduced within weeks as part of plans to save £46m from the World Service budget, a 20% cut from its £253m annual budget.
World Service broadcasts in short wave are being cut back in the Middle East, Europe, Africa and Asia as part of the cost saving drive.An email sent to Bush House staff on Wednesday by Peter Horrocks, the BBC's global news director, revealed plans to respond to major events in particular regions by buying up short-wave radio capacity, against a backdrop of violent political uprising sweeping across the Middle East.
"We also said in January that there would be changes to distribution, in particular changes to SW [shortwave] distribution," Horrocks said in the email, which has been seen by MediaGuardian.co.uk. "We are looking into the possibility of buying SW capacity at short notice to ensure we can react quickly should we need to, as highlighted recently in Egypt," he added. "I must stress that any changes we make to our original plans have to be made in the context of the tight financial settlement - what we can not do, is find new money."
Intanto, nuove prospettive si aprono grazie all'interessamento del Commons Foreign Affairs Committee del Parlamento inglese. Il 16 marzo è previsto l'intervento alla House of Commons del segretario di Stato Ron Hague, espressamente dedicato ai tagli al BBC WS.
C'è anche una ricaduta interna che potrebbe avere molta importanza per un importante protagonista della radiofonia britannica: Radio Caroline. Da tempo i proprietari del marchio della radio pirata chiedono che il regolatore conceda all'emittente una frequenza in onde medie. L'OFCOM ha fatto sapere alla parlamentare inglese - che insieme a un'altra parlamentare, Tracey Crouch, sta facendo lobbying a favore di "una frequenza AM per Caroline" - che la stazione radio potrebbe chiedere e ottenere una licenza per i 648 kHz lasciati liberi dal BBC World Service per l'Europa. Ovviamente, l'OFCOM sottolinea che una richiesta in tal senso potrebbe arrivare insieme a molte altre analoghe richieste e non è certo garantito che Caroline possa spuntarla. Ma intanto è una prospettiva interessante.
La riduzione delle ore di trasmissione e delle lingue disponibili attraverso il World Service poteva sembrare ispirata a mere considerazioni di natura finanziaria. Ma è lecito nutrire qualche dubbio che non sia proprio così dopo che il primo ministro britannico David Cameron ha presentato il suo intervento a Monaco di Baviera, in occasione della Conferenza europea sulla sicurezza.
Molti giornali ne hanno parlato anche qui. Cameron ha in pratica dichiarato la sconfitta della politica di integrazione culturale e razziale adottata in Gran Bretagna, dichiarandola fallimentare perché troppo tollerante delle specificità culturali e soprattutto religiose dei vari gruppi. Il fatto di non aver imposto l'adozione di alcuni tratti culturali comuni, in particolare i sacrosanti principi della democrazia britannica, avrebbe contribuito alla creazione di "ghetti" culturali troppo chiusi e alla nascita di risentimenti che sono sfociati in atti violenti come gli attentati suicidi nella metropolitana londinese. Il discorso di Cameron ha diversi punti contraddittori, a mio modesto parere. Uno dei principi che secondo il Premier bisognava far rispettare consiste per esempio proprio nel non imporre alcun cliché. Cameron a un certo punto cita l'esempio dei matrimoni forzati imposti alle giovani delle famiglie musulmane osservanti. Quale sarebbe la soluzione a un problema del genere? Il governo dovrebbe entrare nelle case prima dei matrimoni e accertarsi che i futuri sposi siano tutti consenzienti? Un bell'esempio di libertà personale ispirato a una politica conservatrice!
La verità è che nelle nostre società multietniche c'è sempre più bisogno di dialogo, confronto, informazione, approfondimento. E che queste cose non nascono gratuitamente sulle piante, nei parchi cittadini. Si devono coltivare, incoraggiare, sostenere. Possibilmente con il denaro e le risorse controllate dal pubblico, da tutti noi. Il vero problema, per la nostra attuale classe politica, è che il dialogo e l'informazione hanno un effetto collaterale devastante per il cattivo governo: spesso finiscono per mettere in risalto le magagne della mediocre politica della retorica, della paura, del populismo becero messa in atto da personaggi privi di reale spessore culturale, etico, umano. I governi del mondo, anche nelle famose democrazie occidentali, vengono colonizzati da individui interessati solo al mantenimento del potere, alla politica come perfetta soluzione della propria incapacità. E questi individui hanno tutto l'interesse a licenziare bravi giornalisti, a non dare voce a un mondo di complessità che nessuno sa e vuole risolvere.
A noi non restano che le autoconsolazioni come quella Nicholas Walton in questo articolo pubblicato sul sito del think tank European Council for Foreign Relations, "Who needs the BBC World Service?" Walton sostiene che l'ondata di licenziamenti che falcidierà il servizio per l'estero della BBC avrà un effetto positivo, rilasciando sul mercato molti giornalisti preparati che troveranno altre collocazioni, specie nei nuovi media. Istituzioni come il World Service non devono essere delle riserve esclusive e paludate, afferma Walton. Vero. Ma almeno riescono ad accentrare e mettere a frutto risorse che sul libero mercato si diluiscono, spesso fino a sparire.
Da quando trascorro le mie vacanze estive a Favignana, sono diventato un fedele ascoltatore di molte emittenti tunisine ed è emozionante in queste ore cercare di seguire le cronache del regime nordafricano, tanto vicino alle nostre coste (e forse un po' anche alla nostra cultura politica), attraverso le pagine e gli streaming Web di Radio Kalima, emittente "antagonista" attiva via satellite e Internet. Kalima ha un sito per i programmi tunisini e una edizione algerina.
Ma il coverage più avvincente (audio in arabo, ma notizie scritte in francese) è quello di ShemsFM. Shems è un nuovo network commerciale nato nel settembre scorso in una nazione che in questi anni ha gradualmente allentato la morsa del totale monopolio. Le informazioni che trovo in questi giorni su Shems FM sono incredibilmente esplicite. Perché incredibilmente? Perché la proprietà dell'emittente viene fatta risalire a Cyrine Ben Ali Mabrouk, figlia del presidente tunisino Zine el-Abidine Ben Ali, segnalato a bordo di un aereo respinto dalla Francia e - a quanto sembra - parcheggiato per il momento all'aeroporto di Cagliari, forse sulla strada per Malta o per Jeddah. Cyrine è sposata a un uomo d'affari potente, Marwan Mabrouk, proprietario insieme a due fratelli di un gruppo attivo nella grande distribuzione, nell'alimentazione, nella vendita di automobili e dallo scorso anno, nella telefonia cellulare: Mabrouk con la sua Investec possiede il 51% di Orange Tunisie (li 49% è di France Telecom).
Malgrado i vistosi interessi e le affiliazioni in gioco, Shems FM non sembra esercitare alcuna censura e in queste ore ha addirittura aperto i microfoni ai suoi ascoltatori. Che cosa c'è dietro? Anche ammettendo che il presidente Ben Ali non sia fuggito come sembra confermare in questi minuti il TG3, per quale ragione il network "indipendente" di sua figlia si comporta quasi come una voce dell'opposizione?
La radio ufficiale, nel frattempo, diffonde solo musica tipo classico, dal suo canale internazionale RTCI e musica locale e concitate telefonate del pubblico dal canale National. Radio Tunisia utilizza in teoria anche le onde corte, secondo questa griglia (orari UTC):
Ancora una volta i talkshow radiofonici dei commentatori della destra americana più oltranzista vengono messi sotto accusa. Sono le ore immediatamente successive al ferimento della deputata democratica Gabrielle Giffords e lo sceriffo della Pima County, Clarence Dupnik, denuncia il clima "al vetriolo" costruito da certa retorica di destra intorno al dibattito politico negli Stati Uniti, affermando che questo clima può scatenare la rabbia incontrollata di individui "suscettibili" come l'esecutore della sparatoria, Jared Lee Loughner. Nel suo show di lunedì Rush Limbaugh, uno dei campioni più rappresentativi dello "hate speech" radiofonico ha usato termini molto espliciti contro Dupnik, dicendo in pratica che solo uno stupido può stabilire questo genere di collegamenti indiretti. In una successiva intervista alla ABC Dupnik conferma la sua opinione e definisce Limbaugh "un irresponsabile":
Il dibattito in corso in Arizona e in tutti gli Stati Uniti ha occupato l'altra sera un congruo spazio del nostro telegiornale TG3 Linea Notte, dove le perplessità dello sceriffo democratico sono state riprese da Giovanna Botteri mentre Christian Rocca sosteneva la tesi contraria, prendendo per così dire le parti (con parole infinitamente più equilibrate, va detto) di Limbaugh.
Il discorso è complicato e molte delle osservazioni di Rocca sono condivisibili, ma anch'io sono del parere che certe espressioni, un certo modo di porgersi, anche nella più accesa dialettica politica, andrebbero soppesati e rivisti. Nei lunghi mesi che vanno dalla campagna elettorale del Presidente Obama alla approvazione della sua riforma sanitaria, mentre il partito repubblicano riconquistava credibilità e forza elettorale, negli Stati Uniti è nato il movimento del Tea Party e la talk radio americana si è abbandonata a una selvaggia campagna di delegittimazione della leadership democratica. Joyce Kaufman, "host" di un talkshow della stazione WFTL, di Fort Lauderdale in Florida, è diventata famosa per un gioco di parole che sarebbe piaciuto moltissimo al nostro Senatùr: "if ballots don't work, bullets will", (i voti non funzionano? Le pallottole sì).
Non bisogna mai dimenticare che questa è l'America del Secondo Emendamento, un principio costituzionale che sancisce per i cittadini americano la libertà di armarsi. Poco conta che le parole di questo emendamento, approvato più di due secoli fa, lasciano anche una certa libertà di interpretazione. Potrebbero secondo alcuni riferirsi solo al diritto di armarsi in forma organizzata, per difendere l'incolumità dello Stato. Ma una clamorosa sentenza della Corte Suprema, ha stabilito nel 2008 che il diritto di detenere e portare armi è proprio dell'individuo e Jared Lee Loughner lo ha tranquillamente potuto esercitare. Francamente l'ipotesi che certe idee gli possano essere entrate in testa ascoltando alla radio qualche ora di Rush Limbaugh non mi sembra poi tanto remota. Malgrado compagni di scuola, insegnanti e conoscenti lo abbiano definito uno squilibrato, lo scorso 30 novembre Loughner è entrato in una armeria di Tucson, ha sostenuto un breve esame attitudinale computerizzato ed è tornato a casa con una pistola e un caricatore "extra" per una capacità complessiva di 33 colpi. Gran parte di questi proiettili hanno funzionato meglio dei voti che avevano determinato l'elezione dell'onorevole Giffords, devastando il suo emisfero cerebrale sinistro (sì, proprio l'emisfero del linguaggio). Non c'è nessuna speranza che Gabrielle, la prima deputata ebrea eletta dalla bigotta Arizona, possa tornare un giorno al suo posto di lavoro. Nessun pericolo che possa approvare un'altra riforma sanitaria. Bullets work better than ballots.
Gli altri colpi hanno cancellato, tra le altre, la vita (altra tremenda ironia) di un giudice federale e quella di una bambina di nove anni che era stata portata in un supermercato per imparare come funziona la democrazia americana. L'etere delle talk radio si è riempito di lacrime di coccodrillo condite da nuovi insulti per i democratici "nemici" della libertà di espressione. L'astioso esercito dei Limbaugh ha ripreso ad abbaiare il suo dissenso nei confronti della ripresa della fairness doctrine - versione americana della nostra par condicio - una contromisura che nessuno prenderà mai e in ogni caso non rappresenterebbe quel bavaglio che certa destra vuole far credere. Da molte parti cominciano infine a comparire gli articoli che "smontano" scientificamente la figura dello sceriffo Dupnik. Nel migliore dei casi lo definiscono contraddittorio, un uomo di legge che in passato aveva preso posizioni ben diverse sul possesso di armi. E' la stessa tattica che vediamo utilizzata ogni giorno anche qui: un principio perfettamente legittimo e condivisibile viene svilito e negato attraverso la metodica distruzione dell'individuo che ha avuto l'ardire di affermarlo. In questo modo i principi giusti smettono semplicemente di esistere, perché nessuno è abbastanza "immacolato" da sostenerlo. Con buona pace dell'evangelico invito a non guardare la pagliuzza negli occhi altrui. In fin dei conti Clarence Dupkin si è limitato a sostenere quello che un bambino impara fin dalle elementari: that may be free speech, but it's not without consequences.
Sono giorni molto importanti per la regione meridionale del Sudan chiamata a decidere attraverso un referendum la possibile secessione dalla maggioranza islamica della Nazione. La votazione è il culmine di un lungo negoziato con l'Esercito Popolare di Liberazione e arriva alla fine di un quinquennio di autonomia concesso dal governo centrale di Khartoum dopo il trattato di pace del 2005. L'esito di questa consultazione sarà indubbiamente importante anche per il futuro della regione occidentale sudanese del Darfur, che dovrebbe votare sulla questione dell'autonomia in questo stesso 2011. Un terzo referendum, quello che avrebbe chiesto agli abitanti della piccola regione di Abyei di esprimere un parere sulla possibile annessione al Sudan meridionale, è stato rimandato a causa delle forti instabilità.
Se le notizie che arrivano dal Darfur sono fruibili attraverso le trasmissioni e sul sito Web di Radio Dabanga, gestita dalla ONG olandese Press Now, anche dal Sudan Meridionale giungono, sulle onde corte, le voci multiculturali di Sudan Radio Service, un progetto quasi decennale finanziato dalla organizzazione americana EDC, Education Development Center.
SRS utilizza frequenze affittate da impianti in Portogallo, ma poche settimane fa ha aperto a Juba, capitale della regione autonoma, una frequenza in FM, i 98,6 MHz. Per le trasmissioni in onde corte, ecco la griglia di programmazione più recente (orari locali, sottrarre tre ore per ottenere il tempo UTC e due per il nostro orario), c'è tempo fino al 15 per seguire l'andamento delle votazioni e analizzarne i risultati.
mattino
7 – 8 a.m.11.805 kHz
8 – 9 a.m.13.720 kHz
sera
6 – 8 p.m.17.745 kHz
8 – 9 p.m.9.590 kHz
EDC-Run Radio Station Opens in Juba, Sudan
December 15, 2010
Amid music, speeches, and much fanfare, a grand opening ceremony was held December 14 for the new independent radio station for the Sudan Radio Service (SRS) in Juba, Southern Sudan.
The new station greatly expands the reach of SRS, which delivers news, education programs, and music in 12 languages. Broadcasts previously originated from studios in Nairobi, Kenya, using shortwave radio frequencies. SRS will now offer additional programming and increase its current coverage from 6 to 15 hours a day using a high quality FM signal. Originally built in New Jersey, the station’s new transmitter, studios, and radio tower were re-assembled by hand in Juba over many months.
Speaking at the launch event were officials of the government of Southern Sudan, officials of the U.S. Consulate in Juba, and representatives from the U.S. Agency for International Development (USAID), which funds the radio service. EDC’s Victor Lugala was master of ceremonies.
The station symbolizes the importance of free speech and freedom of the press, said USAID Assistant Administrator Nancy Lindborg. She also praised the government of Southern Sudan for supporting those values. The Council General of the U.S. Consulate, Ambassador Barrie Walkley, also spoke about the power of the media in Africa.
“This is a great moment for SRS, and we can say that SRS has come a long way,” said SRS project manager Jane Kariuki. “This has been a long journey. From the inception of SRS, this was a dream that was always in the pipeline.”
Before the ceremony, USAID hosted an all-day open house for the organizations working in Southern Sudan. EDC’s South Sudan Interactive Radio Instruction (SSIRI) program featured its work, which includes lessons that are broadcast on the new 98.6 SRS FM. Established by EDC in 2003, SRS was the first independent news source in Sudan. Modeled after National Public Radio in the United States, its staff includes about 40 journalists and producers based in Sudan and Nairobi. Existing SRS bureaus throughout Sudan, as well as special coverage of Darfur through a two-year U.S. Department of State grant, will continue to operate from both Juba and Nairobi.
The referendum to decide on independence for Southern Sudan will be held on January 9.