02 giugno 2008

La radio ai tempi della paranoia

Ta-tatta-ta-tatta-ta-taaaaa-taa. C'è una microscopica, a suo modo felice minoranza della mia generazione che custodisce un duplice ricordo del prolungamento della guerra europea, durato dal 1945 al 1989. Un ricordo "multimediale". Visivamente è popolato dalle immagini della scarpa di Krushev, dei cappottoni di Brezhnev o Tchernenko, su, su fino ai giovani festanti a cavallo di un muro di Berlino già in disfacimento. La seconda traccia, più debole ma forse ancora più persistente, almeno per quanto mi riguarda, scorre tuttora nelle orecchie, dove riecheggiano le voci e i suoni che un adolescente degli anni settanta sintonizzava, di sera tardi, con un miracoloso "transistor" Sony colorato - hai visto mai - di un rosso davvero proletario ma del tutto casuale, considerando le prime affiliazioni politiche repubblicane (inteso come il PRI di La Malfa padre, che però a ben pensare agitava una bandiera con foglia d'edera in campo rosso).
Il suono in assoluto più evocativo, quello che riesce a rappresentare tutta un'epoca di contrapposizione e paranoia, è fatto di poche note di fiati, la breve melodia di una marcetta in minore, pochissime battute di una tristezza infinita, addirittura lugubre. Paradossalmente lontana dall'ottimistica retorica che proprio quelle note avrebbero dovuto aiutarci a sintonizzare.
Erano le note del segnale di intervallo di Radio Tirana (ju flet Tirane) e giungevano da una nazione letteralmente circondata dai muri delle ideologie e costellata dei bunker fatti costruire da un dittatore che di grande aveva solo la tragica follia. L'Albania di allora era la Corea del Nord dell'Europa. La Radio Tirana di oggi sembra arrivare da una galassia diversa.
Sono passati 23 anni dalla morte di quel dittatore (andatevi a guardare questo incredibile sito-memoriale su Enver Hoxha) e circa 18 dalla rivoluzione che spazzò via anche la lugubre marcetta. Ma ho subito risentito dentro di me quelle note leggendo sull'ultimo Diario l'articolo dedicato a Ylljet Aliçka, uno scrittore albanese che recentemente è stato nominato addirittura ambasciatore del suo paese a Parigi. Un pezzo straordinario quello scritto da Margherita Belgiojoso; da solo merita che corriate in edicola (Diario Anno XIII N. 9). Si parla di un eroico omino che arriva a pubblicare i suoi primi libri a cinquant'anni, di un lavoro fortunato, viste le circostanze, in contatto con gli organismi internazionali, di una passione per la cultura italiana e per le canzoni di Fabrizio De André, di una strana amicizia con Faber. E di un libro di racconti pubblicato in Italia da Guaraldi e intitolato I compagni di pietra, da cui il regista Gjergj Xhuvani ha tratto un film che può essere visto integralmente su Internet. Ancora non riesco a togliermi dall'orecchio la marcetta.

1 commento:

Andrea Lawendel ha detto...

Antonia, amica di Ylljet Alicka, mi ha inviato questa reminiscenza letteraria. Ho terminato di leggere Compagni di pietra e l'ho trovato bellissimo. Con poche pennellate e personaggi apparentemente "piccoli", l'autore riesce a trasmettere molto bene il senso degli ultimi anni di una nazione prima rinchiusa in una morsa di povertà, retorica e infiniti sospetti, e poi sottoposta a una controrivoluzione anarchica e banditesca. Ma ecco quello che mi scrive Antonia:
Caro Andrea, mi è molto piaciuto il tuo articoletto sull'Albania; anch'io seguo con piacere le "avventure" di Margherita Belgiojoso e sono da anni molto intrigata dall'Albania. Conosco personalmente Ylliet Alicka e posso confermarti che è una persona davvero speciale... il suo libro racconta la sua esperienza ed è gustosissimo sentr raccontare da lui la vita a Tirana e altrove per dei giovani intelligenti e curiosi a quell'epoca, pensa che lui ed altri amici avevano un mito: Giancarlo Vigorelli che faceva una rivista di letteratura europea, vietatissimo come quasi tutto, ma che loro leggevano grazie a una studentessa, figlia del grande poeta nazionale, che lo prendeva di nascosto al padre (Linda è poi diventata la moglie di Ylliet!)