15 gennaio 2008

La radio muore e il podcast si sente poco bene

Non ho mai capito i titoli a effetto che devretano la "fine" e la "morte" di qualsiasi cosa a distanza di poche ore dall'avvento di una qualunque novità tecnologica. Un bambino capirebbe che le tecnologie "di sostituzione" sono pochissime. A me vengono in mente l'automobile al posto del calesse e forse - dico forse - il CD al posto del vinile. Tutto il resto, tecnologie vecchie e nuove si sovrappongono e coesistono più o meno felicemente, determinando nicchie di mercato anche molto consistenti e sempre ricche di creatività.
Così mi viene da ridere leggendo che dall'Australia il Sydney Herald decreta la morte della radio sulla base del grande successo delle pagine podcast sui siti di ABC, mentre dagli Stati Uniti Alexander Wolfe di InformationWeek si chiede "is podcasting dead?" affermando che ormai esistono più podcaster che ascoltatori di podcast (oddio, su questo non mi sentirei di dargli completamente torto...) mentre la radio ha 220 milioni di ascoltatori.
I gusti cambiano, la gente si sposta da una modalità di fruizione all'altra, a seconda delle convenienze e delle mode. Ma non basta per concludere che il podcasting è già agonizzante perché il network di PodTech è in crisi di identità e grandi firme come Robert Scoble si dedicano ad altro. O che la radio è ormai destinata al pensionamento perché in Australia ABC registra due milioni di podcast scaricati in un mese e anche le radio commerciali cavalcano il fenomeno alla grande:

The ABC is now regularly topping two million podcast downloads a month. Austereo (owner of Triple M and Melbourne's Fox FM) is registering more than 850,000 a month across all its stations, a figure that is increasing by 50,000 each month.

La radio continua evidentemente a essere un fenomeno sociale e culturale di grande importanza. E il podcasting non è, come vorrebbero farci credere, una anti-invenzione che ucciderà il medium più vecchio, ma una perfetta integrazione per chi vuole usufruire della radio in modo diverso e farsi sentire senza tutte le barriere d'accesso che rendono così esclusivi i canali tradizionali. Piantiamola con queste visioni apocalittiche degne delle peggiori guerre di religione tra impallinati.

5 commenti:

Fabrizio ha detto...

Riguardo a tecnologie che potrebbero "morire" io distinguerei tra le forme di espressione (musica, cinema, informazione, ecc..) e il supporto. La musica non morirà mai (non parlo della qualità) ma i supporti possono morire: il 78 giri e i mitici 45 giri sono morti e sepolti; il 33 giri sopravvive come oggetto di culto, anche il supporto cd rischia di essere superato dai dvd e dalle memorie portatili usb.

Riguardo alla morte della radio: la radio sopravviverà però da un certo punto di vista è come se fosse già morta perchè è decisamente marginale nel sistema dei media attuali. Tanto per fare un esempio (sennò non si capisce cosa voglio dire): non ero nato ma immagino che la radio abbia avuto una grandissima importanza per informare gli italiani sui risultati delle elezioni del 1948. Con l'invenzione della tv, tale radio si perde (la radio non muore ma sicuramente non è un medium centrale): quanti di voi erano a casa e hanno acceso la radio per sapere chi aveva vinto le elezioni del 1994 o quelle del 2006? Io ho acceso la tv (se non fossi stato a casa avrei usato la radio, ma a casa la tv stravince).

Andrea Lawendel ha detto...

Secondo me stai utilizzando controesempi troppo scontati per dimostrare la marginalità del mezzo radiofonico. Che la radio abbia perso - evidentemente - la sua prerogativa di mezzo esclusivo, non è a mio parere sufficiente per decretarne la morte, presunta o virtuale che sia. Semmai c'è stata una trasfigurazione, così come c'è stata, a ben vedere, una trasfigurazione del vinile nel CD prima e del DVD adesso (ma guarda caso il format dell'album sopravvive sempre, perché un gruppo o un cantante non possono certo adattare la loro capacità creativa alla capienza sovrumana delle memorie attuali). La radio resta un mezzo "altro" rispetto alla televisione o al giornale, e perfino alla stessa Internet. Per milioni di persone ogni giorno, per qualche tempo (mi riferisco all'auto ovviamente), mantiene addirittura la sua esclusività. Lo stesso avviene nei confronti di mlioni di poveri.
Nel 1948 è del tutto plausibile che l'attesa nei confronti dei risultati elettorali fosse tiepida, concentrata in una elite di attivisti. Io, che evidentemente non faccio testo, seguo regolarmente i risultati elettorali su Radio Popolare. Il fatto che milioni di persone siano portati ad accendere compulsivamente la televisione (una televisione di infima qualità), pertiene piuttosto ai meccanismi dell'assuefazione farmacologica più che a un autentico bisogno di informazione o ad una reale capacità di informare. Questo naturalmente può essere vero anche per la radio. Quel che conta è che la marginalità numerica ed economica non si riflette necessariamente in una perdita di capacità culturale, sociologica e psicologica. La voce umana, non solo la musica, conserva un potere formidabile anche nella civiltà della (pessima) immagine.

Fabrizio ha detto...

Secondo me hai un pregiudizione negativo verso la tv.Provo a spiegarmi: se si parla di fruizione personale, ognuno può avere i pregiudizi che vuole e ognuno usa i media che vuole; ma se si tenta un'analisi dei media e di come vengono fruiti non si dovrebbe avere nessun pregiudizio. Ame piace la radio ma se dovessi spiegare la società occidentale a uno che non c'è mai stato, non potrei dire che la radio è centrale, direi una cosa non vera.
La televisione ha una potenza che la radio non ha: l'immagine ha una potenza comunicativa che trascende qualsiasi barriere linguistica. Se 2 persone fossero state in un Paese straniero l'11 settembre, uno con la radio e uno con la tv, chi avrebbe capito qualcosa? Non voglio sminuire la radio, ma la radio informa se condividi la stessa lingua, altrimenti è inutile. La tv no, informa sempre, anche se non condividi la lingua (certo, se perdono molte cose, ma l'immagine di un aereo che entra in un grattacielo è talmente potente che un commento è quasi superfluo).

Riguardo ai risultati elettorali (nel 1948, con la collocazione internazionale dell'Italia che era in ballo, l'affluenza alle urne fu del 92%, record; non penso che interessassero solo pochi attivisti), io accendo la tv non perchè lo fanno tutti ma perchè voglio vedere le facce dei politici, le facce comunicano anche senza parlare. Voglio vedere una mappa dell'Italia che con un colpo d'occhio mi faccia capire quali province hanno votato a destra e quali a sinistra, voglio vedere quali partiti sono cresciuti e quali diminuiti. Tutte cose che purtroppo per radio non si possono fare (o si faranno con la visual radio).

Andrea Lawendel ha detto...

L'unico pregiudizio negativo che ho è nei confronti della tv della menzogna e della manipolazione (e lasciamo stare la merda del cosiddetto intrattenimeno) che in questi anni ci è stata propinata troppo spesso. A me piace molto la televisione ben fatta e non voglio assolutamente contestarne il ruolo, l'importanza e, vivaddio, il sacrosanto dominio (ancora una volta porti un esempio estremo, il 9/11, per sottolineare la forza del newscast televisivo, ma tralasci il ruolo dell'informazione radiofonica per decine di milioni di automobilisti in fasi niente affatto marginali delle loro giornate). Volevo semplicemente dire che non puoi parlare di "marginalità" della radio solo guardando ai numeri, perché se dovessimo guardare solo ai numeri dovremmo certificare la morte dei quotidiani, dei libri, del teatro e della cultura in generale. Il consumo dei media e il loro impatto su chi li consuma è una equazione a mio parere molto complessa. Nel mix mediatico, specie nelle fasce giovanili, tutto tende a essere al tempo stesso periferico e centrale.

Anonimo ha detto...

lo confesso, sto "lurkando" questa bellissima discussione che forse affonda le sue radici in due diversi stili di vita piuttosto che in diverse "visioni" della storia e del futuro dei media... :-) a