15 ottobre 2008

Il contadino e la radio

Maurizio Maggiani è uno di quei rari scrittori modesti e defilati. Conosciuto e amato com'è, non lo si vede fortunatamente frequentare i vacui talk show di una televisione sempre piàù inguardabile. Maggiani è un ligure atipico (devo dire che di "tipici" ne conosco pochi), di quell'oriente spezzino che ho imparato ad apprezzare per questioni radiofoniche. Ma un amico genovese doc e bravo con gli obiettivi e le pellicole mi dice che la sua recente opera bio-fotografica, "Mi sono perso a Genova" (Feltrinelli), è un gioiello di introspezione su una città misteriosamente impenetrabile per chi non vi sia nato ("come si può vivere in un posto così brutto?" mi chiedevo da piccolo, trasportato su quei contorti viadotti in direzione del mare; su certe cose noi milanesi proprio non abbiamo occhi).
Da tempo Maggiani cura sul Secolo XIX, una rubrichina di posta dei lettori e la risposta di oggi è finita nel mio aggregatore perché "u Nonu" ha titolato nel modo che vedete. Vi riporto qui la lettera inviata alla redazione del quotidiano genovese e la risposta di Maggiani. Diciamo che la discussione verte su vantaggi e svantaggi della civilizzazione.
Se andate sul sito della Feltrinelli scoprirete che Maggiani cura per il suo editore anche una (purtroppo saltuaria) rubrica di podcasting. Realizzata, figuratevi un po', al telefono. Forse si tratta di un telefono a disco, perché il suono era più o meno quello. La serie di podcast si intitola "Il viaggiatore zoppo" e si capisce abbastanza il perché.
Non la radio, né la televisione hanno ucciso il mondo contadino

Tremila anni di cultura contadina sono stati spezzati via da un paio di generazioni confuse, attratte dai mezzi di telecomunicazione: è stata la radio prima, poi è stata la televisione e i suoi “valori” o contro valori se preferite. Un universo fantasioso, zeppo di leggende, tradizioni, sentimenti, anche crudeltà, è stato gettato per dar spazio al “Grande Fratello”, a “L’Isola dei Famosi”, a tanti quiz televisivi e scemenze varie. Il linguaggio dell’italiano medio si è impoverito di termini, di espressioni: pure la capacità critica, il pensiero, si è ridotto. Siamo sempre più stritolati da luoghi comuni di una borghesia piccola, piccola, talvolta meschina, inceppata per colpa di preconcetti e di un “buon senso comune” inutile e miope. Il mondo contadino, con tutti i suoi difetti, era autentico, veritiero, libero, spesso, fantasioso e creativo. Quelle spesso erano vite autentiche, vissute con fatica, ma con dignità, che scarseggia oggi. L’angoscia dell’uomo di oggi, frutto di mille problemi inesistenti, frivoli, non esisteva: c’era sì il dolore, ma era vissuto con forza, con orgoglio. L’uomo era immerso in un mondo semimagico, dove tutto aveva un senso e tutto era spiegato con simboli naturali: forse era più vicino al sogno, ma era quello di un essere che sa perché esiste e non c’erano i nostri incubi. Oggi siamo sbandati e navighiamo alla deriva, in cerca del nulla della stupidità: siamo ciechi e avanziamo verso il precipizio. Speriamo di riaprire in tempo gli occhi e riscoprire le nostre radici umane, popolari di figli della terra, di gente umile, semplice, onesta, oltre che cristiana.
(lettera firmata)

In una sua memorabile omelia - a memoria mi pare corresse l’anno domini 1947 - l’arcivescovo cardinal Siri condannò con parole di calda sincerità, e di verità, a suo modo, l’invenzione e l’uso dell’energia elettrica, la cui introduzione aveva sovvertito l’ordine naturale, divino, nello svolgersi della vita quotidiana, confondendo il giorno con la notte, distogliendo dal giusto lavoro e dal giusto riposo, dando occasione di pervertire la notte e la sua benigna oscurità in una illusione peccaminosa di un eterno diurno affannarsi, moltiplicando le occasioni di dannazione. Beh, direi che il mondo da lei così caldamente ricordato e con tanta nostalgia rivendicato sia finito giusto al tempo della diffusione dell’energia elettrica per l’illuminazione stradale e domestica. Pur apprezzando i valori di quel mondo, lo stile di vita e la forma morale di quella vita, non vedo come si possa anche solo immaginare un così radicale e fantascientifico “rewind” che ci riporti a quei bei tempi. Personalmente apprezzo molto il mondo contadino, essendo il mio mondo familiare, capisco molte delle sue nostalgie, ma se devo dire proprio la verità, quel mondo magico e incantato, quei valori sani e concreti, si esplicitavano per me bambino con l’andare a fare i bisogni d’estate e d’inverno in una baracchetta di legno in mezzo all’orto infestata dai calabroni, ad andare a procurare acqua potabile alla fontana e altre piccolezze che messe insieme non mi fanno rimpiangere di essermene emancipato, anche avendo pagato un caro prezzo alla contemporaneità. Le sto scrivendo mentre alla radio trasmettono in diretta da Londra la Quinta Sinfonia di Malher, e le assicuro che il piacere che ne ricavo non lo trovo affatto perverso.


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