Un articolo al chiaroscuro, quello apparso ieri sul Corriere a proposito del futuro della radio, che non fa molto per chiarire e comunicare una realtà complicata, largamente ignorata dal grande pubblico. Sospetto che la confusione tra le sigle e l'accostamento, improprio, tra radio e tv digitale, quasi che la radio fosse ormai costretta a inchinarsi al medium dominante, limitandosi a scimmiottarne le prerogative, nasca da una discussione di taglio troppo ingegneristico, dalla solita sventagliata di acronimi che i tecnici continuano a utilizzare per "spiegare" la radio digitale.
Il che ci riporta al peccato originale che impedisce alla radio digitale di affermarsi nonostante 15 anni di sperimentazioni ed evoluzione tecnologica. Non è una questione di tecnologie, di modulazioni, compressioni, algoritmi, digital signal processing. La tecnologia ci dice semplicemente che in certe condizioni (ma solo in certe condizioni), la modulazione OFDM della radio DAB e il trasporto di audio codificato e compresso secondo certi algoritmi, possono offrire un vantaggio qualitativo rispetto alle modulazioni analogiche e un impiego ottimizzato delle radiofrequenze. Punto. L'errore più grande è ridurre tutto alla tecnologia e credere che adottandola milioni di persone accenderanno la radio e dimenticheranno Internet. E' una illusione che non regge.
L'articolo del Corriere parte dalla "notizia" dello switchover, del passaggio dalla radio analogica alla radio digitale, deciso dal governo francese per il 2012. Non è così, il 2012 è semmai la data prevista per tutti per lo switchover (o switchoff considerando lo spegnimento dell'analogico) verso la televisione digitale terrestre. E' invece vero che il progetto di radiofonia digitale francese, per il quale in piena controtendenza con l'Europa è stato scelto uno standard prettamente televisivo come il T-DMB (nato per i televisori palmari, handheld), continua a sollevare un mucchio di perplessità per la scarsa accessibilità della infrastruttura T-DMB alle piccole emittenti locali. A fine giugno il governo francese ha conferito a David Kessler l'ennesimo mandato esplorativo per fare il punto sul "futuro della radiofonia digitale" (per ora un futuro senza presente). Entro fine novembre 2010 Kessler deve concludere il suo mandato. Albino Pedroia, noto consulente parigino, docente universitario ed espertissimo in materia, mi scrive al proposito:
«L'ho incontrato e mi ha confermato che a fine settembre pubblicherà un "raport d'étape" il cui scopo è di testare alcune ipotesi di soluzioni/proposte. Dopo questa prima pubblicazione riceverà di nuovo gli attori del mercato per raccogliere le loro reazioni. A fine novembre pubblicherà il rapporto finale con le sue raccomandazioni. Quindi fino a fine novembre il CSA [l'autorità regolatrice francese, NdR] non farà niente, evidentemente. Quindi niente appalti, nessun calendario ecc.»
Lo standard DVB-NGH (next generation handheld), citato sul Corriere dal responsabile del Centro ricerche Rai, è semplicemente l'evoluzione dello standard DVB-H. L'ETSI non lo ha ancora finalizzato, la stesura definitiva della prima versione è attesa per il 2011 e personalmente non penso che i normatori abbiano tutta questa fretta visto lo scarso successo commerciale del DVB-H. Stiamo comunque parlando di uno standard multimediale di stampo prettamente televisivo, che ha poco a che fare con il DAB+ verso cui si stanno orientando l'Italia in questi mesi, con un programma congiunto pubblico-privato (ma i soldi per ora ce li mette RaiWay) di graduale potenziamento della finora scarsa infrastruttura, e le altre nazioni europee che ancora credono al DAB (ad eccezione della Francia e del Regno Unito, preoccupato di salvaguardare i suoi pesanti investimenti in una infrastruttura DAB costretta a farsi strada a colpi di provvedimenti di legge) e l'Australia. Il T-DMB, che pure è molto televisivo, si adatta forse più facilmente, anche se con parecchi sprechi, alla trasmissione di flussi audio. E non è stato affatto un successo in Corea, dove per la televisione palmare T-DMB è stato speso molto e ottenuto poco. Il futuribile DVB-NGH è pensato per i "rich media". La radio, ed è questo il suo bello, è un poor medium, un mezzo leggero che ha dato prova di grandi capacità di adattamento.
La radio digitale non è la radio che si traveste da televisione, una televisione sempre più immersa nelle complessità tecniche dell'HD e del 3D, ma un linguaggio diverso che semmai cerca di aprirsi a linguaggi di tipo visuale e testuale. Inutile vendercela come alternativa a Internet o alla musica MP3 (anche se qualcuno dovrebbe accorgersi che la musica MP3 cresce costantemente e la programmazione musicale delle radio fa semplicemente pena), è solo il medium della parola e del suono nudo, trasmesso in tempo reale, che come ha sempre fatto negli ultimi 90 anni si adatta agli altri linguaggi che lo circondano, li affianca, li completa, a volte li rimpiazza, a volte si defila. Chi dovesse ritenere che il DAB+ potrà indurre il pubblico a dimenticare Internet è un illuso. E sono illusi quelli che ritengono che la radio digitale possa assicurare un gigantesco salto qualitativo. Il digitale non gracchia come l'FM, questo è vero, ma non dimentichiamo che dove il segnale arriva male (col DAB basta allontanarsi dalla finestra di casa) si sente solo il silenzio.
Ho ricevuto il comunicato del country manager di Pure relativo alla presenza del costruttore britannico, marchio di riferimento sul mercato globale dei ricevitori DAB, alla fiera IFA di Berlino (3-8 settembre). Se ci andate, fate una visita allo stand 129 del padiglione 1.2. Pure ha realizzato recentemente un apparecchio radio, Sensia, che può aiutare davvero a promuovere un modello di radiofonia "ibrido", con qualità audio digitale e la capacità, tramite un display touchscreen e il sistema operativo Linux, di mescolare i flussi radiofonici e di visual radio (ma ha davvero senso questa elementare forma di videotext, 25 anni dopo il videotext?) previsti dal DAB+ con le informazioni e le applicazioni di Internet. Un dispositivo ideale per tenere accesi entrambi i media e consentire loro di sfruttare, insieme, i reciproci vantaggi dei modelli broadcast e broadband.
Strumenti come Pure Sensia sono una ragione necessaria, ma non sufficiente, per l'affermazione della radio digitale DAB+, soprattutto in Italia, caratterizzata (tanto per cambiare) dalla assoluta anomalia di un numero elevatissimo di stazioni radio locali (800-1000) e di una totale mancanza di regolamentazione nell'assegnamento delle frequenze. Da noi continua a sussistere il paradosso per cui l'FM, tra interferenze e livelli di potenza abnormi, "suona" male per forza. Ma la "soluzione" digitale può provocare lo scontento di chi rischia di restare fuori dalla composizione dei multiplex su cui si basa il sistema DAB+. Senza contare la non trascurabile problematica della ricezione indoor, all'interno delle abitazioni, di segnali trasmessi su frequenze che hanno sempre richiesto antenne esterne. E' una situazione che stiamo ritrovando nel digitale televisivo DVB-T, dove le emittenti locali stanno facendo la fine dei vasi di coccio. Non fissarsi sul digitale, mantenere un atteggiamento aperto alla neutralità e alla convivenza di soluzioni analogiche e numeriche, è anche un buon modo per preservare il localismo. Quello che non possiamo accettare è che per imporre un digitale che da solo il mercato non cerca, si mandi al macero un principio di biodiversità mediatica che è la migliore garanzia dello stato di salute del mercato stesso.
Nessun commento:
Posta un commento