Ieri, negli ultimi scampoli di vacanza scolastica trascorsi in Versilia (niente radio, malgrado da queste parti ci siano località ottime per la propagazione troppo), stavo leggendo l'intervista che l'amico Giancarlo Radice dedicava sul Corriere di domenica a Carlo Bozotti, nuovo AD di STMicroelectronics. ST è un'azienda italiana (non solo italiana) un po' anomala perché oltre ad avere dimensioni ragguardevoli si muove in un comparto verso cui la nostra industria, dopo aver lasciato segni profondi e duraturi, ha da tempo deciso di voltare le spalle. ST plasma e fabbrica silicio e riesce a piazzare i suoi componenti avanzati un po' dappertutto, specie nei telefonini e in altri terminali-utente della convergenza digitale. Gli addetti ai lavori sanno che ST è molto interessata alla radio digitale, ha studiato prodotti per il DAB e per il DRM. Pochi mesi fa ha raggiunto un accordo con Philips per una joint venture con un altro chipmaker, NXP, che porterà ulteriore competenza e intellectual property in materia. L'evoluzione della radiofonia rappresenta solo una piccola quota del potenziale di interesse di una fabbrica di silicio di queste dimensioni. Il vero business è altrove, nei telefonini appunto, nei set top box e nei gateway che metteremo nelle nostre abitazioni sempre più connesse (sempre che si riesca a pagare la rata del mutuo o dell'affitto, ma questo è un altro discorso).
Nell'era della convergenza vengono però premiati gli approcci laterali alle applicazioni. Uno inventa uno strumento, e il mercato tira fuori mille applicazioni impreviste. Uno fabbrica un telefonino per venderlo come videocitofono o televisore da tasca e poi scopre che piuttosto la gente preferisce ascoltarci gli mp3, farci le foto e ascoltare la radio FM. Va bene tutto, a patto che il tuo hardware sia pensato in chiave software e che quando c'è di mezzo la radiofrequenza anche questa venga affrontata nello stesso modo, costruendo terminali che somigliano sempre meno a delle radio e sempre di più a dei computer dotati di "orecchie", come sono i nostri pc con le loro schede audio.
Il difetto principale dell'approccio che abbiamo visto finora alla ricezione delle modulazioni della radio digitale, è che gli industriali del settore (ST compresa) hanno pensato im modo troppo specifico, con lo sguardo ancora rivolto verso i vecchi modelli della radio analogica. Moduli di sintonia bloccati su determinate finestre di frequenze, demodulatori e codec mirati... Nessuno che abbia dimostrato sinora il coraggio di investire nel software defined radio in modo massiccio. Molti progressi nel campo risalgono a un'epoca molto recente ma fa specie pensare che un Nico Palermo arrivi con zero mezzi finanziari a risultati che industrie enormemente più blasonate non riescono a sfiorare nemmeno. ST ha avuto successo là dove il successo conta, nei mercati da due miliardi di pezzi per terminale. La radio digitale DAB invece è una storia di sostanziale delusione. Ma perché, secondo voi? Per quanto la radio possa sembrare un mercato meno sexy del telefonino, c'è da chiedersi se l'industria del silicio stia facendo i conti giusti, considerando che in occidente le famiglie continuano a possedere cinque o sei radio e autoradio per "focolare".
La radio, come la telefonia, non si esaurisce con il terminale utente. O meglio: l'utente dev'essere invogliato a procurarsi i terminali (e l'industria a fabbricarglieli) da un "sistema" costituito da contenuti e servizi appetibili. Gli attuali contenuti della radio sono appetibili, ma non rappresentano nel complesso una economia ricca. La radio dà lavoro a un po' di persone, fa vendere certi volumi di pubblicità, ma resta poca cosa rispetto ad altri mezzi. Sviluppare un sistema d'offerta costa e con la radio rientrare di questi costi è più difficile e lento. Purtroppo davanti a questa constatazione c'è chi ha pensato di aggirare l'ostacolo con soluzioni parziali. Per esempio cercando di convincerci che per cambiare la radio è sufficiente trasmettere con una modulazione digitale. E invece non basta, la modulazione è solo un pezzo della "nuova" radio e se il mercato non viene aiutato dall'esterno, con regolamenti e leggi capaci di pilotare un'intera industria (un percorso rischioso, se poi salta fuori che la legge ha promosso il sistema sbagliato), un singolo pezzo della soluzione può non bastare. Per arrivare al successo può non bastare neanche un sistema d'offerta ben articolato e appetibile, come dimostrano le enormi difficoltà fianziarie incontrate dalla radio satellitare negli USA.
Ma perchè sono partito citando l'intervista di Giancarlo (un gran bravo giornalista economico e una gran bella persona) a Bozotti (che dev'essere un gran bravo manager, in ST da quando questa si chiamava SGS e l'SDR non c'era manco nei libri di fantascienza)? Perché il futuro della radio è qualcosa che dovrebbe interessare molto certe aziende ma al tempo stesso richiede una capacità di inventiva che le aziende troppo grandi difficilmente riescono a governare. È un vero paradosso: più soldi hai e più devi stare attento a spenderli e il tuo rischio di impresa è doppio: paghi gli errori con le perdite e le occasioni perdute con i mancati guadagni. L'importante è riuscire a minimizzare le prime.
E per le occasioni perdute? Per quelle restano due speranze. Una è rappresentata dalle iniziative finanziate dai soldi di tutti noi. La nuova radio ha bisogno di un intero sistema alle spalle? Proviamo a fare in modo che le idee e le iniziative siano coordinate e direttamente partecipate dai broadcaster pubblici. Possibilmente quelli che si muovono come la BBC o Radio France o l'ARD, non come la RAI. Il broadcaster pubblico ha l'enorme vantaggio di capire la vera natura del problema: il futuro della radio non riguarda un singolo mezzo, ma un nuovo mezzo che abbraccia tutti i mezzi del passato ed è aperto a infinite modalità. L'altra speranza viene dalle idee del singolo e dall'effetto a valanga che un singolo piccolo "meme" può scatenare oggi grazie a potenti amplificatori come Internet, il software sociale e comunitario, l'economia della condivisione e della partecipazione contrapposta ai soliti modelli del profitto riservato a pochi fortunati. Ci vogliono nuovi Edwin H. Armstrong (lo sfortunato inventore della modulazione di frequenza), singoli cervelli capaci di mettere il seme giusto nel terreno giusto.
Mentre ero in viaggio verso il Forte l'altra sera mi telefona Mauro Fantin, di Visionee, per aggiornarmi sul suo progetto "Malindi", la radio digitale del Nord Est. Mauro era reduce da un entusiasmante incontro con i tecnici di Mirics, la piccola azienda fabless che progetta avanzati chipset per applicazioni SDR. Il nuovo prodotto messo a punto da Mirics, racconta Mauro, compie un enorme balzo in avanti sul piano della sensibilità, che in questi chip a conversione diretta, pensati per campionare tutta la radiofrequenza che si vuole da 0 a 2 GHz, è un fattore critico. Rispetto alla prima versione, il nuovo polyband tuner permette di ricevere segnali in banda L anche indoor con antenne semplici grazie a una maggiore sensibilità e a una migliore reiezione del rumore. L'altro componente del nuovo abbinamento Mirics si occupa della demodulazione e sembra che anche qui i cambiamenti siano significativi se davvero - come mi ha riferito Mauro - già a settembre Mirics rilascerà degli SDK compatibili con tutti gli standard, DRM+ compreso. Tanto poco convincente appariva l'idea di una modulazione digitale per segnali soggetti alla variabilità della propagazione ionosferica, tanto più sensata mi sembra l'idea di digitalizzare la modulazione in banda FM, magari allargandola incorporando le frequenze abbandonate dalla tv analogica. Sarà la fine del DX in E sporadico e troposferico? Il rischio c'è ma forse il rischio è ancora peggiore se l'intera Europa dovesse migrare massicciamente verso un consumo di contenuti via IP. Meglio una nuova radio o una radio spenta?
Al di là del successo potenziale dei vari schemi di modulazione alternativi all'analogico (Malindi, il terminale universale studiato da Mauro è anche un ricevitore per "vecchie" modulazioni), quello che per me conta è vedere che l'approccio di Mauro è olistico e laterale e non parte dal presupposto che per rinnovare la radio basta accendere un impianto DAB o attaccare un eccitatore DRM a un trasmettitore in onde medie di 40 anni fa. La radio nuova dev'essere in parte uguale a se stessa, in parte diversa. E se vuole essere antagonista o complementare al Web deve essere diversa anche da una web radio, facendo per esempio leva sull'ubiquità che una connettivatà Internet, con o senza cavi, non avrà ancora per un bel pezzo (questa è una peculiarità che la radio terrestre, analogica o numerica che sia la sua modulazione, deve far valere sul mezzo interattivo). Deve differenziarsi anche dai formati televisivi adattati al nuovo contesto della mobilità e della portabilità, anche perchè la tv mobile ha finora dato prova di scarsa affinità con i tradizionali stili di fruizione esterni al salotto mentre la radio ci ha seguito nei nostri spostamenti, accompagnandoci e informandoci senza distrarci, da almeno mezzo secolo.
Un lavoro di scoperta, riscoperta e metamoforsi che costerà molto in termini intellettuali, ingegneristici ed economici, ma che qualcuno dovrà fare, che alcuni anzi stanno già facendo. Da queste parti soldi non ce sono molti, ma cervelli sì. Di questi tempi vuol dire molto, non tutto. Sul piano organizzativo siamo messi peggio che andar di notte e non è una notte che abbia mai portato consiglio. Gli dei della buona radio ci guardino.
Nell'era della convergenza vengono però premiati gli approcci laterali alle applicazioni. Uno inventa uno strumento, e il mercato tira fuori mille applicazioni impreviste. Uno fabbrica un telefonino per venderlo come videocitofono o televisore da tasca e poi scopre che piuttosto la gente preferisce ascoltarci gli mp3, farci le foto e ascoltare la radio FM. Va bene tutto, a patto che il tuo hardware sia pensato in chiave software e che quando c'è di mezzo la radiofrequenza anche questa venga affrontata nello stesso modo, costruendo terminali che somigliano sempre meno a delle radio e sempre di più a dei computer dotati di "orecchie", come sono i nostri pc con le loro schede audio.
Il difetto principale dell'approccio che abbiamo visto finora alla ricezione delle modulazioni della radio digitale, è che gli industriali del settore (ST compresa) hanno pensato im modo troppo specifico, con lo sguardo ancora rivolto verso i vecchi modelli della radio analogica. Moduli di sintonia bloccati su determinate finestre di frequenze, demodulatori e codec mirati... Nessuno che abbia dimostrato sinora il coraggio di investire nel software defined radio in modo massiccio. Molti progressi nel campo risalgono a un'epoca molto recente ma fa specie pensare che un Nico Palermo arrivi con zero mezzi finanziari a risultati che industrie enormemente più blasonate non riescono a sfiorare nemmeno. ST ha avuto successo là dove il successo conta, nei mercati da due miliardi di pezzi per terminale. La radio digitale DAB invece è una storia di sostanziale delusione. Ma perché, secondo voi? Per quanto la radio possa sembrare un mercato meno sexy del telefonino, c'è da chiedersi se l'industria del silicio stia facendo i conti giusti, considerando che in occidente le famiglie continuano a possedere cinque o sei radio e autoradio per "focolare".
La radio, come la telefonia, non si esaurisce con il terminale utente. O meglio: l'utente dev'essere invogliato a procurarsi i terminali (e l'industria a fabbricarglieli) da un "sistema" costituito da contenuti e servizi appetibili. Gli attuali contenuti della radio sono appetibili, ma non rappresentano nel complesso una economia ricca. La radio dà lavoro a un po' di persone, fa vendere certi volumi di pubblicità, ma resta poca cosa rispetto ad altri mezzi. Sviluppare un sistema d'offerta costa e con la radio rientrare di questi costi è più difficile e lento. Purtroppo davanti a questa constatazione c'è chi ha pensato di aggirare l'ostacolo con soluzioni parziali. Per esempio cercando di convincerci che per cambiare la radio è sufficiente trasmettere con una modulazione digitale. E invece non basta, la modulazione è solo un pezzo della "nuova" radio e se il mercato non viene aiutato dall'esterno, con regolamenti e leggi capaci di pilotare un'intera industria (un percorso rischioso, se poi salta fuori che la legge ha promosso il sistema sbagliato), un singolo pezzo della soluzione può non bastare. Per arrivare al successo può non bastare neanche un sistema d'offerta ben articolato e appetibile, come dimostrano le enormi difficoltà fianziarie incontrate dalla radio satellitare negli USA.
Ma perchè sono partito citando l'intervista di Giancarlo (un gran bravo giornalista economico e una gran bella persona) a Bozotti (che dev'essere un gran bravo manager, in ST da quando questa si chiamava SGS e l'SDR non c'era manco nei libri di fantascienza)? Perché il futuro della radio è qualcosa che dovrebbe interessare molto certe aziende ma al tempo stesso richiede una capacità di inventiva che le aziende troppo grandi difficilmente riescono a governare. È un vero paradosso: più soldi hai e più devi stare attento a spenderli e il tuo rischio di impresa è doppio: paghi gli errori con le perdite e le occasioni perdute con i mancati guadagni. L'importante è riuscire a minimizzare le prime.
E per le occasioni perdute? Per quelle restano due speranze. Una è rappresentata dalle iniziative finanziate dai soldi di tutti noi. La nuova radio ha bisogno di un intero sistema alle spalle? Proviamo a fare in modo che le idee e le iniziative siano coordinate e direttamente partecipate dai broadcaster pubblici. Possibilmente quelli che si muovono come la BBC o Radio France o l'ARD, non come la RAI. Il broadcaster pubblico ha l'enorme vantaggio di capire la vera natura del problema: il futuro della radio non riguarda un singolo mezzo, ma un nuovo mezzo che abbraccia tutti i mezzi del passato ed è aperto a infinite modalità. L'altra speranza viene dalle idee del singolo e dall'effetto a valanga che un singolo piccolo "meme" può scatenare oggi grazie a potenti amplificatori come Internet, il software sociale e comunitario, l'economia della condivisione e della partecipazione contrapposta ai soliti modelli del profitto riservato a pochi fortunati. Ci vogliono nuovi Edwin H. Armstrong (lo sfortunato inventore della modulazione di frequenza), singoli cervelli capaci di mettere il seme giusto nel terreno giusto.
Mentre ero in viaggio verso il Forte l'altra sera mi telefona Mauro Fantin, di Visionee, per aggiornarmi sul suo progetto "Malindi", la radio digitale del Nord Est. Mauro era reduce da un entusiasmante incontro con i tecnici di Mirics, la piccola azienda fabless che progetta avanzati chipset per applicazioni SDR. Il nuovo prodotto messo a punto da Mirics, racconta Mauro, compie un enorme balzo in avanti sul piano della sensibilità, che in questi chip a conversione diretta, pensati per campionare tutta la radiofrequenza che si vuole da 0 a 2 GHz, è un fattore critico. Rispetto alla prima versione, il nuovo polyband tuner permette di ricevere segnali in banda L anche indoor con antenne semplici grazie a una maggiore sensibilità e a una migliore reiezione del rumore. L'altro componente del nuovo abbinamento Mirics si occupa della demodulazione e sembra che anche qui i cambiamenti siano significativi se davvero - come mi ha riferito Mauro - già a settembre Mirics rilascerà degli SDK compatibili con tutti gli standard, DRM+ compreso. Tanto poco convincente appariva l'idea di una modulazione digitale per segnali soggetti alla variabilità della propagazione ionosferica, tanto più sensata mi sembra l'idea di digitalizzare la modulazione in banda FM, magari allargandola incorporando le frequenze abbandonate dalla tv analogica. Sarà la fine del DX in E sporadico e troposferico? Il rischio c'è ma forse il rischio è ancora peggiore se l'intera Europa dovesse migrare massicciamente verso un consumo di contenuti via IP. Meglio una nuova radio o una radio spenta?
Al di là del successo potenziale dei vari schemi di modulazione alternativi all'analogico (Malindi, il terminale universale studiato da Mauro è anche un ricevitore per "vecchie" modulazioni), quello che per me conta è vedere che l'approccio di Mauro è olistico e laterale e non parte dal presupposto che per rinnovare la radio basta accendere un impianto DAB o attaccare un eccitatore DRM a un trasmettitore in onde medie di 40 anni fa. La radio nuova dev'essere in parte uguale a se stessa, in parte diversa. E se vuole essere antagonista o complementare al Web deve essere diversa anche da una web radio, facendo per esempio leva sull'ubiquità che una connettivatà Internet, con o senza cavi, non avrà ancora per un bel pezzo (questa è una peculiarità che la radio terrestre, analogica o numerica che sia la sua modulazione, deve far valere sul mezzo interattivo). Deve differenziarsi anche dai formati televisivi adattati al nuovo contesto della mobilità e della portabilità, anche perchè la tv mobile ha finora dato prova di scarsa affinità con i tradizionali stili di fruizione esterni al salotto mentre la radio ci ha seguito nei nostri spostamenti, accompagnandoci e informandoci senza distrarci, da almeno mezzo secolo.
Un lavoro di scoperta, riscoperta e metamoforsi che costerà molto in termini intellettuali, ingegneristici ed economici, ma che qualcuno dovrà fare, che alcuni anzi stanno già facendo. Da queste parti soldi non ce sono molti, ma cervelli sì. Di questi tempi vuol dire molto, non tutto. Sul piano organizzativo siamo messi peggio che andar di notte e non è una notte che abbia mai portato consiglio. Gli dei della buona radio ci guardino.
2 commenti:
a proposito di STM e radio digitale leggo su RP del 17 ottobre 2006 : "Paolo Ruffino di St Microelettronics [...] ha annunciato per la fine del 2007 la disponibilità dei primi chip Drm realizzati da St".
Siamo nel 2008 inoltrato e sarebbe interessante sapere che fine hanno fatto 'sti chip.
Ottima domanda.
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