16 dicembre 2011

Spotify e le altre, industria musicale e radiofoniche a un punto di svolta

Lo sbarco in Italia di Rara.com, nuovo servizio di streaming musicale legale in abbonamento, l'imminente (a quanto si sapeva avrebbe dovuto arrivare da noi il 15 dicembre) arrivo di un pioniere del genere come la francese Deezer e l'ormai probabile debutto di Spotify, ci devono far riflettere - e in fretta - sui cambiamenti radicali che modelli tradizionali come la radiofonia essenzialmente musicale e l'intera "industria" della musica registrata dovranno prima o poi affrontare seriamente.
Su Spotify, che da novembre è disponibile oltre che negli USA, Svezia, UK e Francia anche in diverse nazioni europee, Scandinavia, Austria, Svizzera e Olanda comprese (in Norvegia c'è un servizio molto simile chiamato Wimp, ne accennerò tra poco), si concentra l'attenzione di molte testate tecnologiche a causa della autentica raffica di annunci che caratterizza l'operatore anglo-svedese più o meno dallo scorso settembre, da quando cioè sono stati presentati gli ambiziosi piani di integrazione con Facebook e tutte le estensioni "social" che consentono agli utenti di Spotify - quelli che attivano un account oggi sono addirittura obbligati ad avere anche una identità su Facebook - di accedere alle playlist musicali dei loro amici e a condividere le proprie.
Proprio in questi giorni sono state annunciate per esempio importanti novità relative alla funzione radio di Spotify che finora somigliava molto a quella che troviamo su Pandora o LastFM. Ricordiamo che Spotify nasce essenzialmente come grande archivio di brani musicali che l'abbonato può consultare in autonomia. La radio integrata nel servizio consente invece di consumare musica in una modalità più radiofonica, cioè senza scegliere direttamente i brani ma affidandosi ai motori di raccomandazione di un canale radio in grado di proporre autonomamente pezzi che dovrebbero incontrare, almeno in teoria, i gusti dei loro ascoltatori, sulla base delle passate abitudini di ascolto o su criteri appunto condivisi con la cerchia dei propri amici.
Oggi Spotify sta riscrivendo le sue modalità e l'interfaccia del suo "player". Una delle novità più importanti è per esempio l'arrivo delle "app" integrabili all'interno della piattaforma (una delle prime è proprio quella di LastFM, un motore di "scoperta" di nuova musica su basi social). Un'altra novità è la radio rivista e corretta. Gli algoritmi di raccomandazione sono stati rivisti completamente, scrive Spotify sul suo blog ufficiale ed è stata introdotta (occorre naturalmente essere iscritti e scaricare la nuova versione del software Spotify per Win o Mac) una funzione che permette di "saltare" senza alcun limite i brani automatici che non piacciono all'ascoltatore. E' una differenza importante rispetto a Pandora, che permette sì di saltare un brano ma non oltre un certo limite numerico. Gli esperti ci spiegano che questa differenza è legata ai diversi modelli di licensing applicati. Pandora con le case discografiche ha accordi simili a quelli sottoscritti dalle Web radio, che impongono limiti precisi all'autonomia decisionale dell'ascoltatore finale. Spotify, nata con obiettivi diversi, ha invece stipulato accordi che consentono agli abbonati di scegliere quello che vogliono ascoltare e questa capacità viene conservata anche quando si tratta di seguire la musica proposta dagli algoritmi di raccomandazione. A differenza di Pandora, Spotify punta a diventare quindi una radio autenticamente personalizzabile.
Quale che sia il modello, la radiofonia tradizionale dovrà in qualche modo adeguarsi. Oggi la radio nazionale svedese Sverige Radio, ha annunciato un accordo con Spotify e con Wimp, che per un anno ospiteranno tra i loro contenuti quelli dei canali radiofonici nazionali della SR. Inizialmente l'offerta si concentra sull'intrattenimento del canale P3 (simile al nostro Radio 2), ma ci sono anche programmi musicali. E' molto istruttivo leggere le dichiarazioni della vicepresidente di Sverige Radio, Cilla Benko. Ormai, dice la Benko, non sono i nostri ascoltatori a venire da noi, siamo noi che dobbiamo andar loro incontro sulle altre piattaforme. Spotify in Svezia ha una audience complessiva del 50%, uno svedese su due ha utilizzato il servizio. Ma nella fascia 16-25 anni la percentuale è bulgara più che svedese: l'86%. Una emittente pubblica che vuole farsi ascoltare non può più limitarsi alla modulazione di frequenza, o all'ancora incerto DAB.
Di Spotify e di industria musicale nello specifico parla anche Gizmodo UK, con un bellissimo pezzo di Bulent Yusuf. Yusuf qualche giorno fa ha partecipato a Londra a un incontro con Sony, Universal e Omnifone, la piattaforma di distribuzione di contenuti che guarda caso è proprio quella utilizzata da Rara.com. Un incontro, conclude il corrispondente di Gizmodo, che mostra chiaramente come il futuro del consumo musicale è online (e molto probabilmente all'interno della connected car). Ma che al tempo stesso il principale nemico dei servizi come Spotify è, paradossalmente, il modello che in questo momento vincola commercialmente tali servizi. Se andiamo a vedere rapporti sulla musica digitale come quello pubblicato annualmente dall'IFPI i brand "alla Spotify" - lo streaming legale, gratis o a pagamento - sono centinaia e nessuno si aspetta che riescano a sopravvivere tutti. Ma le difficoltà per loro nascono soprattutto dai mille vincoli e regole che le case discografiche principali, cioè la cosiddetta industria della musica, continuano a imporre a questi servizi. Un sistema soffocante che oltretutto i governi continuano ad avallare legiferando in materia di copyright con orwelliana miopia (vedi il caso recentissimo della proposta di legge americana SOPA che per salvaguardare i diritti d'autore e combattere la pirateria è pronta a servirsi di una vera e propria censura di Stato, come in Birmania).
Ciò che Spotify ci insegna con le sue innovazioni tecnologiche, le integrazioni con i social network, le app, i sistemi di raccomandazione uniti all'autonomia degli ascoltatori è che la produzione e il consumo della musica sono alla caccia di modelli nuovi e prima o poi riusciranno a imporli (produrre musica non è costoso come girare un film di Hollywood e gli attuali equilibrio di potere finanziario non sono altrettanto fondamentali). Sta all'industria radiofonica e a quella musicale decidere di diventare compatibili con i futuri nuovi modelli o esercitare fino all'ultimo una smania di controllo che potrebbe rivelarsi suicida, oltre che "infanticida".

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