Mentre scrivo, qui sul patio della mia temporanea residenza favignanese, il faro di Punta Sottile nella luce del mattino è uno gnomone in cemento che indica la direzione da cui provengono i segnali troposferici delle emittenti della Costa Blanca. Di notte è un faro luminoso in piena regola, questo di Punta Sottile, uno di quelli su cui fanno ancora affidamento le imbarcazioni che attraversano il canale di Sicilia.
I frequentatori più assidui di questo spazio conoscono il mio personale penchant per la ricezione dei radiofari. Altrimenti detti navigational aids, ausilii alla navigazione, i radiofari sono antenne radio omnidirezionali che inviano un segnale "marcato" da un identificatore in codice Morse. Una apposita strumentazione di bordo consente di determinare, attraverso la ricezione di questi segnali, la rotta approssimativa seguita da una nave o da un aereo in volo.
Per le navi in realtà questo discorso non vale più o quasi. La gran parte dei radiofari utilizzati per la navigazione marittima è stata smantellata nel corso degli ultimi anni, resta qualcosa solo in Francia, Spagna e poco altro. Le navi di qualsiasi stazza fanno affidamento su sistemi di radionavigazione più moderni. Restano in attività, per ora, i radiofari dell'aviazione civile e militare. Tornando a Favignana, il sito di Punta Sottile dovrebbe coincidere con il punto in cui sorgeva il radiofaro marittimo ormai "decommissionato". La radionavigazione marittima sta abbandonando del tutto le frequenze dei radiofari (in LF, tra i 300 i 500 kHz) e quelle ancora più basse degli storici sistemi "iperbolici", come l'americano LORAN e il russo ALPHA (l'altro sistema americano OMEGA è stato smantellato nel 1997). Nelle onde lunghe restano sparse per le coste le antenne del sistema DGPS, una rete di trasmettitori che distribuisce segnali per la correzione dei dati di posizionamento dei satelliti GPS.
Eppure, nell'inesauribile vocazione al collezionismo che contraddistingue radioamatori e appassionati della radio, anche i fari luminosi, che con la radio non c'entrano per niente, occupano il loro posticino. Non foss'altro come point of interest da "attivare", come si dice, con impianti ricetrasmittenti portatili. Come avviene per le isole di tutti i mari del mondo classificate dal cosiddetto network IOTA Islands on the air, i radioamatori amano raggiungere i fari luminosi più sperduti, approntano una antenna di fortuna e spremono le loro batterie per qualche ora cercando di collegare il maggior numero possibile di loro colleghi. I fari si trovano per definizione in posizioni impervie e scenograficamente suggestive. Che dal punto di vista strettamente radiofonico sono sempre molto favorevoli (il mare è un grande catalizzatore di onde elettromagnetiche). Collegare un radioamatore che trasmette a bassa potenza da una remota isola nell'oceano o da un faro costiero diventa per molti una soddisfazione in più.
Non parliamo poi della valenza letteraria dei fari, questi misteriosi e antichi simboli della presenza umana in un ambiente ostile, ma foriero di ricchezza e civilizzazione. Visibili (a chi è invisibile) per definizione, ma remoti e isolati per propria caratteristica organolettica, i fari non delimitano soltanto il confine tra mare e costa, tra rocciosa stanzialità dei rivieraschi e fragile delocalizzazione dei vascelli in balìa di venti e moti ondosi. Sono luoghi di mistica intersezione tra la solitudine del navigatore e la folla indistinta della collettività, muti richiami nel vuoto esistenziale.
Immerso in questo flusso di coincidenze e rimandi, non mi sono stupito troppo quando l'altra sera Mariu, amica guardiana della navigazione culturale internettiana e radiofonica, mi ha raccontato di aver scovato sul sito di RAI International una serie di trasmissioni dedicate proprio ai fari italiani ispirata a un libro di Silvia Jacovitti e Enrica Simonetti dal titolo efficacissimo: "Luci e eclissi sul mare". Mariu ha anche realizzato una copia podcastabile delle cinque puntate sui fari trasmesse dalla rubrica Taccuino Italiano (trasmesse via Internet, visto che RAI International sulle onde corte ormai ha chiuso i battenti, peggio di un radiofaro decommissionato) e mi ha fatto il regalo di una sua personale scheda del programma. Una scheda che pare un haiku.
Ai Ciclopi di contra, e né vicino
Troppo, né lunge, un'isoletta siede
Di foreste ombreggiata, ed abitata
Da un'infinita nazïon di capre
Silvestri, onde la pace alcun non turba;
Che il cacciator, che per burroni e boschi
Si consuma la vita, ivi non entra,
Non aratore o mandrïan v'alberga.
Manca d'umani totalmente, e solo
Le belanti caprette, inculta, pasce.
L'isoletta delle belanti caprette, ipoteizza l'esegesi omerica, è Favignana che entrerebbe così nel novero delle tappe del nostos,il ritorno per eccellenza. Ed è qui che immancabilmente, qualche millennio dopo l'industria del turismo ha approntato, a pochi passi dal faro di Punta Sottile (numero ITA-145 del catalogo della Amateur Radio Lighthouse Society) un modaiolo villaggio chiamato Approdo di Ulisse, "onde la pace l'animator ognor turba".
Dal moderno villaggio di Ulisse chiunque salperebbe in fretta e senza rimpianti. Ma a poche centinaia di metri di distanza, nella relativa solitudine di Punta Sottile, quando prima o poi gli toccherà salpare, il viaggiatore di onde di mare e di antenne lascerà un frammento di sé tra le mille pietre sotto l'intermittente luce del faro.
Per le navi in realtà questo discorso non vale più o quasi. La gran parte dei radiofari utilizzati per la navigazione marittima è stata smantellata nel corso degli ultimi anni, resta qualcosa solo in Francia, Spagna e poco altro. Le navi di qualsiasi stazza fanno affidamento su sistemi di radionavigazione più moderni. Restano in attività, per ora, i radiofari dell'aviazione civile e militare. Tornando a Favignana, il sito di Punta Sottile dovrebbe coincidere con il punto in cui sorgeva il radiofaro marittimo ormai "decommissionato". La radionavigazione marittima sta abbandonando del tutto le frequenze dei radiofari (in LF, tra i 300 i 500 kHz) e quelle ancora più basse degli storici sistemi "iperbolici", come l'americano LORAN e il russo ALPHA (l'altro sistema americano OMEGA è stato smantellato nel 1997). Nelle onde lunghe restano sparse per le coste le antenne del sistema DGPS, una rete di trasmettitori che distribuisce segnali per la correzione dei dati di posizionamento dei satelliti GPS.
Eppure, nell'inesauribile vocazione al collezionismo che contraddistingue radioamatori e appassionati della radio, anche i fari luminosi, che con la radio non c'entrano per niente, occupano il loro posticino. Non foss'altro come point of interest da "attivare", come si dice, con impianti ricetrasmittenti portatili. Come avviene per le isole di tutti i mari del mondo classificate dal cosiddetto network IOTA Islands on the air, i radioamatori amano raggiungere i fari luminosi più sperduti, approntano una antenna di fortuna e spremono le loro batterie per qualche ora cercando di collegare il maggior numero possibile di loro colleghi. I fari si trovano per definizione in posizioni impervie e scenograficamente suggestive. Che dal punto di vista strettamente radiofonico sono sempre molto favorevoli (il mare è un grande catalizzatore di onde elettromagnetiche). Collegare un radioamatore che trasmette a bassa potenza da una remota isola nell'oceano o da un faro costiero diventa per molti una soddisfazione in più.
Non parliamo poi della valenza letteraria dei fari, questi misteriosi e antichi simboli della presenza umana in un ambiente ostile, ma foriero di ricchezza e civilizzazione. Visibili (a chi è invisibile) per definizione, ma remoti e isolati per propria caratteristica organolettica, i fari non delimitano soltanto il confine tra mare e costa, tra rocciosa stanzialità dei rivieraschi e fragile delocalizzazione dei vascelli in balìa di venti e moti ondosi. Sono luoghi di mistica intersezione tra la solitudine del navigatore e la folla indistinta della collettività, muti richiami nel vuoto esistenziale.
Immerso in questo flusso di coincidenze e rimandi, non mi sono stupito troppo quando l'altra sera Mariu, amica guardiana della navigazione culturale internettiana e radiofonica, mi ha raccontato di aver scovato sul sito di RAI International una serie di trasmissioni dedicate proprio ai fari italiani ispirata a un libro di Silvia Jacovitti e Enrica Simonetti dal titolo efficacissimo: "Luci e eclissi sul mare". Mariu ha anche realizzato una copia podcastabile delle cinque puntate sui fari trasmesse dalla rubrica Taccuino Italiano (trasmesse via Internet, visto che RAI International sulle onde corte ormai ha chiuso i battenti, peggio di un radiofaro decommissionato) e mi ha fatto il regalo di una sua personale scheda del programma. Una scheda che pare un haiku.
Fari... autostrade di notte... ?Non mi costa nulla immaginare che Mariu abbia conservato il ricordo delle lezioni di liceo sul IX libro dell'Odissea, qui nella versione di Pindemonte accessibile da Wikisource
Nella navigazione concatenata e labirintica che porta in luoghi estranei all'intenzione, quasi come Ulisse preda dell'ubris divina, capita di cercare una cosa e trovarne infinite altre, in infiniti modi e infinite lingue.
Approdi temporanei, da cui spesso si salpa in fretta.
A volte no.
Un impercettibile richiamo invita a sbarcare, a respirare odori, rumori, forte il desiderio di essere ammessi al convito dell'universo.
Fari d'Italia: http://www.mediafire.com/?a52wi3jabdq
Ai Ciclopi di contra, e né vicino
Troppo, né lunge, un'isoletta siede
Di foreste ombreggiata, ed abitata
Da un'infinita nazïon di capre
Silvestri, onde la pace alcun non turba;
Che il cacciator, che per burroni e boschi
Si consuma la vita, ivi non entra,
Non aratore o mandrïan v'alberga.
Manca d'umani totalmente, e solo
Le belanti caprette, inculta, pasce.
L'isoletta delle belanti caprette, ipoteizza l'esegesi omerica, è Favignana che entrerebbe così nel novero delle tappe del nostos,il ritorno per eccellenza. Ed è qui che immancabilmente, qualche millennio dopo l'industria del turismo ha approntato, a pochi passi dal faro di Punta Sottile (numero ITA-145 del catalogo della Amateur Radio Lighthouse Society) un modaiolo villaggio chiamato Approdo di Ulisse, "onde la pace l'animator ognor turba".
Dal moderno villaggio di Ulisse chiunque salperebbe in fretta e senza rimpianti. Ma a poche centinaia di metri di distanza, nella relativa solitudine di Punta Sottile, quando prima o poi gli toccherà salpare, il viaggiatore di onde di mare e di antenne lascerà un frammento di sé tra le mille pietre sotto l'intermittente luce del faro.
4 commenti:
Articolo davvero affascinante, come sempre...
A proposito di radiofari, mi sto appassionando al Beacon Hunting e qualche mese fa, per caso, a Punta Raisi vicino l'aeroporto di Palermo, ho beccato una sigla in morse, inviata lentamente come solito dei radiofari, la sigla era "R A I".
Le cose che mi hanno stranizzato sono tre: la modulazione FM; la frequenza usata sui 109 MHz (poco fuori dalla banda FM delle normali radio) e infine, che il segnale proveniva da una stazione di trasmissione RAI (proprio come diceva il segnale).
Una volta individuata la provenienza del segnale infatti, sono giunto ai piedi di un ripetitore e, proprio accanto la cancellata della stazione di trasmissione, giaceva per terra un cartello con la scritta "RAI WAY".
Che i ripetitori RAI facciano uso di radiofari mi giunge nuova....e a che scopo?
Mi sembra strano. La frequenza è già in zona VOR/DME, gli impianti per l'atterraggio strumentale e RAI è l'abbreviazione di RAISI oltre che di RAIWay! Il VOR di Palermo però dovrebbe essere 112.3, non 109. A meno che non si tratti di un segnalatore destinato ai piloti: non ero a conoscenza di prassi di questo tipo.
Hai ragione RAI potrebbe essere l'abbreviazione di RAISI. Evidentemente ero nei pressi di una stazione di terra VOR, non ci avevo pensato ma data la frequenza e' inequivocabile. Non a caso mi trovavo proprio vicino l'aeroporto. :P
I fari (luminosi) esercitano un fascino particolare su di me sin da quando ero bambino, ancora oggi ricordo alcune scene de “I racconti del faro”, con Fosco Giacchetti e un giovanissimo Roberto Chevalier, che la RAI mandò in onda nel 1967. Avevo 10 anni. Oggi, maturo cinquantenne, rientro da una settimana di ferie nel Salento e mi porto dietro il più classico dei soprammobili, faro in legno con la scritta “Otranto”, come dire gondola in plastica made in China tornando da Venezia, ma non ho saputo resistere! E mi porto dietro molte foto di questo simbolo di austerità, potenza e solitudine, dispensatore di certezza e nel contempo alternativa possibile: io sono qui, puoi anche decidere di andare altrove… Tra i miei soggetti primeggia, in tutti i sensi, il faro di Santa Maria di Leuca: chi sa di che parlo non ha bisogno di ulteriori spiegazioni, agli altri posso solo dire che solo lui vale la fatica di raggiungere il fondo del tacco del nostro stivale. Sentendosi pronti a scoprire che esso non rappresenta solo un punto di riferimento per i naviganti in virtù della sua stessa oggettiva funzione, ma è di fatto il punto di riferimento costante – non serve sia acceso – di una intera cittadina che è come catturata e condizionata dalla sua presenza. So che non è la stessa cosa, ma passeggiando sul lungomare la mia mente è immediatamente andata a Stromboli, dove “iddu” è l’altra forma di immanenza che ho inevitabilmente associato al faro.
Per una strana forma di contrappasso, nel mio percorso di appassionato di radioascolto sono approdato a un altro tipo di faro, quello che tutti conosciamo come NDB. I lampi di luce diventano segnali morse, i significati che ognuno di noi vi legge restano immutati…
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