23 settembre 2011

La radio cambia anche se il DAB non parte

Il problema più complesso dei cronisti delle tecnologie consiste nel rendere potabile la narrazione di un futuro che stenta a trasformarsi in presente. Radiopassioni si avvicina al sesto anno di vita e in tutto questo tempo si è soffermato centinaia di volte sulla questione della radio digitale dei suoi pro e contro, delle sue infinite "sperimentazioni", dei suoi lanci e rilanci, a volte dei suoi fallimenti. Ogni volta si cerca di trovare qualche nuovo spunto, ma oggi alla conferenza "La radio che cambia" organizzata dal Prix Italia a Torino l'impresa è davvero ardua.
La colpa non è degli organizzatori, riusciti a radunare un gruppo di relatori italiani e stranieri di eccezionale livello. Il vero imputato è l'immobilismo ormai patologico della radio numerica in Italia, estenuante come il finale interminabile del primo atto di un melodramma di un autore minore giustamente dimenticato.
È una situazione paradossale, che impedisce di fare in Italia una efficace comunicazione tra i potenziali consumatori di un mezzo - la radio modulata in digitale - che necessita di infrastrutture in buona misura tutte da realizzare. Fatto che nell'era di Internet è già abbastanza controverso. Molto più convincente appare un serio ragionamento sulla proposta di Cridland: puntare subito tutto su una radio diversa, sfruttando la possibilità di inserire preziosi metadati nei flussi RDS dell'FM per realizzare efficaci mashup tra programmi radiofonici e siti Web fissi e soprattutto mobili. Guardatevi il filmato della sperimentazione realizzato nei laboratori RAI del CRIT di Torino con il sistema RadioDNS, al quale la RAI ha ufficialmente aderito. Nel video potete vedere le informazioni visuali trasmesse verso le radio digitali Pure Sensia e Revo Axis, ma anche verso la radio FM di uno smartphone Android (c'è anche un Chumby One che però viene utilizzato solo come visore di slideshow non avendo una sezione FM compatibile con RadioDNS) attrezzato con il software della canadese CRC. Sono davvero bravi i tecnici del laboratorio CRIT, tra i quali Paolo Casagranda che sta parlando con me nel filmato. I test si basano sui metadata RadioDNS trasmessi sulla frequenza FM di Radio 2 di Torino, i 95.6, che servono per attivare nel dispositivo ricevente l'accesso alla intranet RAI che serve i contenuti. C'è anche un esempio di come si potrebbe arricchire un player che accede agli stream Web della RAI con informazioni di EPG e visuali.



Una conferenza del genere si può capire solo nel contesto internazionale del Prix Italia, è sempre un grande piacere ascoltare il futurologo della radio James Cridland parlare di radio ibrida, di integrazione tra contenuti audio e informazioni multimediali del Web, di interfacce utente, di guide elettroniche alla programmazione radiofonica. Anche la storia del DAB+ australiano raccontato da Joanna Warner di Commercial Radio Australia riesce sempre a essere avvincente (bellissimo il riferimento alle stazioni popup e event related, o ai canali sponsorizzati che si possono inserire nei multiplex di questo sistema digitale). Ma l'ennesimo racconto di quello che in Italia "sta per avvenire" non riesco a farlo. I lettori di RP sanno benissimo che cosa si può fare con il DAB, ma sanno anche che gli acquirenti degli apparecchi digitali - che un fornitore come Pure sta importando e promuovendo anche da noi - corrono il serio rischio di non poter ascoltare un singolo segnale DAB nella loro zona di residenza.
Ho trovato molto pragmatici i due interventi di Tim Davie, della BBC, e David Kessler, consulente del governo francese per i progetti di radio digitale. Presentando l'incredibile offerta DAB del Regno Unito (dove l'ascolto sfiora ormai il 18% del totale e il canale culturale di archivio DAB 4Xtra genera una crescita del 60% di audience quando va a sostituire il canale talk Radio 7), Davies ha raccolto in pieno l'esortazione che ha fatto da leitmotiv dell'evento: il digitale ha bisogno di contenuti originali, esclusivi e abbondanti. Ha anche ammesso molto candidamente che è del tutto possibile che un giorno il modello broadband, la distribuzione di contenuti radiofonici su reti IP, vincerà sul modello broadcast. Ma ci vorranno ancora dieci o anche quindici anni e nel frattempo la radio digitale o ibrida può dare moltissimo.
Tim Davie della BBC ha fatto una importante premessa alla sua presentazione, affermando che il successo dei servizi di radio digitali nel Regno Unito sono anche merito del sostegno ricevuto a livello politico e governativo. Sostegno che secondo Mike Mullane dell'EBU verrà cercato dall'organismo radiotelevisivo europeo il mese prossimo a Bruxelles, durante i due giorni della EBU Digital Radio Conference (11-12 ottobre) organizzata quest'anno addirittura nella sede del Parlamento comunitario. La radio digitale nel Regno Unito e altrove è una strategia di sistema, che ha il ragionevole obiettivo di portare allo spegnimento della infrastruttura precedente, per ovvie questioni di politiche anti-spreco (è per questo che vengono fissate delle possibili date di switchoff, mantenere l'FM e il DAB sarebbe da pazzi).David Kessler, al contrario, ha fatto chiaramente capire che il digitale radiofonico in Francia, per ora non parte e forse dovrà aspettare a lungo. Manca una delle motivazioni più forti della tv numerica: rompere l'oligopolio che per anni ha tenutto freno in Francia allo sviluppo di una offerta televisiva ampia e diversificata. E mancano soprattutto le risorse finanziarie, nel pubblico come nel privato, anche perché in Francia la crisi del mercato pubblicitario ha colpito duramente la radio oltre che i giornali.
In Italia non ci può essere niente del genere. A parte la nostra patologica incapacità a dotarci di un minimo di politica industriale, l'unico sistema ammesso nella testa del nostro governante è la strenua difesa dell'oligopolio televisivo. Difesa che ha portato al paradosso di una televisione digitale terrestre che ovunque porta a una scelta più diversificata mentre da noi sta conducendo inesorabilmente alla morte delle televisioni locali. Il responsabile del progetto di radio digitale in RAI WAY, Giuseppe Braccini, ha riproposto al Prix Italia uno spot che ho sentito in tutti gli altri incontri precedenti. Un discorsetto commerciale molto sensato ma anche molto irrealistico. La radio digitale non è mai partita in Italia - ha detto Braccini - perché fino al 2006-2007 era un sistema pensato per nazioni europee dotate di offerta mediatica normale e ben regolata, tutto il contrario della situazione anomala e selvaggia del nostro etere FM. Poi, ha proseguito Braccini, sono arrivate le codifiche del DAB+ e la possibilità di accogliere molti più operatori. RAI WAY ha deciso di portare avanti una strategia di implementazione rivestendo i panni di capofila di una rete condivisa. Il braccio infastrutturale della RAI (sempre che non venga ceduto) non lo fa per beneficenza, agisce in questo modo con l'idea di rivendere la capacità installata, non tanto ai network privati (che sul DAB continuano a essere molto scettici considerata la duplicazione dei costi trasmissivi resa forzata dalla lunga convivenza tra FM e DAB) quanto agli operatori regionali e soprattutto locali. «Il nostro messaggio è semplice: per una somma che può essere di mille euro al mese vi diamo 100 kilobit di banda DAB+, 64 per i contenuti audio e altri 40 circa per le informazioni digitali che servono per potenziare l'offerta.»
Ripeto, è un discorso più che sensato in condizioni normali. E allora perché questo benedetto DAB+ non parte mai? I ricevitori ci sono e persino le case automobilistiche (al convegno del Prix Italia c'era Candido Peterlini, direttore infotainment della Fiat che ha annunciato i primi modelli della casa automobilistica torinese (?) con DAB+ integrato nel cruscotto a partire dal 2012) si stanno impegnando per equipaggiare con le radio DAB+ le autovetture nuove.
Il problema in Italia è di natura politica ed economica. Sembra incredibile ma sul DAB ci sono ancora discussioni sulla ripartizione delle frequenze tra radio e tv, discussioni che si faranno ancora più aspre ora che sono state vendute ai telefonici le frequenze degli 800 MHz e ci si appresta a ridistribuire il dividendo digitale. Finché questo sarà un posto ossessionato dal controllo dei canali televisivi non sarà mai possibile fare chiarezza. Ma anche ammettendo di riuscire a sbloccare la situazione politica e regolamentare, resterebbe la questione dei costi della nuova infrastruttura DAB, delle risorse da destinare al supporto di una radiofonia pubblica e commerciale a doppio regime, analogico e digitale, chissà per quanti anni. Ve la immaginate l'ERT, l'ente radiotelevisivo greco che si fa capofila di un progetto di digitalizzazione della radio oggi? Vi siete chiesti perché tra le nazioni in cui la radio digitale semplicimente non parte ci sono Irlanda e Grecia? E ritenete possibile che un'Italia da molti considerata attendibile candidata al default del debito nazionale, costretta a inanellare una manovra dopo l'altra per cercare di dare respiro a titoli di stato sempre più deprezzati, si metta ad appendere sui tralicci dei trasmettitori DAB? Siamo seri.
Per il momento l'unica alternativa concreta alla radio digitale intesa come modulazione numerica è la radio ibrida nata dal connubio tra FM e Internet. Che senso ha per esempio perseguire obiettivi di creazione di servizi di infomobilità basati su informazioni TPEG trasmesso via DAB quando è perfettamente possibile raggiungere gli stessi obiettivi sfruttando l'RDS per i metadati e la rete 3G per le informazioni sul traffico? Perché invece di continuare a trascinare penosi discorsi di condivisione di frequenze radiotelevisive in banda III non ci si siede a un tavolo per mettere un po' d'ordine in uno spettro FM caratterizzato da enormi sprechi di potenza, duplicazioni di frequenze, contenziosi tra editori e totale esclusione di possibili nuovi entranti?

3 commenti:

Massimo ha detto...

Sottolineo il problema posto nell'ultima domanda: l'accesso a qualsiasi sistema nuovo che nasce è sempre e solo rivolto ai soliti operatori già possessori di concessione. Questo significa riproporre, p.es. in DAB, il solito panorama radiofonico dell'FM. A parte il discorso della superiore qualità audio e di ricezione (comunque molto importante), un'offerta del genere è sufficiente per convincere un utente 'normale' a spendere soldi per un nuovo ricevitore?
Se invece ci fossero nuove emittenti da ascoltare, non sarebbe molto più allettante la proposta?
Eppure c'è molta vivacità in tal senso, basti pensare al numero di webradio italiane esistenti (alcune ben fatte e che non hanno niente da invidiare ad alcuni canali FM) oppure ai test che vengono svolti in AM.
Occorrerebbe una procedura di selezione per individuare i progetti più 'seri' e affidabili, però una porzione di banda potrebbe (anzi, dovrebbe) essere riservata anche a nuovi operatori.

marco barsotti ha detto...

Io ho un'altra idea sulla mancata partenza della radio digitale (tieni presente che ho una morphy dab/drm da anni):
In sostanza, la radio digitale e' che non porta veri vantaggi per l'utente.
Voglio dire, il CD rispetto al vinile era piu' comodo, durava di piu', niente usura e apparentemente un suono migliore.
La tv sat digitale portava tanti canali e nuovi contenuti (in un panorama allora scarso).

La Radio Digitale....cosa porterebbe?

RTL 102,5 pur usando 160kb/s in DAB suonava peggio che in FM. E non c'era alcun vantaggio ad ascoltarla li. Ok---c'era anche qualche altra RTL (classic, ecc), ma suonavano talmente male...inoltre erano radio "automatiche, da pc" non vere radio con conduttori, e chi le sopporta ?

In UK ho letto fino a un po di tempo fa tantissimi che si lamentavano del presunto switch off dell'FM - checche' ne dicano i politici/regolatori, e sono pronto a scommettere che non ci riusciranno tanto facilmente (a spegnere l'analogico).

In quanto ai metadati via RDS...un altro modello uno-a-molti (o top down)....ma chi lo vuole ?

Guardando la conferenza f8 di facebook, e vedendo cosa si sta facendo nel campo dell'integrazione tra media "social" e musica (spotify integrato a opengraph) , e aggiungendo a questo l'osservazioe che per gli adolescenti che conosco la radio e' un oggetto di nessun interesse.... penso sia chiaro cosa accadra' in futuro nel campo della radio digitale (niente)

Anonimo ha detto...

Non ci sarebbe più libertà? Non si aprirebbero più radio libere? Oramai fm e per pochi e non è più libero