25 dicembre 2008

Musicofilia

"Normalmente lo prenderesti in inglese, ma avevo voglia di leggermelo anch'io e così..." Vittoria e io non abbiamo una grande consuetudine di regali. Orso e anaffettivo come sono, sarei l'ultimo a fomentarne una (più str... che orso, direi) e lei soffre in silenzio e finge di assecondarmi. Oltretutto, accumulare libri nel nostro minuscolo appartamento non è uno sport raccomandabile, partendo già da una discreta base. Ma per gli scritti di Oliver Sacks, il grande neurologo londinese trapiantato negli Stati Uniti, si fa volentieri una eccezione. Acquistarlo, regalarlo, leggerlo, nel suo efficacissimo inglese divulgativo o nelle eccellenti traduzioni di Adelphi, è sempre un piacere che ha come inevitabile effetto collaterale un viaggio rivelatore nei meandri oscuri dei grandi e piccoli traumi di natura neurologica e psicologica. Nei meccanismi dell'anima i cui malfunzionamenti (i mille faux pas di un sistema complesso e non deterministico come il nostro cervello) possiamo sperimentare tutti, anche senza dover subire grossi danni.
L'altro giorno ho avuto uno scambio di sms con un amico musicista - vero, di fama internazionale, come si dice - più fratello putativo che amico, vista la lunghissima frequentazione della famiglia Lawendel all'epoca dei suoi studi qui al Conservatorio Verdi. Un banale scambio di informazioni anagrafiche che il mio amico, grande, onnivoro lettore, ha concluso, chissà perché, con un "hai letto Musicofilia di Sacks?". No, ancora. Non avevo letto l'ultimo lavoro dell'autore esploso come caso editoriale con L'uomo che scambiò la moglie per un cappello, ma avevo subito pensato che me lo sarei procurato prima o poi. Invece non ho dovuto attendere molto, "Musicofilia" è arrivato questa mattina, aprendo i regali. Non è un libriccino sottile, ma una raccolta di saggi mediamente corposa e il bello di questi lavori di Sacks è che il loro carattere monografico, impressionistico, non richiede una scansione rigida, il viaggio si può iniziare dove si vuole, lo si può interrompere, saltabeccare. La trama, profonda, resta unitaria, gli episodi si legano comunque l'uno all'altro quando il cervello ragiona su sé stesso. L'ho aperto per caso e mi ritrovo nel breve capitolo Lamentazioni, musica e depressione, che racconta della capacità della musica di perforare la cappa di tristezza o peggio ancora di indifferenza (l'assenza di tutto, tristezza compresa) che può avvolgerci nei periodi di lutto, disperazione, pessimismo.
Scorrendo sono incappato nel punto in cui Sacks ricorda il periodo successivo alla morte di sua madre. Il neurologo era ritornato a New York da Londra, dove si era recato per la shivah, il rito ebraico del lutto - sette (shivah) giorni trascorsi sedendo su sgabelli e sedie molto basse e accogliendo i visitatori che portano cibo e ricordi di chi non c'è più. La cosa non aveva restituito la serenità necessaria. Sacks scrive che in quei giorni se ne vagava per la città come uno zombie privo di sensazioni e sentimenti.
«Poi un giorno, mentre stavo percorrendo a piedi la Bronx Park East, mi sentii all'improvviso più leggero, rianimato nell'umore, percepii un improvviso sussurro - o un segno - di vita, di gioia. Solo allora mi accorsi che stavo ascoltando della musica, sebbene così tenue che avrebe anche potuto esser solo una mia costruzione, o un mio ricordo. Mentre procevevo la musica divenne più forte, finché arrivai alla sua fonte, una radio che riversava Schubert dalla finestra di un seminterato. [...] Volevo fermarmi davanti alla finestra di quel seminterrato: Schubert, e solo Schubert, è la vita, pensavo.» Ma c'era un treno da prendere e, conclude Sacks, «ripiombai nella depressione.»
L'ho trovato un episodio molto bello, molto adeguato. E' probabile che la stazione che era riuscita, per un minuto, a strappare quel figlio maturo ma disperato dal suo torpore fosse il canale di musica classica del New York Times, WQXR, che in passato trasmetteva anche sulle onde medie, su 1560 kHz e arrivava fino in Europa. Come giungendo lontano, da un seminterrato nel Bronx. E Schubert ha davvero quel potere evocativo di cose belle, anche quando la sua musica è pervasa dal gelo del Winterreise, dalle note ribattute che imitano i passi del viandante sulla neve, mentre riparte estraneo come era arrivato.
Dovrebbe esserci una stazione così per tutti, quando ce n'è bisogno.

4 commenti:

iKlee ha detto...

anch'io ho regalato questo libro. sacks lo conosco da qualche anno. lo trovo molto interessante. nello scritto di andrea ho trovato particolarmente consono l'uso di "impressionista". un libretto letto la scorsa estate (proust era un neuroscenziato di jonah lehrer), mi aveva fatto nascere la stessa immagine. lo consiglio (il libro di lehrer).

buon 2009 a tutti i lettori di radio lawendel (andrea incluso).

flavio

Andrea Lawendel ha detto...

Grazie Flavio. Tra le tante cose impagabili, nella attività di blogger, è la sensazione (per me) di trovarmi su un'isola del Mediterraneo Un'isola siciliana, ovviamente. E vi dico anche quale: Levanzo, l'isola della Grotta del Genovese, della agreste decadenza dei Florio. Facevamo a Levanzo un bagno tardivo qualche anno fa e con noi c'era Alice, una moderna ragazza milanese che vive a Bruxelles perché le sue ascendenze sono quelle di una famiglia di emigrati (ma non di quelli con la valigia di cartone). Eravamo sulla spiaggia in fondo, oltre il cimitero di Levanzo, ormai nell'ombra del piccolo promontorio, e a un certo punto devono essere arrivati, da una barca, sul loro tender, dei turisti francesi. In quello spicchio/specchio d'acqua c'era una piccola rete di pescatori, mal segnalata. C'era uno di questi pescatori che si sbracciava verso il tender Ma sentirsi urlare "rete" è molto poco significativo per un francese e mentre mi sforzavo di ricordare come si dicesse rete (di pescatore) in francese e continuava a venirmi in mente solo réseau (rete ferroviaria, telefonica), che sarebbe stato anche peggio, Alice, con la naturalezza della nativa si rivolge ai turisti e dice di prestare attenzione "aux filets". Perché è così che si dice rete da pesca in francese: filet.
Ecco. Nella doppia metafora della rete (telematica), quella della navigazione e della pésca, questo blog è diventato un filet, buttato nell'acqua e piccolo, mal segnalato (non mi potrei permettere una campagna di banner). A volte ci pensano i lettori come Flavio, a sbracciarsi per segnalarlo usando il termine giusto. E lasciandovi dentro l'occasionale regalo, frutto magari di una loro personale navigazione. Come questo libro di Jonah Lehrer che non conoscevo per niente e di cui ho trovato questa recensione su Le Scienze.
E di rimando in rimando (di stazione in stazione, canterebbe Fiorella interpretando l'ennesimo genovese della grotta), mi permetto di aggiungere al testo suggerito da Flavio quello che mi è rimasto pochi minuti fa nel filet di Amazon e che forse non è stato tradotto in italiano (o in francese?). Ma essendo dedicato alla neuroscienza del cervello che legge mi sembra perfettamente adatto all'occasione, perché se c'è una cosa che sanno fare i viandanti ("Die Liebe liebt das Wandern", canta per consolarsi il viaggiatore del Winterreise) che passano da qui è ascoltare e leggere. Il libro si intitola Proust and the squid, Proust e la seppia ed è stato scritto da Maryanne Wolf, del dipartimento Sviluppo infantile della Tufts University, dove dirige il Centro ricerche sulla lettura e il linguaggio. Quello che mi scoccia è che in questo momento c'è un altro riferimento al cervello che legge, che ho incrociato in questi giorni e sta cercando di affiorare dall'acqua. Ma non ci riesce. Vorrà dire che resterò ancora qui in attesa sulla spiaggia di sassi sotto al cimitero di Levanzo. Prima o poi, affiorerà.

iKlee ha detto...

ecco, nella mia precedente sono stato un po' troppo sbrigativo.
intendevo dire che il termine impressionista me lo aveva fatto balenare nella mente jonah lehrer quando parlava di oliver sacks e di certe esperienze con i suoi pazienti che ben si collegavano a precedenti episodi (che con sacks non hanno a che vedere) che potremmo definire di carattere artistico.
oltre non voglio andare per non guastare il piacere della scoperta ad altri eventuali lettori.
il libretto di lehrer è davvero interessante e ci porta a conoscere aspetti di arte varia (e comunque di ricerca, d'avanguardia), comparandola in qualche modo con un'altrettanto varia ricerca scientifica. più gustoso di un panettone (nonostante ne sia ghiottissimo).

fg

mauro ha detto...

Beh,il mio livello e' un po piu' basso,mi accontento di ASCOLTARE la SPLENDIDA radio del nytimes..
grazie per il link e' stata una bella scoperta ( eh eh eh..mi hai fatto un regalino di Natale??)