21 settembre 2007

Il silenzio radio prima della battaglia

Nel vasto repertorio di teorie cospirazioniste che tanto affascinano il pubblico americano (e non solo), ve n'è una che ha direttamente a che fare col radioascolto. Anzi, con la signal intelligence (SIGINT) quella parte della attività di controspionaggio che consiste nell'analizzare le radiocomunicazioni del nemico. Il complotto riguarderebbe uno degli eventi più traumatici della storia americana, il devastante attacco aereo alla base navale di Pearl Harbor che divenne primario fattore scatenante della decisione da parte di Roosevelt di dichiarare guerra al Giappone e, di conseguenza, al suo alleato nazista. Fu una decisione particolarmente controversa perché se Roosevelt era un deciso anti-isolazionista e interventista, una parte significativa dell'opinione pubblica americana in guerra non voleva entrarci. Non sorprende che il Web sia pieno zeppo di pagine dedicate a una questione su cui in America si discute da 60 anni. Ho trovato per esempio questo sito, ricco di fotografie dell'attacco e questo ipertesto del Muskingum College (Ohio) che riassume in modo molto chiaro la discussione in corso. Secondo i cospirazionisti Pearl Harbour non fu affatto colta di "sorpresa", i militari sapevano che Tokyo stava preparando un attacco in grande stile perché avevano decrittato i codici di guerra giapponesi e avevano abilmente sfruttato le ripetute violazioni del silenzio radio imposto dai comandanti della flotta nipponica nei giorni immediatamente precedenti all'attacco.
Insomma, la solita solfa: come nel caso delle torri gemelle e di tante altre "stragi annunciate", la presidenza non era affatto all'oscuro. Roosevelt sapeva perfettamente che Pearl Harbour sarebbe stata attaccata, ma accettò scientemente la distruzione di natanti e vite umane per poter fare la sua sporca guerra a fianco degli inglesi e successivamente dei russi. Il fatto che una conoscenza previa di un attacco di tale portata poteva essere trasformata in una brillante vittoria, o avrebbe comunque evitato la pesante distruzione di equipaggiamento aeronavale (12 navi, 188 aerei, ma le tre porta-aerei erano in manovra in mare e non furono colpite) non conta. Tanto è sempre tutto un complotto. La storia "ufficiale" è scomoda, noiosa, dev'essere riscritta.
Sull'ultimo numero (luglio 2007) del trimestrale Cryptologia, è uscita una delle tante, documentate confutazioni di una teoria revisionista che a partire dalla fine della guerra mondiale e fino ai giorni nostri ha preso corpo in numerosi libri di "denuncia". Uno di questi Day of deceit, di Robert Stinnett, viene riassunto dall'autore in questo intervento del The Independent Institute. Il libro di Stinnett, del '99, fu poi seguito nel 2001 da Pearl Harbor redefined di Timothy Wilford. Prima ancora, nel 1986 c'era stata la denuncia di John Toland che successivamente fu però in parte smentita dalle stesse fonti consultate dall'autore.
L'articolo di Cryptologia, scritto da Philip Jacobsen, appartiene a una lunga serie di confutazioni a cura dello stesso autore. La lettura, corredata da un apparato di note di tutto rispetto, non è leggera ma da quello che posso capire le prove presentate sono robuste e dimostrano che i giapponesi non hanno mai violat, o non sono stati colti a violare uno stretto silenzio radio. L'attacco ha davvero colto di sorpresa gli americani.
Mi ha affascinato, nell articolo di Jacobsen, vedere riportate anche le frequenze HF e VLF utilizzate dai giapponesi per le comunicazioni marine e sottomarine. Cryptologia è sempre straordinariamente ricca di spunti, anche se il formalismo matematico dei contributi più tecnici è, evidentemente, superspecialistico. Le rievocazioni storiche di questo tipo sono affascinanti, figuriamoci quando c'è di mezzo il monitoraggio di segnali criptati.
Jacobsen, che non solo ha lavorato come criptologo della Marina ma era anche radioamatore con il call K6FW è purtroppo scomparso prima della pubblicazione del suo ultimo contributo alla rivista ma qui, in un sito amatoriale sulla guerra del Pacifico, ho trovato un suo altro articolo, molto meno tecnico). Da leggere, grazie all'archivio su FindArticles, la sua recensione del libro dell'"avversario" Stinnett pubblicata su un numero di Cryptologia sette anni fa.

2 commenti:

Fabrizio Magrone ha detto...

Chi è interessato agli aspetti criptografici dell'attacco di Pearl Harbor, e in generale all'argomento criptografia, troverà sicuramente affascinante la lettura di "The Codebreakers: The Comprehensive History of Secret Communication from Ancient Times to the Internet", di David Kahn.
Il libro è ponderoso (siamo sulle 1200 pagine), ma è il testo di riferimento per la storia della criptografia e delle sue tecniche; contiene inoltre proprio un'accurata ricostruzione delle vicende che portarono all'attacco di sorpresa a Pearl Harbor.
Sconsigliato ai cospirazionisti :-)

Fabrizio

Andrea Lawendel ha detto...

Il ponderoso volume di Kahn, di cui tra l'altro dovrebbe essere in arrivo una nuova edizione, è una lettura fondamentale ma impegnativa. Forse può essere opportuno aggiungere che nel 2006 è apparsa la traduzione italiana di The Battle of Wits di Stephen Budiansky (titolo italiano La Guerra dei Codici), opera concentrata sui retroscena crittografici della Seconda Guerra. Budiansky ha polemizzato direttamente con le teorie revisioniste di Stinnet.