07 maggio 2010

Fibra (ottica) per l'Italia

Il Quinta, impegnato oggi con il varo del consorzio DMIN.it, mi ha chiesto di fargli la cronaca live blogging della presentazione oggi a Milano della proposta 2010 Fibra per l'Italia, la "one network" secondo Vodafone, Wind e Fastweb. In soldoni si tratterebbe di lanciare un ambizioso progetto di rete a banda larga in fibra ottica, to the home e non secondo il (più economico) sistema G-PON (GigaEthernet Passive Optical Network) ma con una architettura point to point che costa di più ma assicura maggiore flessibilità in termini di apparati-utente e molta più capacità e upgradabilità. L'idea è di realizzare questa infrastruttura affidandola a un consorzio di operatori strutturato come azienda a partecipazione collettiva, senza evidenti posizioni dominanti. La società si occupa di realizzare una unica infrastruttura "a prova di futuro" e la affitta a condizioni eque e uguali per tutti agli operatori che vogliono erogare i servizi.
A presentare l'idea c'erano Bertoluzzo, Gubitosi e Schloter, i tre ad. Di rete condivisa si parla in Italia dall'epoca del cosiddetto Piano Rovati, quando Prodi era ancora al governo. Di una infrastruttura di rete di accesso in fibra in grado di erogare servizi a larga banda da 100, possibilmente 1000 megabit, l'Italia ha un drammatico bisogno perché la nostra attuale infrastruttura largamente in rame non ne può più. Occorre pensare in termini di New Generation Network, perché anche dal punto di vista delle architetture di trasporto siamo indietro. Ma una infrastruttura del genere è costosa per un operatore dominante come Telecom, che domina soprattutto nella classifica dei debiti. E costi a parte non si avverte alcune necessità di ridondanza. La strada per la One Network è stata tuttavia costellata da ostacoli. Telecom non ne ha mai voluto sapere di conferire la sua infrastruttura alla collettività o a una società di gestione indipendente.
Vodafone, Wind e Fastweb rilanciano il concetto di infrastruttura condivisa dicendo in pratica: cari signori del governo e dell'Agcom, sediamoci tutti intorno a un tavolo, discutiamo della governance di questa infrastruttura, che deve essere concepita come grande progetto di politica di sviluppo nazionale. Stabiliamo i criteri e i prezzi per mettere a disposizione questa infrastruttura a tutti gli operatori. Costruiamola attraverso una società partecipata da tutti gli operatori, senza creare posizioni dominanti. Secondo Bertoluzzo gli economics ci sono, la fibra nuova può costare meno del rame. Manutenere una linea in rame per dieci anni costa 900 euro e rotti, con la fibra tra realizzazione e manutenzione si spenderebbe 50, 60 euro in meno. Ma c'è un requisito fondamentale: il rame ce lo dobbiamo scordare, quando la fibra arriva, TUTTI passano sulla fibra, esattamente come in uno switchoff (non a caso è stato fatto l'esempio della migrazione alla tv digitale terrestre).
L'infrastruttura condivisa non richiederà investimenti di denaro pubblico, fatto salvo il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti, la si può realizzare con relativamente pochi soldi. Quindici comuni per dieci milioni di abitanti richiedono una spesa di 2,5 miliardi di in cinque anni e in nove anni si arriva al break even. Ipotizzando un quarto di capitale in equity (denaro sborsato dai realizzatori), 800 milioni, e si può partire.
Ora il progetto verrà presentato alle istituzioni (l'impegno del regolatore sarà fondamentale). Non partire, continuare a sostenere le infrastrutture vecchie, sarebbe un suicidio per una nazione che sulle telecomunicazioni di nuova generazione deve investire una buona fetta del suo futuro di nazione avanzata.
Detta così non ci può essere che una conclusione: la rete condivisa, in Italia, non si farà.



Alcuni link di approfondimento, con il documento della Harvard Law School sul broadband e l'analoga iniziativa che Swisscom ha proposto in Svizzera, Fibre Suisse.


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