05 maggio 2010

Analogica o digitale, sempre di televisiùn si tratta


Che al quarto congresso di DGTVI, il consorzio che promuove la televisione digitale terrestre in Italia (come se una tecnologia imposta ex lege avesse bisogno di promozione...), la televisione dovesse essere il tema dominante non deve sorprendere. Ma quando il secondo giorno del convegno, nel pieno del dibattito tra operatori presenti sulla piattaforma televisiva terrestra, il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri ha esclamato che il mercato televisivo è un oligopolio naturale, ho avuto un nuovo momento di profondo sconforto.
L'altro ieri ho lamentato qui i toni eccessivamente retorici della prima giornata del convegno. La slide con i dati di audience nelle regioni passate al digitale, che confermerebbe un ritorno ai numeri del passato (in pratica, la tv digitale terrestre avrebbe lo stesso numero di spettatori dell'analogico) mi aveva depresso. Ero convinto che ci sarebbe stato un calo, che i problemi di adeguamento dei vecchi impianti uniti all'anagrafe non proprio giovanile della televisione analogica, avrebbe determinato un calo. Se i dati forniti al convegno sono autentici questo calo non c'è stato. La perdita misurata sull'ascolto dei canali generalisti sarebbe stata più che compensata dal pubblico conquistato dai nuovi canali Rai e Mediaset. Quello della pay tv è un discorso a parte, un prodotto nuovo che però sembra essersi conquistato una buona fetta di clienti. La piattaforma satellitare Sky, il vero nemico da battere per questo convegno, non ha tratto alcun vantaggio dalla transazione, mantenendo intatte le sue quote. C'è un po' di contraddizione, come sempre, in questi dati che sembrano dirci che la gente ormai guarda contemporaneamente almeno due programmi… Ma dopotutto era il convegno della associazione DGTVI, non il congresso internazionale dei docenti di statistica.
Ora, non vorrei si pensasse che la televisione mi fa schifo, sono un discreto consumatore di programmi e non mi vergogno a dirlo. Sono però fortemente contrario al modello italiano di televisione-ostaggio, al perverso meccanismo di controllo finanziario del mezzo, che determina un controllo sulla pubblica opinione, che determina un controllo sugli elettori, che determinano un controllo sulla politica, che determina un controllo finanziario del mezzo. Una catena troppo diretta, troppo immutabile e soprattutto troppo concentrata nelle mani di una sola persona o gruppo ristretto di persone. E' un circolo vizioso che per il bene della nostra democrazia e della nostra economia dovremmo spezzare e io speravo che davvero la tecnologia, il moltiplicarsi dei canali, l'avvento dell'interattività, si sarebbero tradotte in spinte positive, dirompenti.
Invece niente, è stata la celebrazione stucchevole di un predominio tecnico, culturale, politico, persino quelli che avrebbero dovuto essere i più incazzati, gli editori delle piccole tv locali, pur dando voce ai loro timori di estinzione (timori più che fondati), erano ben contenti di sedere accanto a Confalonieri e Garimberti per celebrare la forza inarrestabile della "televisiùn". Altro che era della cross-medialità, a parte qualche timida, scontata esortazione allo sviluppo dell'offerta interattiva, a parte il solito Brunetta con il solito mantra sulla pubblica amministrazione televisiva digitale (me lo sto sorbendo da almeno dieci anni), a parte i pistolotti autocelebrativi sulle meravigliose sorti dei decoder ibridi con bollino "oro" capaci di connettersi a Internet, il responsabile di DGTVi Andrea Amborgetti ha più che altro disseminato il suo discorso di barriere e paletti: niente regali a nessuno, "né in terra né in cielo", vita durissima per Sky che vorrebbe accedere alla piattaforma terrestre pay "senza investire una lira", niente revisione del piano delle frequenze così come è stata delineata da AGCOM, niente favoritismi per chi vorrebbe offrire contenuti over the top attraverso il Web senza pagare dazio (alla faccia dell'apertura della piattaforma, buona sola per strappare applausi alla platea). Niente, niente, niente... Evviva la tv digitale aperta.
Insomma, non moriremo democristiani, ma televisivi digitali terrestri.
A proposito di AGCOM, il momento più forte dell'intero evento sono stati i dieci minuti del commissario Stefano Mannoni. Il quale ha detto parecchie cose sacrosante sulla vexata quaestio del piano nazionale delle frequenze (presentato da tutta DGTVI come una sorta di stregoneria concepita da crudeli ingegneri armati di spada laser e software mangiabambini), ma ha usato uno stile inconciliante che mi è parso del tutto fuori luogo, per niente super partes. Come sapete io sono sempre stato favorevole a una regolamentazione spettrale intelligentemente rigorosa, quello che è successo alla nostra radiofonia negli ultimi 35 anni è un pasticcio terzomondista che ha avuto pessime conseguenze sul settore. L'animosità nei confronti del piano è dovuta alle barricate che i membri di DGTVI stanno erigendo contro Murdoch, che punta a una quota dei mux che emergerebbero dal riordinamento. Mannoni ha espressamente detto che se non ci sarà il necessario spirito collaborativo, AGCOM "lascerà sul campo morti e feriti".
Tra audio e video sono in grado di assicurare un coverage abbastanza completo degli interventi del 3 e 4 maggio. Sul mio canale YouTube trovate li video degli interventi di Alberto Sigismondi che presenta i dati del rapporto annuale, Giancarlo Leone della RAI, Marco Ghigliani di Telecom Italia Media e l'accoppiata Giunco-Rossignoli di FRT-Aeranti Corallo. Nel mio archivio audio ci sono invece gli interventi di Luca Balestrieri di TivùSat, Andrea Ambrogetti, Enrico Manca (giovine Italia), Vespa con Brunetta, Formigoni, Stefano Mannoni, il viceministro Paolo Romani (non un brutto intervento il suo, a parte l'arroganza di rivolgersi a Paolo Garimberti come a un cameriere, per lamentarsi davanti a centinaia di persone di uno "scellerato servizio di Ballarò" e l'eterno vittimismo fuori luogo di una compagine governativa sostenuta da una maggioranza parlamentare granitica ma incapace di tollerare ogni minima critica da parte dell'opposizione e della stampa nazionale e straniera). E il dibattito tra Garmiberti, Confalonieri, Giunco, Rossignoli e un Tarak ben Ammar in gran forma, che si toglie lo sfizio di farci lezione di tolleranza e democrazia, indicando gli italiani come "arabi del Nord" (gli accordi però li fa con Mediaset, pecunia non olet). E se vi state chiedendo se qualcuno ha accennato ad eventuali stream audio all'interno dei mux o addirittura di radio digitale... Vabbé lasciamo perdere.



Qui di seguito invece i link al pdf del Quarto rapporto sulla televisione digitale terrestre in Italia e in Europa:

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Abito in Campania (switch off da qualche mese) ebbene il digitale ha portato tantissimi canali, ma ben il 99% sono occupati da maghi,venditori,cantanti neomelodici.Per non parlare dei ridicoli canali "+1", "+2", "plus" (praticamente sempre la stessa programmazione) giusto per occupare risorse. Domanda: non era meglio riservare 1/2 delle frequenze all'analogico e 1/2 al digitale. Con l'avvento della radio FM mica hanno tolto l'AM....

Andrea Lawendel ha detto...

E' un problema che a onor del vero è stato affrontato anche da Ambrogetti ("Ambro" per gli amici...). La famosa moltiplicazione dei canali e dei pesci contiene una notevole dose di ridondanza. Cosa che tra l'altro offre il fianco all'intervento di ripianificazione delle frequenze voluto da AGCOM, a mio parere con piena ragione. Soprattutto per le televisioni locali, prive di mezzi produttivi, il digitale terrestre significa soltanto cambiare un marchietto e far comparire dappertutto copie stucchevoli di maghi, venditori e cantanti neomelodici. Sono i risvolti oscuri di una "novità" che per molti versi è solo di facciata.
Forse per gli spettatori sì, sarebbe stato meglio un regime misto, ma la partita doppia avrebbe quasi sicuramente penalizzato le emittenti non in grado di offrire programmi di grande attrattiva, ancora più di quanto non avvenisse sul solo analogico. Uno dei grandi temi affrontati in questi giorni a Milano era il localismo, l'obbligo per le emittenti locali di far leva sull'informazione locale per mantenere una quota di spettattori fedeli, anche se produrre news locali è molto costoso. Temo che per come è costruito, il modello digitale porterà a un ulteriore rafforzamento dell'oligopolio. Del resto in Europa quella delle televisioni commerciali locali era una "anomalia" tutta italiana. La televisione professionale ha ormai una struttura di costi troppo elevata. Dal punto di vista del legislatore, infine, il regime doppio sarebbe stato controproducente. La tv digitale poteva funzionare solo se l'industria fosse stata stimolata a investire pesantemente nei decoder e nei televisori integrati. Questa "voglia" presupponeva la certezza, nei costruttori, che gli spettatori non avrebbero avuto altra scelta se non acquistare i nuovi apparati. E' stato ovviamente un grande favore a aziende-partito-governo come Mediaset. In "cambio" tutti noi abbiamo avuto una televisione più ricca. Sulla carta.