Quasi come in un racconto di Dino Buzzati, l'inferno ha una stretta porta d'accesso che si apre nell'anonima periferia di Trieste. Due domeniche fa, mentre ero viaggio verso Firenze per il Festival della Creatività, leggendo un articolo del Corrierone lasciato sul sedile del treno dal mio vicino sceso a La Spezia mi sono ritrovato sommerso dall'onda emotiva del ricordo dell'ultimo 25 aprile, trascorso insieme a triestini e sloveni riuniti per le commemorazioni presso la Risiera di San Sabba. L'articolo era firmato da Claudio Magris e riguardava un fatto della cronaca triestina che ha i suoi prodromi negli anni del fascismo e della guerra franchista. Ed è centrato su un personaggio che ebbe un ruolo non marginale nella crescita della radiofonia mussoliniana come strumento di propaganda e generazione di consenso.
Il grande germanista bollava di "revisionismo toponomastico" la decisione della giunta comunale triestina di dedicare una strada, anzi una delle tante scalinate del capoluogo giuliano, alla memoria di Mario Granbassi, il giornalista che - combinazione - fu il nonno dell'olimpionica Margherita Granbassi, la giovane "corrispondente" di Anno Zero che ha fatto parlare di sé recentemente per le polemiche con l'Arma dei carabinieri legate alla partecipazione della sportiva alla trasmissione. Nonno Mario, scriveva Magris, fu anche lui "buon giornalista specialmente radiofonico" e fervente fascista. Al punto da piantare in asso famiglia e carriera, partire volontario per la Spagna e finire ucciso, da martire falangista, nella martoriata (dai bombardieri italiani) città di Barcellona. Era il gennaio del 1939. Nel settembre di quell'anno mio padre cercava di fuggire da Varsavia, difesa da una anacronistica cavalleria impotente contro gli stessi aerei che avevano determinando la vittoria di Franco. Per Hitler la Spagna fu una magnifica palestra. A mio padre andò bene, più o meno, nonostante la scelta infelice di una fuga in direzione del fronte orientale, incontro alle truppe sovietiche che da sostanziali alleate dei nazisti muovevano per reclamare la loro porzione di Polonia a Brest-Litovsk. E sempre in quel fatidico '39 la Trieste fascista dedicava al nonno di Margherita, martire in Spagna, una prima strada, rimuovendo - immagino con lieta solerzia - la precedente targa dedicata allo storico ottocentesco Samuele Romanin, "colpevole" di ebraismo.
Esiste un'etica delle conseguenze che l'attuale destra di lotta e di governo continua a ignorare nel tentativo di riscrivere una storia che ha condannato in via definitiva, senza possibili appelli, il campo per cui Mario Granbassi si era valorosamente battuto. Il valore dimostrato in una guerra tutt'altro che giusta non può certo cambiare i delitti commessi da una ideologia perversa, nemmeno invocando e cercando di commisurare, con un cinico bilancino, analoghi orrori perpetrati da ideologie diverse ma altrettanto sanguinarie. Sapere che il fascismo ha combattuto il comunismo in Spagna non può indurci alla gratitudine nei confronti dei falangisti. Il fatto che Granbassi si sia battuto in nome di ideali di cui era convinto non ci autorizza a metterlo sullo stesso piano delle vittime dei bombardamenti di Barcellona voluti da Franco e Mussolini. E infatti, tra le molte proteste che hanno accolto la decisione della giunta triestina si leggono le firme di molti docenti universitari catalani, indignati dal frettoloso accostamento. Proprio quest'anno, oltretutto, le autorità catalane hanno organizzato, a settant'anni di distanza da quella pioggia di bombe una mostra itinerante che ha toccato molte città italiane con il titolo Quan plovien bombes.
Sembra che il sindaco di Trieste abbia voluto sottolineare che l'omaggio a Granbassi non è rivolto al combattente fascista, ma al giornalista del glorioso Piccolo e al conduttore e radiocronista dell'Eiar. Ma anche questi due ruoli andrebbero presi nel giusto contesto, se volessimo per una volta dar retta all'etica delle conseguenze. Granbassi diventò molto famoso per un programma per bambini, Mastro Remo, che fu poi trasformato anche in un popolare settimanale di storie e disegni. Ma quale poteva mai essere il messaggio rivolto ai giovani ascoltatori della radio del Duce?
Su Internet ho trovato gli appunti di una interessante mostra documentaria allestita lo scorso anno, nel centenario della nascita di Mario Granbassi, nelle sale del palazzo comunale a Trieste. E' possibile che presto vengano anche pubblicati gli inediti diari che Mario scrisse nei giorni in cui si batteva sul fronte spagnolo. I testi elaborati per l'esposizione sottolineano il ruolo del giornalista come "comunicatore degli Anni Trenta". Ancora una volta: è possibile fingere di ignorare quanto veniva "comunicato" allora? Alla notizia della morte il Piccolo pubblicò un necrologio intitolato il Mago della Radio, citando il seguito che il personaggio di "Mastro Remo" ebbe tra decine migliaia di ragazzi, detti "combriccolini", nel bacino di ascolto di Radio Trieste. E io mi chiedo se per caso c'era qualcuno di quei ragazzi, tra le vittime - o i carnefici - della Risiera.
Il grande germanista bollava di "revisionismo toponomastico" la decisione della giunta comunale triestina di dedicare una strada, anzi una delle tante scalinate del capoluogo giuliano, alla memoria di Mario Granbassi, il giornalista che - combinazione - fu il nonno dell'olimpionica Margherita Granbassi, la giovane "corrispondente" di Anno Zero che ha fatto parlare di sé recentemente per le polemiche con l'Arma dei carabinieri legate alla partecipazione della sportiva alla trasmissione. Nonno Mario, scriveva Magris, fu anche lui "buon giornalista specialmente radiofonico" e fervente fascista. Al punto da piantare in asso famiglia e carriera, partire volontario per la Spagna e finire ucciso, da martire falangista, nella martoriata (dai bombardieri italiani) città di Barcellona. Era il gennaio del 1939. Nel settembre di quell'anno mio padre cercava di fuggire da Varsavia, difesa da una anacronistica cavalleria impotente contro gli stessi aerei che avevano determinando la vittoria di Franco. Per Hitler la Spagna fu una magnifica palestra. A mio padre andò bene, più o meno, nonostante la scelta infelice di una fuga in direzione del fronte orientale, incontro alle truppe sovietiche che da sostanziali alleate dei nazisti muovevano per reclamare la loro porzione di Polonia a Brest-Litovsk. E sempre in quel fatidico '39 la Trieste fascista dedicava al nonno di Margherita, martire in Spagna, una prima strada, rimuovendo - immagino con lieta solerzia - la precedente targa dedicata allo storico ottocentesco Samuele Romanin, "colpevole" di ebraismo.
Esiste un'etica delle conseguenze che l'attuale destra di lotta e di governo continua a ignorare nel tentativo di riscrivere una storia che ha condannato in via definitiva, senza possibili appelli, il campo per cui Mario Granbassi si era valorosamente battuto. Il valore dimostrato in una guerra tutt'altro che giusta non può certo cambiare i delitti commessi da una ideologia perversa, nemmeno invocando e cercando di commisurare, con un cinico bilancino, analoghi orrori perpetrati da ideologie diverse ma altrettanto sanguinarie. Sapere che il fascismo ha combattuto il comunismo in Spagna non può indurci alla gratitudine nei confronti dei falangisti. Il fatto che Granbassi si sia battuto in nome di ideali di cui era convinto non ci autorizza a metterlo sullo stesso piano delle vittime dei bombardamenti di Barcellona voluti da Franco e Mussolini. E infatti, tra le molte proteste che hanno accolto la decisione della giunta triestina si leggono le firme di molti docenti universitari catalani, indignati dal frettoloso accostamento. Proprio quest'anno, oltretutto, le autorità catalane hanno organizzato, a settant'anni di distanza da quella pioggia di bombe una mostra itinerante che ha toccato molte città italiane con il titolo Quan plovien bombes.
Sembra che il sindaco di Trieste abbia voluto sottolineare che l'omaggio a Granbassi non è rivolto al combattente fascista, ma al giornalista del glorioso Piccolo e al conduttore e radiocronista dell'Eiar. Ma anche questi due ruoli andrebbero presi nel giusto contesto, se volessimo per una volta dar retta all'etica delle conseguenze. Granbassi diventò molto famoso per un programma per bambini, Mastro Remo, che fu poi trasformato anche in un popolare settimanale di storie e disegni. Ma quale poteva mai essere il messaggio rivolto ai giovani ascoltatori della radio del Duce?
Su Internet ho trovato gli appunti di una interessante mostra documentaria allestita lo scorso anno, nel centenario della nascita di Mario Granbassi, nelle sale del palazzo comunale a Trieste. E' possibile che presto vengano anche pubblicati gli inediti diari che Mario scrisse nei giorni in cui si batteva sul fronte spagnolo. I testi elaborati per l'esposizione sottolineano il ruolo del giornalista come "comunicatore degli Anni Trenta". Ancora una volta: è possibile fingere di ignorare quanto veniva "comunicato" allora? Alla notizia della morte il Piccolo pubblicò un necrologio intitolato il Mago della Radio, citando il seguito che il personaggio di "Mastro Remo" ebbe tra decine migliaia di ragazzi, detti "combriccolini", nel bacino di ascolto di Radio Trieste. E io mi chiedo se per caso c'era qualcuno di quei ragazzi, tra le vittime - o i carnefici - della Risiera.
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