Il tragitto in metropolitana che mi sballotta quasi ogni giorno tra casa e ufficio è dedicato alla lettura o alla risoluzione del sudoku. Quest'ultima dipende più che altro dal tipo di giornaletto freepress che riesco a procurarmi scendendo le scale delle fermate di Lima o Bande Nere. I miei orari sono un po' anomali e a volte resto tagliato fuori dalla normale distribuzione e devo rinunciare al rompicapo. Quasi invariabilmente, il viaggio di andata è tagliato su misura del sudoku "difficile" di City; il ritorno - che da diversi mesi a questa parte avviene in due tappe inframmezzate dalla visita all'ospedale dov'è ricoverato mio padre - è appannaggio di 24 minuti, il freepress pomeridiano del Sole 24 Ore. Sono un tipo terribilmente abitudinario, io.
Sudoku a parte, al contenuto dei giornaletti dedico, quando va bene, pochi secondi. Ma questa sera 24 minuti me l'ero procurato nella prima tappa del viaggio di ritorno e avendo trovato mio padre in giornata relativamente lucida, l'ho sfogliato insieme a lui, nella sua stanza della "Baggina". La sezione spettacoli del giornale era dedicata all'iniziativa che la Fondazione Giorgio Gaber, il Comune e altre istituzioni culturali della città dedicano alla memoria dell'autore musicale e teatrale che se n'è andato quasi sei anni fa (era il Capodanno del 2003). Uno dei pezzi forti delle rievocazioni previste per la seconda edizione di Milano per Giorgio Gaber è "Io quella volta lì avevo 25 anni". Si tratta di un testo in sei "racconti" ambientati in diverse decadi della nostra storia. Un inedito che Gaber con Sandro Luporini avevano imbastito in previsione di un ritorno a teatro della coppia di autori che purtroppo non avvenne mai. Gaber si era ammalato gravemente, non avrebbe potuto affrontare un'uscita in palcoscenico. Il suo posto sarà idealmente preso il mese prossimo da Claudio Bisio, che leggerà l'inedito al Teatro Strehler. Mi sono commosso leggendo la cronaca della conferenza stampa di presentazione, perché i curatori dell'evento hanno ricordato che Gaber avrebbe desiderato che i suoi racconti fossero almeno presentati in versione radiofonica. Non fu possibile realizzare neppure quell'embrione di progetto e il testo di Io quella volta lì avevo 25 anni è rimasto nel cassetto fino a oggi.
Quando io avevo meno di 25 anni Giorgio era ancora all'apice della sua carriera di chansonneur politico, così particolare e inafferrabile, conteso tra una sinistra già allora specializzata in autoflagellazioni e occasioni perdute, e una destra in cui Gaber, per colmo di ironia, si ritrovò invischiato per ragioni matrimoniali. Ma nella Milano di Gaber - una mia compagna di liceo abitava nella stessa strada, via Londonio, immortalata in un suo dialogo famoso - i suoi spettacoli erano un'istituzione, credo di essere andato in teatro - al Nazionale, al Lirico - a sentirlo che ero ancora in quarta ginnasio, negli anni di Far finta di essere sani, di Anche per oggi non si vola, di Polli di allevamento. Imparavamo a memoria le canzoni e i monologhi di quello che allora era considerata la coscienza critica dell'intellighentsjia militante. Che abbozzava e davanti alle critiche rideva e ci pensava su (del resto il Signor G. aveva quasi sempre ragione). Poi Giorgio fu arruolato d'ufficio a destra, che ha continuato a ridere delle sue critiche, ma senza pensarci troppo su, perché convinta che riguardassero solo "gli altri". Molte delle cose che Gaber cantava e diceva quando avevo 15 o 25 anni, tirate fuori da quel contesto forse oggi sembrerebbero fuori moda, ermetiche. Altre no, perché si rivolgevano a vizi e difetti borghesi da cui non guariremo mai (è per questo che dobbiamo tuttora fingere di essere sani).
E poi rimangono le canzoni del Gaber "pre-politico", gli inimitabili ritratti di una Milano poetica e triste che non esiste più ma vale la pena di essere ricordata esattamente come veniva cantata. Il Giambellino del Cerutti, Porta Romana e le ragazzine che te la danno. L'ultimo lavoro uscì che Gaber non c'era già più e si intitolava Io non mi sento italiano. Forse per questo uno dei ricordi più belli che potete trovare online è un sito allestito quest'anno dalla Radiotelevisione della Svizzera Italiana e dedicato a Giorgio Gaber, un "italieno" in Svizzera. Il 15 febbraio scorso la TSI ha mandato in onda uno spettacolo pieno di ricordi, che potete vedere in streaming su quel sito. Tra i tanti materiali un filmato realizzato da un regista ticinese nel 1965, in cui Gaber canta Porta Romana a bordo di un tram (il 12?) che percorre, di sera, proprio la strada tracciata sull'antico decumano milanese. In quel videoclip antelitteram Giorgio è appoggiato sulla parete in fondo, dinoccolato, un po' stortignaccolo, con una spalla più alta dell'altra per la polio, accanto alla porta posteriore, dove sedeva il bigliettaio. In un punto dei nostri tram dove un apposito cartello avvertiva, perentorio, "vietato soffermarsi sulla piazzola sul retro" (mai capito perché, forse per non intralciare la manovra di acquisto dei biglietti... Tanto quei cartelli li hanno tolti da secoli, insieme ai bigliettai).
Lui doveva essere un po' così, un menestrello raffinato e amaro, che amava starsene nelle posizioni scomode o vietate dai regolamenti. Chissà da che parte stava allora, da che parte starebbe oggi... In realtà non è mai stato importante, i poeti stanno dalla parte giusta.
Sudoku a parte, al contenuto dei giornaletti dedico, quando va bene, pochi secondi. Ma questa sera 24 minuti me l'ero procurato nella prima tappa del viaggio di ritorno e avendo trovato mio padre in giornata relativamente lucida, l'ho sfogliato insieme a lui, nella sua stanza della "Baggina". La sezione spettacoli del giornale era dedicata all'iniziativa che la Fondazione Giorgio Gaber, il Comune e altre istituzioni culturali della città dedicano alla memoria dell'autore musicale e teatrale che se n'è andato quasi sei anni fa (era il Capodanno del 2003). Uno dei pezzi forti delle rievocazioni previste per la seconda edizione di Milano per Giorgio Gaber è "Io quella volta lì avevo 25 anni". Si tratta di un testo in sei "racconti" ambientati in diverse decadi della nostra storia. Un inedito che Gaber con Sandro Luporini avevano imbastito in previsione di un ritorno a teatro della coppia di autori che purtroppo non avvenne mai. Gaber si era ammalato gravemente, non avrebbe potuto affrontare un'uscita in palcoscenico. Il suo posto sarà idealmente preso il mese prossimo da Claudio Bisio, che leggerà l'inedito al Teatro Strehler. Mi sono commosso leggendo la cronaca della conferenza stampa di presentazione, perché i curatori dell'evento hanno ricordato che Gaber avrebbe desiderato che i suoi racconti fossero almeno presentati in versione radiofonica. Non fu possibile realizzare neppure quell'embrione di progetto e il testo di Io quella volta lì avevo 25 anni è rimasto nel cassetto fino a oggi.
Quando io avevo meno di 25 anni Giorgio era ancora all'apice della sua carriera di chansonneur politico, così particolare e inafferrabile, conteso tra una sinistra già allora specializzata in autoflagellazioni e occasioni perdute, e una destra in cui Gaber, per colmo di ironia, si ritrovò invischiato per ragioni matrimoniali. Ma nella Milano di Gaber - una mia compagna di liceo abitava nella stessa strada, via Londonio, immortalata in un suo dialogo famoso - i suoi spettacoli erano un'istituzione, credo di essere andato in teatro - al Nazionale, al Lirico - a sentirlo che ero ancora in quarta ginnasio, negli anni di Far finta di essere sani, di Anche per oggi non si vola, di Polli di allevamento. Imparavamo a memoria le canzoni e i monologhi di quello che allora era considerata la coscienza critica dell'intellighentsjia militante. Che abbozzava e davanti alle critiche rideva e ci pensava su (del resto il Signor G. aveva quasi sempre ragione). Poi Giorgio fu arruolato d'ufficio a destra, che ha continuato a ridere delle sue critiche, ma senza pensarci troppo su, perché convinta che riguardassero solo "gli altri". Molte delle cose che Gaber cantava e diceva quando avevo 15 o 25 anni, tirate fuori da quel contesto forse oggi sembrerebbero fuori moda, ermetiche. Altre no, perché si rivolgevano a vizi e difetti borghesi da cui non guariremo mai (è per questo che dobbiamo tuttora fingere di essere sani).
E poi rimangono le canzoni del Gaber "pre-politico", gli inimitabili ritratti di una Milano poetica e triste che non esiste più ma vale la pena di essere ricordata esattamente come veniva cantata. Il Giambellino del Cerutti, Porta Romana e le ragazzine che te la danno. L'ultimo lavoro uscì che Gaber non c'era già più e si intitolava Io non mi sento italiano. Forse per questo uno dei ricordi più belli che potete trovare online è un sito allestito quest'anno dalla Radiotelevisione della Svizzera Italiana e dedicato a Giorgio Gaber, un "italieno" in Svizzera. Il 15 febbraio scorso la TSI ha mandato in onda uno spettacolo pieno di ricordi, che potete vedere in streaming su quel sito. Tra i tanti materiali un filmato realizzato da un regista ticinese nel 1965, in cui Gaber canta Porta Romana a bordo di un tram (il 12?) che percorre, di sera, proprio la strada tracciata sull'antico decumano milanese. In quel videoclip antelitteram Giorgio è appoggiato sulla parete in fondo, dinoccolato, un po' stortignaccolo, con una spalla più alta dell'altra per la polio, accanto alla porta posteriore, dove sedeva il bigliettaio. In un punto dei nostri tram dove un apposito cartello avvertiva, perentorio, "vietato soffermarsi sulla piazzola sul retro" (mai capito perché, forse per non intralciare la manovra di acquisto dei biglietti... Tanto quei cartelli li hanno tolti da secoli, insieme ai bigliettai).
Lui doveva essere un po' così, un menestrello raffinato e amaro, che amava starsene nelle posizioni scomode o vietate dai regolamenti. Chissà da che parte stava allora, da che parte starebbe oggi... In realtà non è mai stato importante, i poeti stanno dalla parte giusta.
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