Sono andato a leggermi, come lo scorso anno, il capitolo sui comportamenti mediatici degli italiani analizzati nell'ultima edizione del Rapporto annuale del Censis, presentato la scorsa settimana. Molti dati erano già stati resi noti in uno studio più specifico presentato pochi giorni prima, il 19 novembre: I media tra crisi e metamorfosi (leggete qui di seguito il comunicato stampa). Per la radio le cose vanno bene. Non solo resiste e guadagna di seguito ma è anche quello che negli ultimi dieci anni cresce di più in proporzione. Nel 2001 la percentuale di italiani che affermava di "frequentare" la radio almeno una volta alla settimana era del 68,8 percento. Nel 2009 è dell'81,2%, un delta addirittura superiore a quello del telefono cellulare.
A preoccupare piuttosto è la situazione dei quotidiani, che nonostante i tre punti abbondanti guadagnati tra 2001 e 2009 sono precipitati rispetto al picco raggiunto nel 2007. In soli due anni gli italiani nel loro mix mediatico hanno sostituito i giornali e si cibano di tv e Internet. Il partito dei frequentatori abituali di quotidiani (un giornale sfogliato tre volte alla settimana) perde quota visibilmente. Nel 2007 era sopra i 51 punti, oggi intorno al 35%. Il Censis lo chiama "press divide" e con tutti i difetti dei mondo dei giornali, per il quale lavoro, la cosa non mi entusiasma per niente
Nasce il press divide: i mezzi a stampa fuori dalla «dieta mediatica» del 39,3% degli italiani
Presentato l'8° Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione «I media tra crisi e metamorfosi»
Consumi in crescita, ma si fanno i conti con la crisi. Decollano le nuove Tv, si riduce il digital divide, anno nero per la carta stampata
Roma, 19 novembre 2009 – L’evoluzione dei consumi mediatici. In crescita la diffusione di tutti i mezzi di comunicazione tra il 2001 e il 2009. Aumentano gli utenti di Internet (+26,9%) e dei telefoni cellulari (+12,2%), ma anche la radio - che ormai si può ascoltare anche dal lettore mp3, dal telefonino e dal web - fa un grande balzo in avanti (+12,4%), così come crescono, anche se di poco, i lettori di libri (+2,5%) e di giornali (+3,6%), e la stessa televisione raggiunge praticamente la quasi totalità degli italiani (+2%). Gli utenti della Tv arrivano a quota 97,8% della popolazione, il cellulare sale all’85%, la radio all’81,2% (in particolare, l’ascolto della radio dal lettore mp3 è tipico del 46,7% dei giovani tra 14 e 29 anni), i giornali al 64,2%, i libri al 56,5%, Internet al 47%. La diffusione dei nuovi media non ha penalizzato quelli già esistenti: nella società digitale i nuovi mezzi di comunicazione non sostituiscono i vecchi, anzi, affiancandosi ad essi, creano nuovi stimoli al loro impiego secondo la logica della moltiplicazione e integrazione.
I riflessi della crisi. La crisi che stiamo attraversando – che è anche la prima grande crisi conosciuta dalla società digitale – ha accelerato il processo di trasformazione del sistema dei media già in atto, sospinto dalle innovazioni tecnologiche, determinando con notevole rapidità un riposizionamento dei diversi mezzi. Si rileva l’espansione dei media gratuiti e la sostanziale battuta d’arresto di quelli a pagamento (ad eccezione della Tv digitale). Mentre l’uso complessivo del telefono cellulare rimane pressoché stabile tra il 2007 e il 2009 (con un leggero calo dall’86,4% all’85% della popolazione), a crescere notevolmente è stato l’uso del cellulare nelle sue funzioni di base (dal 48,3% al 70%), mentre quelle più sofisticate – e costose – sono diminuite: l’uso dello smartphone è sceso dal 30,1% al 14,3%, il videofonino dall’8% allo 0,8%. Questi dati non verificano il possesso dell’apparecchio, bensì ne misurano l’uso effettivo. Il telefonino è dunque un bene a cui non si può rinunciare, neanche in tempi di crisi, però qualcosa si può risparmiare, magari inviando qualche sms in più ed evitando di connettersi a Internet con i costosissimi servizi wap.
Le nuove Tv. Le nuove forme di televisione sono entrate a far parte delle abitudini degli italiani. Negli ultimi due anni, tra il 2007 e il 2009, l’utenza della Tv satellitare passa dal 27,3% al 35,4% della popolazione e il digitale terrestre raddoppia il suo pubblico (dal 13,4% al 28%), benché lo switch over del segnale analogico abbia interessato finora solo alcune zone del territorio nazionale. La Tv via Internet triplica la sua utenza, passando dal 4,6% al 15,2%, e la mobile Tv interessa già l’1,7% della popolazione. In tempi di crisi, dovendo fare delle scelte, gli italiani si sono orientati verso l’investimento nei media che forniscono più servizi, di diverso genere e cumulabili tra i membri della famiglia, come i pacchetti delle pay Tv: oggi il 60,7% di chi guarda la Tv digitale (satellitare o terrestre) ha sottoscritto un abbonamento, soprattutto per guardare le partite di calcio e gli eventi sportivi in esclusiva (31,2%), i film in prima visione (24,8%), i cartoni animati per i bambini (13%).
Si rinuncia alla carta stampata. Negli ultimi due anni la lettura dei quotidiani a pagamento passa dal 67% al 54,8%, invertendo la tendenza leggermente positiva che si era registrata negli anni immediatamente precedenti al 2007. Questo è il dato dell’utenza complessiva, cioè chi legge un quotidiano almeno una volta la settimana. L’utenza abituale, cioè chi lo legge almeno tre volte la settimana, passa dal 51,1% del 2007 al 34,5% del 2009. Se prima della crisi la metà degli italiani aveva un contatto stabile con i quotidiani, adesso questa porzione si è ridotta a un terzo. Se si pensa che in questa quota sono compresi anche i quotidiani sportivi, si può capire quanto la crisi abbia reso ancora più marginale il ruolo della carta stampata nel processo di formazione dell’opinione pubblica nel nostro Paese. La flessione non è neanche compensata dall’aumento della diffusione della free press, che rimane pressoché stabile (l’utenza passa dal 34,7% al 35,7%). La lettura, anche occasionale, dei settimanali coinvolge nel 2009 il 26,1% degli italiani (-14,2% rispetto al 2007) e quella dei mensili il 18,6% (-8,1%). In leggera flessione anche la lettura dei libri, che era cresciuta per tutto il decennio, raggiungendo il 59,4% della popolazione nel 2007, per ripiegare poi al 56,5% nel 2009.
Verso la saturazione dell’utenza di Internet. L’impiego di Internet tra gli italiani è passato dal 45,3% del 2007 al 47% della popolazione nel 2009. Quando ormai il web è diventato familiare per l’80,7% dei giovani e il 67,2% delle persone più istruite, il dato complessivo potrà aumentare solo di poco nel breve periodo. Per quanto riguarda i quotidiani on line, si registra una flessione dell’utenza (dal 21,1% al 17,7%) che non è certo riconducibile a motivi economici, bensì all’evoluzione degli impieghi della rete: si pensi ai portali che pubblicano anche notizie di cronaca e di costume, a link e finestre informative aperte nei blog e nei social network abitualmente frequentati, ai motori di ricerca e agli aggregatori che rintracciano automaticamente le notizie in rete.
Nasce il press divide. Il numero delle persone che hanno un rapporto esclusivo con i media audiovisivi (radio e Tv) rimane praticamente stabile (26,4%), mentre diminuiscono quanti hanno una «dieta mediatica» basata al tempo stesso su mezzi audiovisivi e mezzi a stampa (dal 42,8% al 24,9% tra il 2006 e il 2009). La somma di questi due gruppi rappresenta il totale di quanti non hanno ancora colmato il digital divide, la cui soglia si collocava nel 2006 al 71% e scende oggi al 51,3% della popolazione. Nasce però un nuovo divario tra quanti contemplano nelle proprie diete i media a stampa (insieme a radio, Tv e Internet) e quanti non li hanno ancora o non li hanno più. Se il digital divide si sta attenuando, il press divide invece aumenta, visto che nel 2006 era il 33,9% degli italiani a non avere contatti con i mezzi a stampa, mentre nel 2009 si è arrivati al 39,3% (+5,4%). Ad aumentare negli ultimi anni l’estraneità ai mezzi a stampa, e in misura rilevante, sono stati i giovani (+10%), gli uomini (+9,9%) e i più istruiti (+8,2%), cioè i soggetti da sempre ritenuti il traino della modernizzazione del Paese.
3 commenti:
quando guardo queste analisi, penso ci sia un errore metodologico. Uno che una volta acquistava il messaggero e oggi non lo acquista più perchè lo legge gratis (dopo le 14) dal sito ufficiale del messaggero, risulterebbe come uno "perso" dalla lettura dei quotidiani e uno in più per Internet; vero? Se si, allora l'analisi ha un errore di fondo.
Sì e no. E' un problema di costo-lettore e di revenues generate dall'insieme dei lettori. Un lettore che accede al sito Web del Messaggero equivale a una copia invenduta in edicola. La relazione Censis parla espressamente di quotidiani a pagamento. Gli editori finora hanno finanziato le redazioni online con il cartaceo, se l'online cannibalizza il cartaceo si pone alla fine un problema di sostenibilità: l'online dovrà autfinanziarsi e magari finanziare il cartaceo. I segnali che arrivano da tutto il mondo, Stati Uniti in particolare, dicono che purtroppo l'online non sostituisce la carta: a chiudere i battenti è il quotidiano nella sua totalità.
mi permetto di aggiungere una osservazione piccolissima. Sono passato in un centro commerciale (parco leonardo) di Roma; all'interno c'erano tutti i tipi di negozi (addirittura uno sportello bancario) tranne una farmacia (e si può anche capire il perchè) e un giornalaio!! Non è assurda l'assenza di un giornalaio (ovviamente il giornalaio non è fuori, nelle vicinanze)? Capisco che affittare uno spazio a un'agenzia di scommesse sia più redditizio che affittare lo stesso spazio a un giornalaio, ma così si sottovaluta il ruolo sociale che svolge un venditore di quotidiani e riviste. L'assenza del giornalaio in quel posto, a quante copie non vendute porta??
Posta un commento