26 gennaio 2009

La voce di Yossl e il silenzio di Dio

Questo blog non potrebbe avere una lunga schiera di lettori neanche se io fossi in grado di offrire un prodotto mediatico con tutti i sacri crismi. Non me ne lamento affatto e anzi assaporo ogni momento la gioia di poter scrivere per chi, forse, era proprio alla ricerca di quel che ho scritto ed è addirittura disposto a ritornare per quanto scriverò. Ma stiamo sempre parlando di Internet. Dove la pur effimera visibilità legata alle parole chiave finisce per esporti, potenzialmente, all'attenzione di tutti. Anche di chi che cerca le cose che hai scritto animato da impulsi antipodali rispetto ai tuoi.
Ci pensavo questa mattina, 26 gennaio, vigilia del Giorno della Memoria, respingendo (lo faccio molto raramente) il commento di un lettore a un mio vecchio post sull'emigrazione. Una delle tematiche più *mie* visto che sono figlio di un emigrato che aveva perso praticamente tutto, speranze inlcuse, in una guerra non del tutto dissimile dagli sporchi conflitti che continuano ad alimentarla oggi, l'emigrazione. Non è la prima volta che ci prova, il mio spero occasionale lettore, a inserire questo suo commento. So già che ci proverà ancora perché non credo sia riuscito a comprendere che il mio diniego è solo una misura di immeritata cortesia nei suoi confronti: non mi va di mettere alla berlina, di esporre al ludibrio di tutti, la natura profondamente idiota e meschina del razzismo. Trovo che in questo momento, a denunciarne la tragica stupidità bastino e avanzino le battute che giungono, ormai quotidiane, fastidiosamente studiate (e ancor più fastidiosamente fruttuose sul piano elettorale) dalle alte cariche istituzionali e politiche.
Vengono fortunatamente a soccorso i "veri" lettori di RP. In particolare chi, nelle ore che precedono il Giorno della Memoria, non mi scrive facili battute contro il genere umano, ma si rivolge a me per suggerire un testo da regalare, per l'occasione, a tutti voi. Immagino abbiate capito che la memoria, per me, più che una "occasione" debba essere una pratica costante. Che in un certo senso mi rattrista sapere che un Parlamento debba istituire certe giornate ex lege (ed è già tanto che lo faccia, considerando il tipo di barzellette raccontate da coloro che in Parlamento ci siedono).
"Conosci Yossl Rakover? Perché non lo leggi ad alta voce per quel giorno?" mi ha chiesto qualche giorno fa questa persona così generosa, forse ispirata da alcuni rimandi alla letteratura yiddish che avevamo in qualche modo incrociato. Sul momento non ricordavo quel titolo, la mia pericolante biblioteca è disordinatissima e altre volte mi è capitato di scovarvi cose del tutto dimenticate. Per scrupolo, non sapendo se e dove cercare, sono entrato in una delle librerie di Corso Buenos Aires tornando a casa e Yossl era lì, uno dei pochissimi della Piccola Biblioteca Adelphi. Un piccolo segno anche quello. Mi sono portato a casa il libricino, senza poter escludere che fosse un doppione: l'idea della lettura ad alta voce mi piaceva, ormai è diventata quasi una abitudine.
"Yossl Rakover si rivolge a Dio" è un breve testo dell'immediato dopoguerra che sulle prime era stato attribuito a un combattente del Ghetto di Varsavia, la prima vera insurrezione urbana, una delle poche che milioni di vittime completamente inermi erano riusciti a opporre, brevemente, alle forze di occupazione naziste e ai loro alleati locali. Il testamento lasciato, come scrive "Yossl", in una bottiglia molotov svuotata della sua benzina, il 28 aprile del 1943, non veniva dalle rovine di Varsavia, ma da assai più lontano... L'autore di una straordinaria dichiarazione di fede che è anche spietato atto di accusa verso la divinità, un appassionato atto d'amore nei confronti della Legge, è un litvak, un ebreo lituano di nome Zvi Kolitz, scomparso nel 2002 a Manhattan. Zvi, che era emigrato in Palestina prima dello spalancarsi del baratro, aveva scritto questo racconto nel 1946 per un giornale yiddish di Buenos Aires, dove si trovava per un giro di conferenze. Un personaggio avventuroso, Zvi, membro dell'Irgun di Menachem Beghin, giornalista, scrittore, sceneggiatore. Il suo Yossl arrivò a Tel Aviv e in Europa come testo apocrifo e fu preso davvero per un manoscritto trovato in una bottiglia nel ghetto. Fu tradotto in tedesco e in altre lingue e il 25 aprile del 1955, il filosofo Emmanuel Levinas, conterraneo di Kolitz, pronunciò alla radio una dissertazione che rese ancora più autorevole il testamento di Yossl.
La mia lettura di Yossl Rakover si rivolge a Dio potete ascoltarla qui, chiudendo più occhi del solito per la raucedine e il naso tappato di chi legge. Per approfondire i vari retroscena potete leggervi la recensione apparsa sul New York Times in occasione di una edizione di Yossl Rakover di dieci anni fa, oppure quello che Cesare Cases ha scritto sull'Indice e che viene riportato su IBS. Per i pochi documenti originali che non sono andati distrutti con il ghetto di Varsavia e i suoi sventurati abitanti fa ancora testo l'esposizione che il Memorial de la Shoah ha curato in Francia nel 2006. Vi invito inoltre a seguire domani i programmi speciali di Radio 3 (e altre suggestioni sonore passate che confido verranno inserite qui sotto, nei commenti).
Sul sito dello Yad Vashem ho trovato una vera citazione risalente a più o meno la stessa data immaginata da Kolitz. E' scritta da Mordecai Anielewicz il 23 aprile del '43:
«E' impossibile esprimere a parole ciò che abbiamo vissuto. Una cosa è chiara, quel che è successo supera i nostri sogni più audaci... Credo stiano accadendo grandi cose e ciò che abbiamo osato fare sia di grande, enorme importanza... Il sogno della mia vita è diventato un fatto. L'autodifesa nel ghetto verrà ricordata come una cosa realmente accaduta. La resistenza armata e la vendetta degli Ebrei sono fatti. Sono stato il testimone della fulgida, eroica lotta di uomini ebrei in battaglia.»
C'è, lo so, chi sarà tentato proprio in questi giorni di pensare, magari in buona fede, ad altre battaglie, molto più vicine nel tempo, che vedono coinvolti uomini ebrei armati. E personalmente capisco questa tentazione, non sono meno lacerato dalle immagini che giungono oggi da altre città assediate. Ma l'esercizio della Memoria non deve essere una lettura comparata dei quotidiani di oggi, da cui è fin troppo facile ricavare ammonimenti che in analoghe circostanze saremmo i primi a non seguire ed elementi accusatori o, peggio ancora, assolutori. La Memoria non è una ripicca, è il dovere di ammettere e cercare di superare l'alleato più forte di Hitler in quelle strade seminate di cadaveri e macerie: il nostro silenzio, le nostre omissioni. Come scrive Yossl il "Ghetto di Varsavia muore combattendo ... bruciando, ma non gridando." C'era solo silenzio intorno alle file di vittime nude davanti agli sportelli delle camere di Birkenau, non giornalisti, non immagini a effetto, non alleati cinici e interessati che alimentano la fame di dialogo con la fornitura di armi disinvoltamente utilizzate nei cortili delle scuole. Senza quel silenzio, il nostro silenzio, il rumore osceno della vergogna di Birkenau non ci avrebbe fatto più dormire. E invece...

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Andrea,
unisco al tuo questo piccolo contributo, come segno di gratitudine di affetto e di apprezzamento :

Viaggio ad Auschwitz di Ascanio Celestini - 2007

Sono cinque storie di deportati, registrate nell'ottobre del 2005 durante un viaggio scolastico ad Auschwitz. Trasmesse poi da Radio3 Suite nel maggio del 2007 e pubblicate in podcast.

Non so aggiungere altro.

mariu

Andrea Lawendel ha detto...

mariu,

Sono io a non saper aggiungere altro.
Il problema, ahimé, è che troppo spesso so far precedere solo parole sbagliate, o insufficienti.
Un abbraccio.