10 gennaio 2009

Prigionieri di via del Campo



10 Gennaio 2009
100 Radio unite per De Andrè
(da Millecanali.it)

Domani per "Fabrizio 2009", programma di Fabio Fazio su RaiTre dedicato ai dieci anni dalla scomparsa di "Faber", almeno cento Radio trasmetteranno in simultanea "Amore che vieni amore che vai".

È "Amore che vieni amore che vai", la canzone scelta da Dori Ghezzi e proposta nella versione originale interpretata da De Andrè per "Fabrizio 2009" lo speciale omaggio via etere a Fabrizio De Andrè. La canzone del grande "Faber" sarà trasmessa in contemporanea da "Che tempo che fa" e da almeno un centinaio (difficile fare una conta precisa) di Radio italiane, fra le 22.40 e le 22.50 di domani, domenica 11 gennaio (data della morte di De Andrè nel 1999), durante la serata evento "Fabrizio 2009", che Fabio Fazio ha voluto dedicare al cantautore genovese, in onda dalle 20.10 su RaiTre e realizzato in collaborazione con Dori Ghezzi e la Fondazione Fabrizio De Andrè Onlus.

Tra i network che hanno aderito a questa iniziativa del programma Tv: RadioRai, Radio DeeJay, Rtl 102.5, Radio Italia Solo Musica Italiana, Radio Popolare Network, Radio Kiss Kiss, Radio 24, LatteMiele, Radio Capital, Radio Città Futura ma anche moltissime piccole e medie emittenti locali. "Fabrizio 2009" sarà uno spettacolo di tre ore, in cui alcuni dei più grandi nomi della canzone italiana renderanno omaggio a quello che molti (noi compresi) considerano il più grande cantautore italiano, un vero magnifico ‘poeta della canzone’, interpretando alcuni tra i suoi brani più belli.

Ma l'ora X scatterà appunto alle 22,40 quando RaiTre e le cento Radio trasmetteranno in contemporanea il brano citato cantato da De André. Un'idea e una canzone che legheranno idealmente tutti gli ammiratori di Fabrizio De Andrè, al quale Genova sta dedicando una mostra a Palazzo Ducale visitata da migliaia di persone.

Perché chi oggi ha superato la soglia dei 40 anni ama con estenuata dolcezza le canzoni di Fabrizio De André? Non è l'unico, naturalmente, in un elenco di autori, menestrelli, poeti che raggruppa guarda caso quasi esclusivamente nomi di artisti che hanno raggiunto un picco di creatività in un'arco di tempo che va grossomodo dalla metà degli anni Cinquanta fino al limitare degli Ottanta.
Forse, anzi sicuramente se De André non se lo fosse portato via quel morbo osceno, la sua straordinaria vena poetica sarebbe ancora generosa, fertile. Ma il segno che hanno lasciato canzoni come Amore che vieni, uscita con il terzo albumo di Fabrizio nel 1968, è come una cicatrice sull'anima della mia generazione. Una generazione senza qualità, ohne Eigenschaften per dirla alla Musil. E' "Amore che vieni" il testo scelto da Dori Ghezzi per celebrare domani, 11 gennaio, i dieci anni di vuoto lasciato da De André. Un vuoto fortunatamente occupato dalla continua riscoperta delle sue parole. E delle melodie che a volte sembrano quasi passare in secondo piano... Ingiustamente perché quando ascolto i suoi accordi in minore penso a De André come all'ultimo dei liederisti, uno Schubert postmoderno che amava cantare gli stessi disperati viandanti, gli stessi amori impossibili, gli stessi addii, i viaggi senza ritorno.
Domani, 11 gennaio, molte stazioni radio italiane trasmetteranno, idealmente all'unisono, una di quelle canzoni di amore e di morte che molti ultraquarantenni italiani "indossano" come i simboli che adornavano, non meno osceni del morbo che ha ucciso Faber, le casacche di certi prigioneri. Forse - perdonatemi una figura retorica che può sembrare irriverente e non lo è - ci sentiamo, siamo tutti prigionieri di via del Campo: individui incompiuti, perduti a rincorrere il vento, uomini (più uomini che donne a dire il vero), che hanno sostanzialmente fallito il loro compito, che hanno costruito una realtà da cui sarebbero i primi a voler fuggire. Questo Fabrizio lo aveva intuito meglio di altri e si ostinava a parlarci ossessivamente dei margini di questa realtà, dei reietti, dei non coinvolti. Per esortarci a cambiare qualcosa che sappiamo benissimo di non volere cambiare.
E oggi che Fabrizio non c'è più ce ne stiamo lì, ipocriti fino in fondo, a fingere di cercare la ricetta giusta in quelle parole. Ci commuoviamo in celebrazioni che in fin dei conti sono solo di circostanza, buone per essere inserite nel curriculum professionale dei personaggi televisivi che le promuovono. "Io c'ero." Già, è proprio quello il problema.
Anch'io, che personaggio televisivo non sono ma appartengo in pieno a questa generazione senza qualità, indulgo nella celebrazione come fanno tutti, mi conto insieme agli altri, e pubblico il mio bannerino e il link ad Amore che vieni.




1 commento:

iKlee ha detto...

ahimè siamo davvero una generazione senza qualità. irridevamo i nostri genitori che invece avevano combattuto a mani nude per farci fare un passettino nella giusta direzione, mentre noi, così furbi, abbiamo perso tutto in men che non si dica e lasciamo ai nostri figli un vuoto prima di tutto culturale (in ampio senso) che fa paura. saranno loro (i figli) in grado di riprendere il testimone dei loro nonni?
a giudicare da come i nonni e le loro idee, i loro consigli sono spesso trattati, non ci giurerei. uno scatto d'orgoglio. ci vorrebbe un bello scatto d'orgoglio di noi uomini senza qualità. quasi un paradosso che il futuro dei figli e nipoti potrebbe generare.
fatto salvo amore che vieni, amore che vai (quasi inarrivvabile) il mio ricordo è per "il pescatore".