Una Genova assolata e gelida di tramontana ci ha accolti questa mattina proprio a Carignano, davanti alla chiesa dei funerali di Faber. Da lì prosegui per un po' e arrivi all'imbocco dello stradone (si fa per dire) di Sant'Agostino, scendi e in pochi minuti arrivi davanti all'ingresso di Palazzo Ducale su Piazza Matteotti, sulla destra la chiesa del Gesù e poco più oltre Porta Soprana. La disperata bellezza della città ti afferra aiutata il vento e ti segue dentro ai palazzi del suo passato splendore, nel seminterrato che ospita, dal 31 dicembre, la mostra dedicata a Fabrizio de André nel decennale della scomparsa.
Non pensavo di riuscire a visitarla così presto ma ieri sono partito da Milano e l'occasione è diventata di colpo imperdibile (oltretutto, la concomitante esposizione su Lucio Fontana, che durerà fino a metà febbraio rendeva ancora più stimolante la trasferta dal mio Levante radiofonico. Una mostra buia, esistenzialista, suggestiva, quella allestita nella città natale (in realtà l'onore spetterebbe a Pegli) del piemontese De André. Ricchissimo l'apparato di testimonianze video, autografi, fotografie, copertine di dischi. Struggente la sala dei tarocchi (ho scoperto che tra i pallini dell'autore c'era anche l'astrologia) con un'ampia selezione di canzoni a fare da sfondo alla proiezione di splendidi tarocchi animati dalle riprese di mimi, acrobati, ballerini. Per quelli della mia generazione, che hanno cantato di Miché, Piero e Boccadirosa negli anni di attività del grande autore, è un percorso sul filo di una commozione che sfocia spesso e volentieri in vere e proprie lacrime. Una strada che ti porta ai margini, nelle frange popolate dai minimi che non hanno mai contato niente, se non nelle canzoni di quell'anarchico borghese.
E ci restituisce momenti impressionistici, memorabili, come la lettera che Faber scrive da Milano al poeta Mario Luzi per parlargli di Ulisse, o le poche paginette di una biografia attribuita a mamma Luisa (forse per un articolo di rivista), dove il piccolo Fabrizio sfollato nell'astigiano durante la guerra viene descritto come perennemente arrampicato su una sedia, con una bacchetta in mano, mentre dirige la musica trasmessa dalla radio.
E ci restituisce momenti impressionistici, memorabili, come la lettera che Faber scrive da Milano al poeta Mario Luzi per parlargli di Ulisse, o le poche paginette di una biografia attribuita a mamma Luisa (forse per un articolo di rivista), dove il piccolo Fabrizio sfollato nell'astigiano durante la guerra viene descritto come perennemente arrampicato su una sedia, con una bacchetta in mano, mentre dirige la musica trasmessa dalla radio.
1 commento:
Capodanno last minute a Genova, alla riscoperta di emozioni e suoni da troppo tempo trascurati. Ore 14,30: sistemati i bambini prima da una nonna che poi li consegnerà all'altra che avrà l'ingrato compito di accudirli fino a notte fonda. Ore 15,00: in viaggio, Isabella persa in riflessioni paranoiche sul suo nuovo lavoro; Corrado pensa intanto solo a guidare.. se no la mena. Ore 15,45 inizia la serravalle e Isabella si tiene forte al sedile mentre Corrado mette alla prova il nuovo treno di gomme. Ore 16,30: Isabella ha la nausea, meno male che si vede il mare. Ore 17,00: Genova è fredda e sotto una pioggia battente. Arriviamo all'ingresso della mostra e Corrado, come al solito, non paga ed entra, mentre Isabella, come al solito, fa la coda, paga e lo raggiunge. Hai ragione Andrea, la mostra è buia, esistenzialista, suggestiva e noi siamo subito a nostro agio. Isabella come prima cosa sente e vede sullo schermo Fabrizio parlare delle donne, di come esse siano l’emblema della sofferenza (si pensi alla gravidanza, al concetto di verginità e alla prostituzione) e di come gli uomini lo sono della sopraffazione… Poi non trascura una riga dei documenti esposti e si emoziona (cuore di mamma) leggendo la letterina di Natale di Fabrizio bambino. Si diverte a scegliere i contributi video da proiettare sullo schermo con un pensiero di fondo: “Dori, che culo!” Corrado si emoziona nel ritrovare molti tratti comuni con Faber, in particolare il malinconico elogio della vita agreste vissuta – assaggiata - durante l’infanzia. Si aggira per le sale a caccia delle cose che ancora non sa di Fabrizio. Sulla faccenda dei tarocchi si ostina a pensare che in realtà non vi credesse. Poi viene colto da invidia quando legge la sua pagella di liceo con ben 4 materie da recuperare, mentre lui ne ha collezionate solo 2 …all’anno. Infine ha trovato la mostra molto bella ed emozionante, ma ha sentito la mancanza di un paio di temi che hanno riguardato e caratterizzato Fabrizio per diversi anni: il bere forte e il primo matrimonio. Forse Dori ha influenzato l’evento più di quanto dovesse.
Ore 20: ci sbattono fuori, la mostra riaprirà alle 21 per rimanere aperta al pubblico fino alle 2 del mattino, bella idea per un capodanno diverso in una città evidentemente abituata a ragionare. Ore 21: mai visto cenone più economico, 10 euro per happy hour sotto i portici che danno sul porto vecchio, mojto e pizzette a go go. Ore 22,00: passeggiata per le strade vecchie di Genova discutendo, piuttosto animatamente, se Fabrizio fosse anche un po’ snob. Isabella lo sospetta e Corrado nega. Ore 22,30: due splendidi quarantenni si ritrovano in mezzo a un gruppo di fan di Jovanotti che cantano a squarciagola il motivo di John Brown. Proviamo ad aspettare l’inizio del concerto al Porto, ma fa freddo, piove e chissenefrega. Ore 23,00: si riparte verso casa. Ore 24,02: il 2009 ci coglie di sorpresa in Serravalle, unica macchina nella tormenta di neve che intanto si è scatenata. Auguri: cento di questi capodanni.
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