Non è difficile, per un radioappassionato come me, ritrovarsi nelle avventure radio spaziali che Achille e Giambattista Judica Cordiglia raccontanto nel loro libro Dossier Sputnik "... questo il mondo non lo saprà..."
Il documentario di History Channel, Pirati dello spazio, ha ricreato con efficacia lo spirito dell'epoca e ha fatto un ritratto umano e trasognato dei due fratelli, travestiti da anziani molto meno snelli di un tempo, ma immutati nell'entusiasmo di un ricordo che sembra andare a ritroso di qualche mese, non di quattro decadi. A giudicare dai log di Radiopassioni, il tema ha suscitato un grande interesse, soprattutto, com'era da aspettarsi, nei risvolti più drammatici, quelli riferiti alle voci di presunti cosmonauti che non sarebbero mai tornati a casa. Mi devo al proposito scusare per una imprecisione: avevo scritto che i fratelli Judica sostenevano che le sfortunate vittime della strategia spaziale sovietica avevano preceduto la missione di Gagarin ma in realtà quelle voci sono successive al volo del orbitale dell'aprile del 1961.
Oggi ha parlato del documentario Gianluca Nicoletti di Melog. Nicoletti e Andrea Borgnino avevano già intervistato i fratelli per la trasmissione Golem, qualche anno fa. Non perdetevi il numero di Melog quando sarà parcheggiato sul sito di Radio 24, io ho catturato la registrazione del commento di Gianluca e mi permetto di parcheggiarlo qui, in attesa di pubblicare un link definitivo.
Ma torniamo al libro di Achille e Giambattista, edito da Minerva Medica (19 euro, spedizione postale inclusa). Ho ordinato il libro via Internet e ho letto la metà delle sue 450 pagine. A tratti la narrazione di quei formidabili anni di radiomonitoraggio quasi in solitaria di un fenomeno, l'esplorazione spaziale, che aveva mandato in visibilio il mondo, è trascinante. E non potrei non definire commovente la descrizione dei primi passi che i due radioappassionati muovevano davanti alle loro rudimentali apparecchiature, negli anni del dopoguerra, prima del trasferimento nei dintorni di Torino. Anche nel documentario traspare su tutto il grande amore nei confronti di quei distorti suoni lontani e mi sono molto immedesimato in quelle dichiarazioni.
Avrete tuttavia capito che c'è un "ma". Vi confesserò che confidavo di trovare in Dossier Sputnik una cosa che ho incontrato molto marginalmente. Una dose aggiuntiva di rigore scientifico e conoscenza fattuale che mi potesse aiutare a farmi un'idea più chiara della "quaestio" Judica Cordiglia sollevata dalle tante discussioni e confutazioni che hanno seguito le gesta dei fratelli spaziali. Mi aspettavo di trovare diari di stazione dettagliati, frequenze ascoltate, analisi comparate del modo di comunicare di russi e americani. Niente di tutto questo, solo qualche raro riferimento alle frequenze, vaghe descrizioni, più meccaniche che elettriche dei sistemi di antenna (eppure i fratelli insistono molto sull'importanza di queste ultime), qualche nome e modello di ricevitore (mai con la maniacalità con cui di solito i DXer parlano della loro adorata attrezzatura). In compenso molte citazioni dai giornali che all'epoca facevano da cassa di risonanza ai comunicati del centro di ascolto di Torre Bert.
E in mezzo a tutto questo avvincente ma deludente silenzio informativo, qualche piccolo errorino. Il mitico Marco Blaser, della Radiotelevisione della Svizzera Italiana che a proposito di Radio Monteceneri cita la "frequenza di 558 metri"... La traduttrice dal russo tedesca orientale, che prima dell'aprile del 1961 raggiunge Torino evadendo "rocambolescamente" da un muro di Berlino la cui prima pietra sarebbe stata posata solo il 13 agosto di quell'anno (ma qui forse i fratelli hanno accavallato qualche ricordo)...
Sven Grahn, nella sua pagina Web molto critica nei confronti delle dichiarazioni rilasciate da Torre Bert quarantacinque anni fa, sostiene giustamente che a fronte di annunci così ambiziosi, le prove fornite a loro supporto devono essere altrettanto ambiziose. Purtroppo non doveva essere questo l'obiettivo di un libro nostalgico e comprensibilmente autocelebrativo, che crea una immediata solidarietà tra "impallinati" della radio, ma non porta alcun reale contributo alla discussione sul piano tecnico. A sostegno della teoria che vorrebbe 14 vittime "segrete" del programma spaziale dell'era Krushev, i fratelli mettono sul piatto l'emozionante racconto del loro giovanile entusiasmo e una serie di registrazioni non sempre corredate da approfonditi dettagli tecnici. La loro attività "scientifica" si trasforma così in una rappresentazione teatrale, una metafora-apologo della guerra fredda che poggia più su una licenza letteraria (direi anzi poetica) che su fatti incontrovertibili. Grahn conclude la sua analisi ipotizzando che i fratelli, circondati dai corrispondenti di giornali e televisioni italiani e di mezzo mondo, si siano lasciati prendere la mano per "dovere di cronaca". Romanzieri insomma, più che pur valenti scienziati autodidatti.
Non c'è nulla di male, a volte un romanzo è più illuminante di un teorema matematico. Ma qui ci sono di mezzo ipotesi di una certa gravità. Ho chiesto agli amici di Voce della Russia, di aiutarmi a capire se a distanza di tanto tempo e a muro costruito e crollato, i russi (che avevano duramente smentito i fratelli Judica dai microfoni di Radio Mosca) oggi non dispongano per caso di qualche documento desecretato. Temo che la Russia di Putin non abbia fatto molti passi avanti sul cammino della trasparenza e della lotta alla censura di stato, ma chissà mai che mezzo secolo dopo Gagarin non salti fuori qualcosa che aiuti il mondo a sapere per davvero. Per continuare ad approfondire la questione, ecco il corposo contributo di Thierry Lombry, radioamatore e astronomo belga, che riporta anche i link alle pagine di Grahn.
Il documentario di History Channel, Pirati dello spazio, ha ricreato con efficacia lo spirito dell'epoca e ha fatto un ritratto umano e trasognato dei due fratelli, travestiti da anziani molto meno snelli di un tempo, ma immutati nell'entusiasmo di un ricordo che sembra andare a ritroso di qualche mese, non di quattro decadi. A giudicare dai log di Radiopassioni, il tema ha suscitato un grande interesse, soprattutto, com'era da aspettarsi, nei risvolti più drammatici, quelli riferiti alle voci di presunti cosmonauti che non sarebbero mai tornati a casa. Mi devo al proposito scusare per una imprecisione: avevo scritto che i fratelli Judica sostenevano che le sfortunate vittime della strategia spaziale sovietica avevano preceduto la missione di Gagarin ma in realtà quelle voci sono successive al volo del orbitale dell'aprile del 1961.
Oggi ha parlato del documentario Gianluca Nicoletti di Melog. Nicoletti e Andrea Borgnino avevano già intervistato i fratelli per la trasmissione Golem, qualche anno fa. Non perdetevi il numero di Melog quando sarà parcheggiato sul sito di Radio 24, io ho catturato la registrazione del commento di Gianluca e mi permetto di parcheggiarlo qui, in attesa di pubblicare un link definitivo.
Ma torniamo al libro di Achille e Giambattista, edito da Minerva Medica (19 euro, spedizione postale inclusa). Ho ordinato il libro via Internet e ho letto la metà delle sue 450 pagine. A tratti la narrazione di quei formidabili anni di radiomonitoraggio quasi in solitaria di un fenomeno, l'esplorazione spaziale, che aveva mandato in visibilio il mondo, è trascinante. E non potrei non definire commovente la descrizione dei primi passi che i due radioappassionati muovevano davanti alle loro rudimentali apparecchiature, negli anni del dopoguerra, prima del trasferimento nei dintorni di Torino. Anche nel documentario traspare su tutto il grande amore nei confronti di quei distorti suoni lontani e mi sono molto immedesimato in quelle dichiarazioni.
Avrete tuttavia capito che c'è un "ma". Vi confesserò che confidavo di trovare in Dossier Sputnik una cosa che ho incontrato molto marginalmente. Una dose aggiuntiva di rigore scientifico e conoscenza fattuale che mi potesse aiutare a farmi un'idea più chiara della "quaestio" Judica Cordiglia sollevata dalle tante discussioni e confutazioni che hanno seguito le gesta dei fratelli spaziali. Mi aspettavo di trovare diari di stazione dettagliati, frequenze ascoltate, analisi comparate del modo di comunicare di russi e americani. Niente di tutto questo, solo qualche raro riferimento alle frequenze, vaghe descrizioni, più meccaniche che elettriche dei sistemi di antenna (eppure i fratelli insistono molto sull'importanza di queste ultime), qualche nome e modello di ricevitore (mai con la maniacalità con cui di solito i DXer parlano della loro adorata attrezzatura). In compenso molte citazioni dai giornali che all'epoca facevano da cassa di risonanza ai comunicati del centro di ascolto di Torre Bert.
E in mezzo a tutto questo avvincente ma deludente silenzio informativo, qualche piccolo errorino. Il mitico Marco Blaser, della Radiotelevisione della Svizzera Italiana che a proposito di Radio Monteceneri cita la "frequenza di 558 metri"... La traduttrice dal russo tedesca orientale, che prima dell'aprile del 1961 raggiunge Torino evadendo "rocambolescamente" da un muro di Berlino la cui prima pietra sarebbe stata posata solo il 13 agosto di quell'anno (ma qui forse i fratelli hanno accavallato qualche ricordo)...
Sven Grahn, nella sua pagina Web molto critica nei confronti delle dichiarazioni rilasciate da Torre Bert quarantacinque anni fa, sostiene giustamente che a fronte di annunci così ambiziosi, le prove fornite a loro supporto devono essere altrettanto ambiziose. Purtroppo non doveva essere questo l'obiettivo di un libro nostalgico e comprensibilmente autocelebrativo, che crea una immediata solidarietà tra "impallinati" della radio, ma non porta alcun reale contributo alla discussione sul piano tecnico. A sostegno della teoria che vorrebbe 14 vittime "segrete" del programma spaziale dell'era Krushev, i fratelli mettono sul piatto l'emozionante racconto del loro giovanile entusiasmo e una serie di registrazioni non sempre corredate da approfonditi dettagli tecnici. La loro attività "scientifica" si trasforma così in una rappresentazione teatrale, una metafora-apologo della guerra fredda che poggia più su una licenza letteraria (direi anzi poetica) che su fatti incontrovertibili. Grahn conclude la sua analisi ipotizzando che i fratelli, circondati dai corrispondenti di giornali e televisioni italiani e di mezzo mondo, si siano lasciati prendere la mano per "dovere di cronaca". Romanzieri insomma, più che pur valenti scienziati autodidatti.
Non c'è nulla di male, a volte un romanzo è più illuminante di un teorema matematico. Ma qui ci sono di mezzo ipotesi di una certa gravità. Ho chiesto agli amici di Voce della Russia, di aiutarmi a capire se a distanza di tanto tempo e a muro costruito e crollato, i russi (che avevano duramente smentito i fratelli Judica dai microfoni di Radio Mosca) oggi non dispongano per caso di qualche documento desecretato. Temo che la Russia di Putin non abbia fatto molti passi avanti sul cammino della trasparenza e della lotta alla censura di stato, ma chissà mai che mezzo secolo dopo Gagarin non salti fuori qualcosa che aiuti il mondo a sapere per davvero. Per continuare ad approfondire la questione, ecco il corposo contributo di Thierry Lombry, radioamatore e astronomo belga, che riporta anche i link alle pagine di Grahn.
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