Secondo la France Presse, un rapporto commissionato da Radio France International dopo che il presidente Sarkozy ha sollecitato la riforma dell'offerta radiotelevisiva della Francia verso l'estero, suggerisce che RFI e il canale satellitare France24 si fondano in un unico organismo. Il governo avrebbe fatto presente che RFI assorbe 130 milioni di euro all'anno e impiega 1.100 persone ma che al di là della notorietà acquisita nell'Africa subsahariana, i risultati in termini di audience e visibilità non sono all'altezza di questa spesa. Sembra quasi che l'emittente fiuti il vento di un possibile ridimensionamento e suggerisca per prima, come soluzione, quella di far confluire tutto in un solo budget da ripartire tra offerta televisiva e radiofonica. Un discorso che somiglia molto allo scenario creatosi per RAI International, dove una somma di gran lunga inferiore a 130 milioni di euro alla fine è stata ripartita nel modo seguente: il 50% alla tele e il rimanente 50% alla visione.
Ho trovato sul sito delle Nazioni Unite una pagina che riassume i costi (anche in termini di vite umane tra i peace-keeper) delle missioni di pace ONU nel mondo. Dal 1 luglio 2007 al 30 giugno 2008 sono previsti 5,3 miliardi di dollari in 16 missioni. Quasi un quinto viene assorbito dalla missione in Congo, che conta già 112 morti. Secondo Il Pane e le rose, i primi due mesi di missione italiana in Libano partita nel settembre del 2006 sono costati 52 milioni di euro mensili, per un totale di 104. Abbastanza in linea con i dati ONU, pari a quasi 800 milioni luglio 2007- luglio 2008. Ora non fatemi dire quello che non voglio dire. La radio non può certo prendere il posto dei fucili, non quando questi vengono utilizzati a fin di bene e super partes per proteggere i diritti delle popolazioni. Ma d'altra parte mi chiedo che cosa vuol dire che RFI non ha accumulato sufficiente notorietà a fronte di 130 milioni spesi? Come viene misurata questa notorietà in Congo, dove magari i notiziari di RFI possono essere considerato un bene di prima necessità? Una offerta radiofonica informativa e di intrattenimento verso il Libano verrebbe a costare quanto rispetto ai 3 milioni mensili della portaaerei Garibaldi? La politica estera deve basarsi esclusivamente sull'intervento militare? L'intervento mediatico può essere solo televisivo? Tutte domande che mi pongo io, beninteso, e per le quali non ho uno straccio di risposta. Mi piacerebbe però che certe tematiche fossero discusse pubblicamente e invece vedo ripetersi ovunque lo stesso schema. I governi devono ridurre i budget, ma i tagli partono regolarmente dagli aiuti materiali e dall'informazione di buona qualità. Non solo le armi sono le ultime a essere tagliate, ma alla fine chissà perché aumentano. Le armi insomma, danno tranquillità, forse anche quella notorietà così apprezzata dai governanti e così premiata dai loro elettori, anche quando i figli degli elettori tornano in patria avvolti nella bandiera della stessa. Il ROI sulle armi è sempre positivo, con buona pace - a volte persino eterna - dei radiogiornalisti muniti solo delle cartucce e del coraggio della voglia di comprendere e dialogare.
Ho trovato sul sito delle Nazioni Unite una pagina che riassume i costi (anche in termini di vite umane tra i peace-keeper) delle missioni di pace ONU nel mondo. Dal 1 luglio 2007 al 30 giugno 2008 sono previsti 5,3 miliardi di dollari in 16 missioni. Quasi un quinto viene assorbito dalla missione in Congo, che conta già 112 morti. Secondo Il Pane e le rose, i primi due mesi di missione italiana in Libano partita nel settembre del 2006 sono costati 52 milioni di euro mensili, per un totale di 104. Abbastanza in linea con i dati ONU, pari a quasi 800 milioni luglio 2007- luglio 2008. Ora non fatemi dire quello che non voglio dire. La radio non può certo prendere il posto dei fucili, non quando questi vengono utilizzati a fin di bene e super partes per proteggere i diritti delle popolazioni. Ma d'altra parte mi chiedo che cosa vuol dire che RFI non ha accumulato sufficiente notorietà a fronte di 130 milioni spesi? Come viene misurata questa notorietà in Congo, dove magari i notiziari di RFI possono essere considerato un bene di prima necessità? Una offerta radiofonica informativa e di intrattenimento verso il Libano verrebbe a costare quanto rispetto ai 3 milioni mensili della portaaerei Garibaldi? La politica estera deve basarsi esclusivamente sull'intervento militare? L'intervento mediatico può essere solo televisivo? Tutte domande che mi pongo io, beninteso, e per le quali non ho uno straccio di risposta. Mi piacerebbe però che certe tematiche fossero discusse pubblicamente e invece vedo ripetersi ovunque lo stesso schema. I governi devono ridurre i budget, ma i tagli partono regolarmente dagli aiuti materiali e dall'informazione di buona qualità. Non solo le armi sono le ultime a essere tagliate, ma alla fine chissà perché aumentano. Le armi insomma, danno tranquillità, forse anche quella notorietà così apprezzata dai governanti e così premiata dai loro elettori, anche quando i figli degli elettori tornano in patria avvolti nella bandiera della stessa. Il ROI sulle armi è sempre positivo, con buona pace - a volte persino eterna - dei radiogiornalisti muniti solo delle cartucce e del coraggio della voglia di comprendere e dialogare.
Un rapport commandé par RFI propose une fusion avec France 24
18 octobre 13:11 - PARIS (AFP) - Un rapport commandé par Radio France International, pour alimenter la réflexion sur la réforme de l'audiovisuel extérieur public voulue par Nicolas Sarkozy, propose de fusionner en deux ans les rédactions de RFI et de la chaîne France 24 au sein d'une "nouvelle entreprise".
Interrogée par l'AFP, la direction de RFI a confirmé l'existence de ce rapport, qu'elle a commandé et qui a été transmis au comité de pilotage chargé de réfléchir à cette réforme de l'audiovisuel public extérieur, présidé par Georges-Marc Benamou [foto AFP], conseiller présidentiel pour la culture et l'audiovisuel.
Les propositions du rapport, dont l'AFP a obtenu une copie, se décomposent en trois étapes: une coopération entre les rédactions de RFI et de la chaîne française internationale d'information France 24, suivie d'une "rédaction mutualisée sur un site unique" et, finalement, une rédaction commune, avec la "fusion des équipes et des statuts au sein d'une nouvelle entreprise".
Selon les auteurs du rapport, "l'ensemble du processus ne devrait pas dépasser deux ans". Ils envisagent, "comme point d'aboutissement", le "lancement d'une nouvelle marque", "pour établir vis-à-vis du public -mais aussi du personnel- l'identité d'une nouvelle entité".
La direction de RFI souligne que ce rapport est une "contribution" à la réflexion du comité et ne reflète pas nécessairement la position de la direction de la radio. Le PDG de RFI, Antoine Schwarz, a été entendu par le comité le 13 octobre.
Selon le syndicat CFDT de RFI, qui a eu connaissance du rapport, "les salariés de la radio ont exprimé leur inquiétude" à l'occasion d'une assemblée générale qui s'est tenue mardi.
La CFDT souligne que cette proposition ne peut "en aucun cas constituer une base de rapprochement et un projet d'avenir". Le syndicat a mis en place sur Internet un forum de discussion sur les enjeux de la réforme, ouvert à l'ensemble des personnels des entreprises concernées (RFI, TV5Monde et France 24).
Le président Sarkozy a demandé une réflexion sur une réforme de l'audiovisuel public extérieur, qui, selon Georges-Marc Benamou, "a tout d'un meccano abracadabrant".
Le comité de pilotage, que M. Benamou dirige avec Jean-David Lévitte, conseiller diplomatique de M. Sarkozy, consulte les dirigeants des principales entreprises concernés: RFI, France 24, et TV5Monde, télévision francophone qui regroupe les programmes de chaînes françaises, belges, suisses et canadiennes.
Dans une annexe du projet de loi de Finances 2008, le gouvernement soulignait que le groupe RFI (RFI et la radio en langue arabe Monte Carlo Doualiya) bénéficiait d'une dotation publique de près de 130 millions d'euros en 2007 et employait environ 1.100 collaborateurs. "Pourtant, à l'exception de l'Afrique subsaharienne francophone (...), RFI n'obtient pas ailleurs des résultats en terme d'audience et de notoriété à la hauteur de cet investissement".
RFI, placé sous la tutelle du ministère des Affaires étrangères et du ministère de la Culture et de la Communication, "va devoir mener un effort sans précédent pour s'adapter aux attentes de publics beaucoup plus exigeants qu'auparavant dans le contexte d'une offre médiatique sans cesse croissante", ajoutait le document.
Nessun commento:
Posta un commento