18 settembre 2006

Digitalradio, un position paper personale




Ringrazio di cuore gli amici di NewsLine, una newsletter telematica molto aggiornata sui temi mediatico-elettronici (non a caso è inserita da parecchio tempo tra i miei link), per aver ripreso recentemente alcuni interventi di Radiopassioni sulla radio digitale. Da quello che posso capire, NL è molto interessata all'evoluzione del nostro caro medium e mostra di avere una certa preferenza per standard di recente introduzione come il DRM+ o Hd Radio IBOC giudicando invece negativamente l'esperienza finora accumulata dal DAB e le future prospettive dell'Eureka 147.

Ascoltatore, hobbysta, osservatore tecnologico

Vado ripetendo da tempo che le mie tre anime, quelle di comune ascoltatore della radio, di hobbysta interessato alla ricezione di programmi dall'estero e emittenti locali lontane e di giornalista tecnico-scientifico, sono tutte piuttosto combattute. L'ascoltatore è sicuramente interessato alle opportunità del digitale, pur non condividendo il generale entusiasmo nei confronti della presunta qualità dell'audio digitale (quando arriva bene, l'analogico è meglio). L'hobbysta vive questa fase di generalizzato declino della sua passione sullo sfondo di un timore ragionevolmente fondato. L'avvento del digitale e delle sue interferenze su frequenze occupate dalle tradizionali analogiche fa sì che il segnale di queste ultime venga progressivamente coperto o che gli editori decidano per lo spegnimento o per una definitiva migrazione: entrambe le conseguenze implicherebbero la fine dell'hobby e della passione. La terza anima, quella del curioso, è - lo devo confessare - affascinata dalle tecnologie che stanno dietro ai sistemi digitali e alle loro conseguenze sulla sociologia e il mercato della radiofonia. Il che mi spinge a cercare di tenermi il più possibile aggiornato.
Detto questo, proprio la lettura su NL delle chiose ai miei interventi mi ha anche fatto venir voglia di precisare meglio i miei stratificati punti di vista. Mi rendo conto che non sempre su Radiopassioni mi sono mai espresso in modo articolato e che forse ho dato luogo a un quadro confuso, fatto di tessere di mosaico appiccicate qua e là. Cercando di mediare una posizione non schizofrenica fra le mie tre anime: non mi sento di essere contrario o favorevole alla radio digitale. Mi sembra però inevitabile che un mezzo di comunicazione vecchio di cento anni sia quasi obbligato a imboccare strade nuove, non foss'altro perché messo sempre più pressantemente a confronto con altri mezzi di distribuzione e modalità di fruizione. Non è una semplice coincidenza vedere che i broadcaster radiofonici americani si sentono accerchiati più dall'iPod che dai broadcaster televisivi. Un osservatore neutrale dovrebbe quindi porsi due interrogativi. La radio digitale è davvero la strada giusta? Se sì, quale sistema è più giusto adottare?

Che cosa cerchiamo nella radio?

Vediamo di partire dal punto di vista opposto a quello del broadcaster. Quali sono gli obiettivi di un potenziale ascoltatore della nuova radio? Probabilmente non sono molto diversi da quelli degli attuali ascoltatori.

  • Disporre di una programmazione variegata e di qualità.
  • Corollario di questo è la garanzia della piena tutela delle voci minoritarie e comunitarie, le istanze del locale oltre che del globale.
  • Poter contare su una qualità audio più che decente e competitiva con la qualità digitale accessibile su altri mezzi, in funzione di un ambiente di ascolto (il territorio che ci circonda) non sempre del tutto compatibile con i sistemi radiodiffusivi tradizionali.
  • Vivere una user experience non frustrante. La metafora della radio attuale, con la sua manopola di sintonia, deve essere rispettata: si accende, si gira, si ascolta. Meglio ancora se l'intuitività è accompagnata da bonus come le informazioni tipo RDS, che aiutano ulteriormente la sintonia e la selezione dei programmi, o magari dalla possibilità di registrare e riascoltare un programma.
  • Poter accedere a un mercato di apparecchiature non radicalmente diverso da quello attuale. Specie dal punto di vista dei costi. Forse la radio digitale può dare di più in termini di servizio, ma non si capisce perché l'ascoltatore deve per forza pagare un differenziale di prezzo, anche se da questo punto di vista l'esempio dei decoder per la televisione terrestre lascia aperti parecchi inquietanti interrogativi. In ogni caso, i ricevitori compatibili devono essere agevolmente disponibili, diversificati per fasce di prodotto e funzionalità.
  • Una tecnologia nuova dev'essere una opportunità in più, non servire solo per mandare al macero miliardi di radio analogiche perfettamente funzionanti, neanche il digitale terrestre televisivo impone questo clamoroso, colossale spreco ai consumatori. La "nuova" radio non deve danneggiare la vecchia, vuoi rendendo impossibile o disturbata la ricezione dei programmi analogici, vuoi costringendo gli ascoltatori a optare per questa o quella modalità. E solo per quella.

DABbene o infiltrato?

Tenendo presente tutto questo, a che punto siamo con i nuovi standard? Il DAB, magari nelle sue forme più evolute, DAB+, o nelle sue varianti ed estensioni (DMB-T, DAB-IP per la trasmissione mobile di immagini video), offre una programmazione variegata, può contare su silicio e ricevitori di prezzo medio-basso e spesso compatibili con la radio analogica, copre territori orograficamente complicati e occupa frequenze assegnate ad hoc, senza interferire con i precedenti servizi. Ma è una tecnologia basata su ensemble di programmi preconfenzionati, nello stile dei multiplex satellitari DVB e le possibilità di dare spazio alle stazioni comunitarie e locali appaiono francamente molto limitate. Un altro elemento di preoccupazione è dato dalla vetustà di una norma approvata molti, forse troppi anni fa. Il DAB sta per aggiornarsi con nuovi codec audio AAC+ (DAB v2 o DAB+) e offre promettenti evoluzioni come il T-DMB, ma a quel punto si deve ripartire da capo con nuovi ricevitori. E gli ensemble restano, come restano nel DVB-H.
Abbiamo poi la proposta di standard In Band On Channel, come DRM, DRM+ e il proprietario HD Radio. Che funzionano come la radio analogica (nel senso che possono essere utilizzati da una stazione anche molto piccola) e danno addirittura la possibilità di emettere più programmi su uno stesso canale. Gli aspetti problematici sono costituiti dalla quasi totale assenza di ricevitori commerciali a prezzi abbordabili per DRM/DRM+, dalla scarsità di apparecchi HD Radio - che però ha una forma d'onda ibrida digitale/analogica che consente a una stazione digitale di continuare a trasmettere ed essere ascoltato con le vecchie radio - e dalla non facile convivenza di questi sistemi con le trasmissioni analogiche. HD Radio richiede canalizzazioni a maglie larghissime, con spazi di almeno 400 kHz tra una stazione e l'altra in banda FM. DRM+ è più efficiente, almeno negli impieghi non ibridi, puramente digitali, ma prima del 2009 non sono previsti ricevitori. C'è poi una situazione da Catch 22, da circolo vizioso: DRM e Hd Radio potrebbero teoricamente servire per mettere in onda programmi locali/comunitari, ma a fronte di larghezze di banda pur sempre importanti lo spettro disponibile si ridurrà. E solo i più ricchi potranno permettersi di trasmettere in digitale, mentre l'analogico potrebbe gradualmente trasformarsi in un ghetto di interferenze e rumore bianco.

L'avversario scende dal cielo...

Un possibile percorso alternativo verso la radio digitale passa ovviamente per il satellite, con sistemi come S-DAB o i proprietari Sirius, Xm Radio e alcuni standard asiatici. La disponibilità di apparecchiature è incoraggiante, le interferenze verso l'analogico sono nulle e la qualità sembra essere soddisfacente. Ancora una volta, tuttavia, il gradino di accesso si innalza a dismisura, il satellite offre sicuramente molto spazio sui propri ensemble e transponder, ma forse questo spazio non è proprio per tutti. Senza contare che quello proposto dal satellite è un modello di radio digitale a pagamento che può risultare sgradito a un mercato molto più assuefatto (e tollerante) nei confronti dei contenuti finanziati dalla pubblicità.

... O scorre sul cavo (ormai invisibile)?

Mentre esperti e fornitori tecnologici discutono e sperimentano, sempre molto timidi a lanciare veri e propri servizi commerciali, la radio che conosciamo tutti comincia a soffrire la concorrenza dei contenuti basati su IP. Internet veicola enormi volumi di contenuti digitali, informativi e podcasting, spesso gratuiti e apertissimi a una pluralità di voci e opinioni (spesso incontrollabili, ma tant'è) che i media tradizionali non hanno mai conosciuto. Convergenza digitale e wireless fanno il resto, trasformando l'offerta IP-based da qualche cosa di sostanzialmente fisso a una mole di contenuti veicolati... via radio. E anche quando tali contenuti non vengono radiotrasmessi, via Wi-Fi e presto WiMax ed evoluzioni future, i dispositivi tascabili a batteri, le memorie digitali supercapienti e miniaturizzate, permettono a milioni di persone di portare sempre con sé la musica o il programma radiofonico preferito.
L'ascolto è in differita, d'accordo, ma la mobile Internet ci sta insegnando che i contenuti in diretta possono arrivare a destinazione, al cliente finale, in altro modo. Un piccolo esempio? Il car navigator Gps TomTom One guida i suoi clienti a destinazione e grazie a un abbonamento mensile può visualizzare sullo schermo i percorsi bloccati dagli incidenti o dal traffico, con informazioni digitali che arrivano sul singolo TomTom attraverso una connessione Internet con un cellulare Bluetooth (che dialoga con il TomTom). Pensare che il sistema RDS-TMC esiste da anni e che da noi non è mai riuscito a decollare non è bello per un appassionato di radio come me.

E se restassimo analogici (ma migliori)?

In conclusione. Se la radio deve cambiare, deve trovare il modo giusto per farlo e trovarlo abbastanza in fretta. Altrimenti, cari miei, forse è più ragionevole rimanere fedeli all'analogico e cercare di migliorarlo. Tecnologie come l'AM Stereo garantiscono miglioramenti qualitativi notevoli. L'RDS (e per la modulazione di ampiezza l'AMSS) permettono di concepire molti servizi informativi utili. E soprattutto una ferrea regolamentazione dello spettro può essere decisiva. E' inutile nascondersi dietro al paravento del pluralismo (presunto): lo spettro italiano è popolato da network radiofonici dalla programmazione tutta uguale. Per loro ci sarebbero comunque tutti gli spazi, senza inutili duplicazioni di frequenze in uno stesso ambito geografico, se solo venisse a cessare l'assurdo mercato delle vacche-frequenze e il gioco al massacro della lotta all'ultimo kilowatt, per cui se il mio vicino spara 100 kW a 200 kHz di distanza da me io ne sparo 150 e lo frego. Impariamo da normative come quelle inglesi, francesi o svizzere ad assegnare ai player importanti lo spettro necessario senza penalizzare nessun altro, grandi o piccoli che possano essere. Apriamo anche in Italia le stimolanti opportunità dell'emittenza locale e comunitaria, quelle alle quali avevamo dato la stura trent'anni fa. Se poi dovessero rimanere chiazze di territorio difficile da coprire con l'analogico, o player danarosi tagliati fuori dalla spartizione (seria) delle frequenze, esploriamo con altrettanta serietà opzioni come il DAB. Oppure proviamo anche gestire una tecnologia In Band come il DRM assegnando però porzioni di spettro riservate, tenendo quelle analogiche ben al riparo, e se possibile proviamo a utilizzare tecnologie ibride come HD Radio.
In un modo o nell'altro abbiamo bisogno di sperimentazione, pianificazione, regolamentazione e rigoroso rispetto di normative intelligenti, non vessatorie, ben implementate e protette da veri meccanismi sanzionatori.

Further reading

Come sempre, per approfondire le caratteristiche dei vari standard di radio digitale Wikipedia è una fonte di eccellente materiali. Cercherò quanto prima di mettere insieme dei link più specialistici.


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