29 settembre 2006

Contenuto mio non ti conosco

Due riflessioni articolate ieri da Jonathan Marks nel suo provocatorio intervento al Prix Italia di Venezia mi hanno colpito molto. Devo averle covate questa notte ed ecco il frutto di questa inconscia rielaborazione. Uno dei punti deboli della radiofonia attuale, ha detto Marks, è il fatto di essere così diffusa tra le automobili senza riuscire a dare al guidatore una opportunità fondamentale: registrare i programmi. L'altra riguarda l'aspetto delle guide elettroniche, il modo più giusto per dare accesso a una produzione sterminata di contenuti che via radio o con la intermediazione di Internet sarebbe possibile consumare. Jonathan a un certo punto ha proclamato: «A me iPod non piace, mentre trovo bellissima l'idea e l'interfaccia di iTunes.»
Entrambe le questioni hanno un risvolto tecnologico che in teoria si può risolvere con relativa facilità. Molte radio DAB oggi vendute e anche i nuovi ricevitori DRM presentati all'IFA di Berlino dispongono di slot di memoria SD per registrare direttamente e riascoltare i flussi digitali. Il conseguente risvolto non piace alla comunità dei podcaster e degli internettari in generale ed è l'"altro" DRM, il digital rights management. Si sa per esempio che uno degli ostacoli alla piena disponibilità della programmazione di un broadcaster pubblico o privato nei formati podcast è proprio la questione dei diritti. Sacrosanta in un contesto in cui produrre contenuti di qualità, signori miei, costa e qualcuno tali costi dovrà pur sobbarcarseli, soprattutto a tutela di chi non potrà mai fare grossi numeri di audience. La "nuova" radio dovrà affrontare il problema e i suoi fruitori dovranno probabilmente accettare molti compromessi. Dovranno abituarsi a forme di pay radio anche terrestre, ad avere a che fare con il contenuto in modalità un po' meno immediate (ma il più possibili semplici e trasparenti, vi imploriamo!), più partecipative, ovviamente più critiche.
A un certo punto rischiamo tuttavia di andare incontro a situazioni alla iTunes, a contenuti pay che saranno disponibili attraverso una piattaforma crossmedia ma che non saranno immediatamente accessibili da piattaforme diverse, esattamente come oggi il negozio iTunes è solo in parte compatibile con altri basati su tecnologie di distribuzione e DRM (versione "rights") diverse. La questione dell'interoperabilità, nel digitale, si pone in modo assai più drammatico che nell'analogico e come ben osservava Sylvain Anichini nello stesso convegno veneziano gli ascoltatori della radio *sono* analogici, di certi blocchi e barriere non ne vorranno sapere. Bisognerà anche in quel caso arrivare a qualche accordo, a un sistema di scambio che tuteli gli interessi di tutti ma che faccia in qualche modo da ponte tra piattaforme commerciali concorrenti. Un po' come, non so se ricordate, il famoso decoder unico per la tv digitale satellitare (purtroppo risolto dall'avvento di un operatore unico).
In Italia c'è un gruppo no profit di esperti e tecnici che sta studiando da un anno la questione della interoperabilità dei sistemi di protezione dei diritti. Il gruppo, Digital Media in Italia, è frutto dell'iniziativa personale di Leonardo Chiariglione, grande personalità della cultura ingegneristica digitale in Italia e considerato in tutto il mondo come il papà di MPEG. Proprio in questi giorni Dmin.it pubblica la sua prima proposta per uno standard aperto di interoperabilità, teso a favorire lo sviluppo di una industria mediatica digitale italiana sana e aperta a operatori e content provider grandi e piccoli. Potete leggere il testo della proposta e molti commenti autorevoli sul blog di Stefano Quintarelli, Quinta's Weblog. Sull'argomento dei media digitali all'incrocio tra questioni tecniche, normative e legali è forse l'osservatorio più aggiornato del momento.

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