13 maggio 2012

AGCOM assegna le frequenze del test DAB+ in Trentino. Ma l'Europa scommette sulla radio digitale

Un lettore, Giovanni De Simone, si interroga sulle conseguenze dell'annuncio che arriva dall'IEEE sull'approvazione dell'aggiornamento 802.11 "2012" (tutta la normativa è in vendita a un prezzo promozionale di 5 dollari) dello standard oggi universalmente utilizzato per Internet senza fili, chiedendosi se la nuova norma sia un ulteriore passo avanto verso la convergenza broadband-broadcast. Bisogna innanzitutto dire che l'emendamento 2012 dello standard è in realtà una sintesi di una decina di varianti approvate in questi anni e riguarda per esempio la sicurezza, l'uso di nuove frequenze sui 3,7 GHz, le antenne MIMO, il mesh networking. Però è indubbio che una volta tradotto in chipset, il sistema ci darà un Wi-Fi, ancora più robusto, in grado di supportare velocità di trasferimento da 600 megabit al secondo, una enormità rispetto agli albori del Wi-Fi. Una rete senza fili resta pur sempre una risorsa condivisa, che non può offrire gli stessi livelli di servizio di una rete broadcast, non in tutte le situazioni possibili.
La domanda di Giovanni rimane in ogni caso ben posta. La convergenza tra i due modelli non prosegue solo a livello di definizione di standard, ma anche là dove tale convergenza conta di più: sui terminali utente. Stiamo andando inevitabilmente verso dispositivi capaci di parlare diverse "lingue", diverse modulazioni radiofoniche, con in più l'intelligenza necessaria per passare senza soluzione di continuità da un modello all'altro. Broadcast e broadband troveranno la loro sintesi definitiva sui nostri smartphone, sui tablet, nei sistemi di comunicazione e intrattenimento delle automobili.
Anche per questo motivo trovo che il ritardo che l'Italia sta scontando su tutte queste infrastrutture (poco Wi-Fi pubblico, una radio FM piena di problemi, un digitale terrestre televisivo ancora in mezzo al guado e soprattutto una radio digitale incapace di progredire), rischia di essere un serio problema allo sviluppo futuro di un mercato importante per tutta l'economia. Sulla radio digitale DAB+ siamo ormai alla farsa. Il piano di espansione promesso da RaiWay, quello che avrebbe dovuto coinvolgere l'emittenza FM regionale e locale, è bloccato da mesi, con i due ennesimi test di Bologna e Venezia ormai spenti. In questi giorni sul sito AGCOM è stato reso disponibile (delibera 180/12/CONS) il "PIANO PROVVISORIO DI ASSEGNAZIONE DELLE FREQUENZE PER IL SERVIZIO RADIOFONICO DIGITALE NELLA REGIONE DEL TRENTINO ALTO ADIGE PROGETTO PILOTA NELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO." definendo i blocchi 12A, B e C alle emittenti RAI e ai network nazionali, insieme ai blocchi 12D e 10A, B, C e D alle reti locali. Sembra una buona notizia e un po' lo è. Ma è possibile - in una Europa in cui Germania e Francia (per non parlare della vicina Svizzera) hanno lanciato il DAB+ in grande stile o si preparano (la Francia) a una adozione, forse tardiva ma oggi decisamente convinta - che un regolatore usi termini come "piano provvisorio" e "progetto pilota" a 17 anni dai primi "progetti pilota" di Eureka 147? Sono trascorsi quasi vent'anni dall'accensione della radio digitale in Italia ma per i politici e l'autorità delle comunicazioni dobbiamo ancora verificare che tutto funzioni. Mentre in Europa si vendono centinaia di migliaia di radio DAB+ e il settore automotive si appresta a integrare i nuovi chipset che consentiranno l'ascolto digitale a bordo delle nuove automobili, una Italia in piena crisi di idee oltre che di risorse finanziarie, cincischia e gli italiani, quei trentacinque milioni di ascoltatori della radio, non vengono neppure a conoscenza degli indubbi vantaggi del DAB+. Tra questi c'è l'opportunità di usufruire via etere di nuovi contenuti di intrattenimento e di servizi informativi, per i quali su FM non c'è semplicemente spazio. E' una solenne stupidaggine ancor più che una vergogna e voglio dire con chiarezza una cosa: non è solo una questione di scarsità di risorse finanziarie, qui c'è di mezzo l'incapacità culturale e politica italiana di immaginare scenari infrastrutturali che sia un patrimonio collettivo. Dalla metà degli anni '70 il sistema radiotelevisivo italiano pensa unicamente al vantaggio politico e clientelare di chi controlla il servizio pubblico e al profitto economico (e politico) di quei pochissimi che controllano l'emittenza privata. Su questi due altari degni di una nazione feudale abbiamo sacrificato lo svago, la crescita culturale, l'informazione corretta di milioni di persone.
L'altro giorno ero al Salone del libro di Torino, dove chiunque, al grande padiglione di Radio Rai, poteva toccare con mano l'entusiasmo del pubblico nei confronti di un mezzo, la radio, che mi è parso in ottimo stato di salute. Centinaia di persone prendevano parte agli show in diretta di una emittente, Webradio 8 della RAI, che diffonde esclusivamente via Internet. E' così insensato ipotizzare che i contenuti delle tre Web radio splendidamente curate da via Asiago possano e debbano conquistare un pubblico ancora più vasto grazie al DAB+? Quanti progetti pilota si devono allestire per verificare un'ipotesi che sarebbe evidente anche per un bambino? Non si poteva sacrificare l'acquisto di un fottutissimo caccia-bombardiere e mettere quei soldi in una rete di trasmettitori?
La radio digitale sta diventando una realtà tecnologica e commerciale in Europa grazie all'azione quasi individuale di un marchio come Imagination Technologies, che controlla un discreto patrimonio di proprietà intellettuale in applicazioni come la demodulazione di segnali radiotelevisivi digitali. Imagination Technologies (fondata nel 1985 come VideoLogic, Intel e Apple come azionisti importanti) non produce direttamente silicio, ma lo progetta. Ha un interesse diretto in Frontier Silicon, un chipmaker indipendente, senza fonderie, che oggi fornisce all'industria dell'elettronica di consumo una percentuale significativa dei componenti utilizzati nelle radio digitali. Imagination ha anche una divisione commerciale, Pure, che commercializza queste radio e promuove su scala internazionale l'adozione della radio digitale. Nel novembre scorso, presentando a Londra il nuovo adattatore DAB+ Highway, che Pure ha sviluppato per trasformare le normali autoradio in dispositivi digitali, il CEO Hossein Yassaie ha parlato delle strategie per l'immediato. Una strategia chiamata "convergenza mobile".



Una cosa è costruire radio digitale per la casa e l'automobile o adattare al digitale le autoradio tradizionali, ha detto Yassaie, ma la nuova sfida riguarda la mobilità. I nostri smartphone, i nostri tablet, dice in sostanza Yessaie, dovranno essere in grado di ricevere i segnali della radio broadcast, gli utenti si aspettano una feature di questo genere. Imagination intende sviluppare i chip che renderanno possibile l'accesso a infrastrutture broadband mobile e alle reti broadcast, con lo stesso dispositivo. Per questo dobbiamo risolvere diversi problemi, ha aggiunto Yessaie. I chip devono consumare pochissimo per non pesare sulle batterie e dovranno costare molto poco, sotto la soglia dei 2 dollari in volume. Con due dollari, i costruttori potranno integrare a bordo degli smartphone chip capaci di ricevere la radio analogica e la radio digitale, tutta la radio digitale, non ci possono essere dispositivi che non funzionano sempre, con il DAB+ in Europa e Australia, con HD Radio negli USA, con ISDB in Giappone. Non servono molti anni di attesa, chip come questi saranno disponibili tra due o tre anni. Sono pronto a scommettere che tra due o tre anni in Italia staremo ancora pensando a qualche bel progetto pilota in una qualche virtuosa provincia felice.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Giustamente dove è stata spenta la tv analogica potrebbero già assegnare le frequenze per il dab+, in quanto l'assegnazione per il DVBT è stata fatta e i spazi frequenziali sono già noti al Ministero.