Hanno fatto come al solito un lavoro eccellente gli amici degli Osservatori del Politecnico e del Cefriel nel confezionare il loro annuale rapporto sulla "nuova" televisione, la tv ormai alternata tra i due modelli, entrambi compositi, della Sofa TV e della Desktop TV, affiancati da un terzo incomodo ancora molto embrionale chiamato Hand TV. Come sempre il rapporto è denso di considerazioni e cifre che ci consentono di formulare valutazioni molto obiettive. E non mancano dati di mercato interessanti per l'intero comparto mediatico, radio inclusa.
Parto proprio dalle cifre complessive fornite relativamente ai valori in gioco. Secondo gli Osservatori il mercato italiano dei media nel 2009 subisce una contrazione pesante, di nove punti percentuali, passando da 18,52 miliardi del 2008 a una stima di 16,79 miliardi. Tra 2007 e 2008 c'era stato invece un aumento, piccolo ma pur sempre positivo. L'anno scorso c'è stata la débacle, dovuta soprattutto al calo di fatturato pubblicitario della carta stampata. Un quinto di contrazione rispetto ai valori precedenti. La tv perde, ma in proporzione perde la metà. La radio perde il 14%. E infatti ci ritroviamo con in mano una torta di pesi relativi che vede la tv contare ormai per il 56% del valore totale, la stampa scendere al 35%, la radio passare del 3% al 2% e il Web che passa dal 4% a un comunque modesto 5%. Il valore della comunicazione su dispositivi mobili mantiene una quota del 2% da ormai tre anni e non credo che andrà molto diversamente nel prossimo futuro. E' uno scenario deprimente, che stupisce ancora di più se si pensa che in Italia l'intero sistema della politica e delle poche regole fondamentali rimaste si fonda in maniera quasi assoluta sul valore economico del comparto in cui opera l'azienda del Presidente del Consiglio. Tra le linee di tendenza individuate dagli esperti del Politecnico di Milano c'è un dato importante, anche e soprattutto per la politica: Per la prima volta la pubblicità non è il motore maggioritario del mercato che poggia ormai per il 53% su modelli "pay". Nei due anni precedenti i due motori avevano mantenuto un perfetto equilibrio, con il 50% ciascuno.
Che cosa ne sarà della carta stampata per cui lavoro e della radio che amo? Trovo curioso che i due comparti sembrano entrambi aver ceduto un pezzo, il primo alla televisione il secondo al Web. Ma è difficile prevederne l'andamento futuro, soprattutto considerando che non ci troviamo più davanti a sottoinsiemi rigidamente definiti. Quello che i dati sembrano dirci è che l'industria mediatica nazionale ha un disperato bisogno di aria pura, qualità e regole: poche, uguali per tutti e non soffocanti, esattamente il contrario di quanto sta avvenendo da diversi anni a questa parte. Un comparto mediatico che perde il doppio rispetto a un PIL peraltro in stato comatoso, rappresenta un duplice fallimento in una Nazione che si sta facendo comandare a bacchetta da un presunto "genio" della comunicazione. Si comincia a intravvedere quali possano essere le conseguenze di regole fatte apposta per far prosperare pezzi molto mirati di una macchina complessa che avrebbe bisogno di liberismo economico e tecnologico moderno, autentico, non certo gli obrobri in stile sovietico come la Gasparri, le Milleproroghe e i bavagli da "par condicio".
Temo soltanto che questa decadenza sia ormai irreversibile, perché nessuno intende cercare una soluzione vera.
Parto proprio dalle cifre complessive fornite relativamente ai valori in gioco. Secondo gli Osservatori il mercato italiano dei media nel 2009 subisce una contrazione pesante, di nove punti percentuali, passando da 18,52 miliardi del 2008 a una stima di 16,79 miliardi. Tra 2007 e 2008 c'era stato invece un aumento, piccolo ma pur sempre positivo. L'anno scorso c'è stata la débacle, dovuta soprattutto al calo di fatturato pubblicitario della carta stampata. Un quinto di contrazione rispetto ai valori precedenti. La tv perde, ma in proporzione perde la metà. La radio perde il 14%. E infatti ci ritroviamo con in mano una torta di pesi relativi che vede la tv contare ormai per il 56% del valore totale, la stampa scendere al 35%, la radio passare del 3% al 2% e il Web che passa dal 4% a un comunque modesto 5%. Il valore della comunicazione su dispositivi mobili mantiene una quota del 2% da ormai tre anni e non credo che andrà molto diversamente nel prossimo futuro. E' uno scenario deprimente, che stupisce ancora di più se si pensa che in Italia l'intero sistema della politica e delle poche regole fondamentali rimaste si fonda in maniera quasi assoluta sul valore economico del comparto in cui opera l'azienda del Presidente del Consiglio. Tra le linee di tendenza individuate dagli esperti del Politecnico di Milano c'è un dato importante, anche e soprattutto per la politica: Per la prima volta la pubblicità non è il motore maggioritario del mercato che poggia ormai per il 53% su modelli "pay". Nei due anni precedenti i due motori avevano mantenuto un perfetto equilibrio, con il 50% ciascuno.
Che cosa ne sarà della carta stampata per cui lavoro e della radio che amo? Trovo curioso che i due comparti sembrano entrambi aver ceduto un pezzo, il primo alla televisione il secondo al Web. Ma è difficile prevederne l'andamento futuro, soprattutto considerando che non ci troviamo più davanti a sottoinsiemi rigidamente definiti. Quello che i dati sembrano dirci è che l'industria mediatica nazionale ha un disperato bisogno di aria pura, qualità e regole: poche, uguali per tutti e non soffocanti, esattamente il contrario di quanto sta avvenendo da diversi anni a questa parte. Un comparto mediatico che perde il doppio rispetto a un PIL peraltro in stato comatoso, rappresenta un duplice fallimento in una Nazione che si sta facendo comandare a bacchetta da un presunto "genio" della comunicazione. Si comincia a intravvedere quali possano essere le conseguenze di regole fatte apposta per far prosperare pezzi molto mirati di una macchina complessa che avrebbe bisogno di liberismo economico e tecnologico moderno, autentico, non certo gli obrobri in stile sovietico come la Gasparri, le Milleproroghe e i bavagli da "par condicio".
Temo soltanto che questa decadenza sia ormai irreversibile, perché nessuno intende cercare una soluzione vera.
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