Qualche giorno fa l'International Herald Tribune ha pubblicato una storia interessante sulla Voice of America, l'emittente ufficiale americana che ha appena rimpiazzato il responsabile. La stazione attraversa, come tutti i broadcaster, una fase di profonda trasformazione, legata evidentemente al cambiamento dei paradigmi. Fino a relativamente pochi anni fa un broadcaster internazionale poteva servirsi esclusivamente delle onde corte per raggiungere il proprio bacino di utenza. Esattamente come una stazione televisiva poteva utilizzare solo la rete terrestre dei ripetitori. Poi sono arrivati satelliti, Internet, i telefonini, l'interattività. E soprattutto budget in sostanziale crollo, perché i vari governi devono risparmiare il denaro pubblico.
Così, anche questo grande protagonista della Guerra Fredda, deve ridurre le ore di trasmissione e le redazioni nelle diverse lingue. Persino l'inglese! Da leggere, nell'articolo di Doreen Carvajal, sono anche i contributi di Jonathan Marks, di Ted Lipien (autore di un blog ricco di spunti, Freemediaonline.org) e della britannica Association of International Broadcasters (un gruppo di interesse che pubblica una rivista, The Channel, i cui archivi sono disponibili online).
Suggerisco in particolare una visita su Freemediaonline. A quanto leggo è stata fondata da un gruppo di giornalisti, traduttori ed esperti che hanno a quanto leggo tutti lavorato con VOA/IBB, Radio Free Europe. E con la CIA. C'è anche un esperto italiano, Mario Corti, uno slavista che ha iniziato a lavorare per l'ambasciata italiana a Mosca per poi passare a RFE/Radio Liberty di Monaco (dove è stato il responsabile del servizio in lingua russa) e che oggi è tornato in Italia, in provincia di Udine, da dove continua a collaborare anche con giornali russi. Il sito personale di Corti è una curiosa miscela di contributi in russo, inglese, italiano, con molte storie a sfondo culturale, politico e religioso. Risalendo le ultime tappe della carriera di Corti in RL ho trovato su un sito Web del Woodrow Wilson International Center for Scholars un white paper su un convegno di qualche anno fa sull'impatto delle trasmissioni internazionali durante, per l'appunto, la Guerra Fredda. Lo studio risale a due o tre anni fa, il momento in cui molte redazioni di RFE/RL venivano chiuse, ridimensionate. Era già arrivato il momento di focalizzarsi sul medio oriente, sull'Asia centrale.
Certe considerazioni si leggono anche nell'articolo della Carvajal, da cui traspaiono le speranze, per la VOA, in una maggiore generosità da parte del nuovo Congresso a maggioranza democratica (VOA in effetti dipende dal Broadcasting Board of Governors, una entità governativa). Quando una emittente di questo tipo comincia a dirottare le sue risorse verso aree specifiche, penalizzandone altre, si finisce per innescare un circolo vizioso: diminuiscono le trasmissioni, calano gli interessi degli ascoltatori e quindi ecco belle pronte le giustificazione per una ulteriore riduzione delle risorse. D'altro canto, osserva l'AIB, non ha neanche molto senso andare a competere su regioni già sature, dove la concorrenza è forte e costituita da media molto validi (in effetti non si tratta più di colmare i vuoti lasciati dalla Pravda di trent'anni fa). Certo che se in Russi i giornalisti vengono ammazzati come animali, il ruolo dell'informazione libera può tornare a essere importante... E' un peccato che i mezzi di comunicazione liberi siano sempre più poveri di mezzi materiali. Mentre, chissà perché, per qualcun altro perfino il Polonio 210 sembra essere sempre così a buon mercato. Se volete approfondire la storia della Voice of America, nel 2003 da Columbia University Press è uscito un bel libro di Alan Heil, ex vicedirettore dell'emittente. Sul sito della VOA si trova una storia dettagliata, ma molto più concisa.
Così, anche questo grande protagonista della Guerra Fredda, deve ridurre le ore di trasmissione e le redazioni nelle diverse lingue. Persino l'inglese! Da leggere, nell'articolo di Doreen Carvajal, sono anche i contributi di Jonathan Marks, di Ted Lipien (autore di un blog ricco di spunti, Freemediaonline.org) e della britannica Association of International Broadcasters (un gruppo di interesse che pubblica una rivista, The Channel, i cui archivi sono disponibili online).
Suggerisco in particolare una visita su Freemediaonline. A quanto leggo è stata fondata da un gruppo di giornalisti, traduttori ed esperti che hanno a quanto leggo tutti lavorato con VOA/IBB, Radio Free Europe. E con la CIA. C'è anche un esperto italiano, Mario Corti, uno slavista che ha iniziato a lavorare per l'ambasciata italiana a Mosca per poi passare a RFE/Radio Liberty di Monaco (dove è stato il responsabile del servizio in lingua russa) e che oggi è tornato in Italia, in provincia di Udine, da dove continua a collaborare anche con giornali russi. Il sito personale di Corti è una curiosa miscela di contributi in russo, inglese, italiano, con molte storie a sfondo culturale, politico e religioso. Risalendo le ultime tappe della carriera di Corti in RL ho trovato su un sito Web del Woodrow Wilson International Center for Scholars un white paper su un convegno di qualche anno fa sull'impatto delle trasmissioni internazionali durante, per l'appunto, la Guerra Fredda. Lo studio risale a due o tre anni fa, il momento in cui molte redazioni di RFE/RL venivano chiuse, ridimensionate. Era già arrivato il momento di focalizzarsi sul medio oriente, sull'Asia centrale.
Certe considerazioni si leggono anche nell'articolo della Carvajal, da cui traspaiono le speranze, per la VOA, in una maggiore generosità da parte del nuovo Congresso a maggioranza democratica (VOA in effetti dipende dal Broadcasting Board of Governors, una entità governativa). Quando una emittente di questo tipo comincia a dirottare le sue risorse verso aree specifiche, penalizzandone altre, si finisce per innescare un circolo vizioso: diminuiscono le trasmissioni, calano gli interessi degli ascoltatori e quindi ecco belle pronte le giustificazione per una ulteriore riduzione delle risorse. D'altro canto, osserva l'AIB, non ha neanche molto senso andare a competere su regioni già sature, dove la concorrenza è forte e costituita da media molto validi (in effetti non si tratta più di colmare i vuoti lasciati dalla Pravda di trent'anni fa). Certo che se in Russi i giornalisti vengono ammazzati come animali, il ruolo dell'informazione libera può tornare a essere importante... E' un peccato che i mezzi di comunicazione liberi siano sempre più poveri di mezzi materiali. Mentre, chissà perché, per qualcun altro perfino il Polonio 210 sembra essere sempre così a buon mercato. Se volete approfondire la storia della Voice of America, nel 2003 da Columbia University Press è uscito un bel libro di Alan Heil, ex vicedirettore dell'emittente. Sul sito della VOA si trova una storia dettagliata, ma molto più concisa.
Voice of America's new leader faces changing times
By Doreen Carvajal
International Herald Tribune
Sunday, November 26, 20006
For generations of listeners, the Voice of America and its crackling international shortwave broadcasts are heirloom memories of huddling around radios to mark the Allied landing at Normandy or the toppling of the Berlin Wall. Today, the VOA headlines are delivered as mobile phone news alerts, satellite television shows or Webcasts streamed over the Internet. But the 64-year-old international broadcasting service of the U.S. government is still searching for relevance with a brand new director and an increasingly fierce market with rivals from commercial networks to public broadcasters jostling for global influence.
"I'm afraid that I'm not listening to Voice of America," confessed a participant from Madras, India, last week in the VOA's own global open forum on international broadcasting. "The shortwave is not so good, so I've switched over to NPR on satellite." Last month, the VOA service - which reaches about 115 million people weekly in 44 languages - received fresh leadership after the abrupt departure of its director, David Jackson, a former Time magazine foreign correspondent, and the appointment of Danforth Austin. Austin, 60, is a former chief executive of Ottaway Newspapers, a community newspaper subsidiary of Dow Jones. He was appointed to the top spot by the Broadcasting Board of Governors, a politically appointed group.
In his first few weeks in his new post, Austin said during an interview, he was hoping to bring his organizational skills to bear on an institution that has been buffeted in the past year by proposed budget cuts and plans to reduce English-language programming to divert resources to Arabic-language services. "There is a proliferation of media, and it's not just government-funded services," he said. "How could the United States not want a broadcast service in the midst of all that, which keeps and maintains the kind of journalistic values that really reflects who we are as a country?" Austin is a newcomer to international broadcasting, although he worked outside the United States on short-term assignments as a reporter. He said that the notion of taking over the VOA from its Washington headquarters was "not on my radar screen" because he had just taken a retirement package from Dow Jones in March.
"I was contemplating taking some time off, reading. I've done some work for charity kinds of things and then through an acquaintance who knows one of the governors on the board, they asked me if I had any interest in the Voice of America," Austin said. Given his newness, Austin's plans for the VOA remain largely vague and general beyond trying to make sure that the news agency is responsive to its audiences. "For some people, shortwave radio is and will remain very important," he said. "For others, it's through television and the Internet." He added: "We look at markets. We decide what to provide based on what those audiences want and how they use information."
Critics, though, complain that the VOA is an institution that is too slow-moving and hampered by its strategy of issuing government editorial newscasts on topics ranging from President George W. Bush on Iran's "intransigence" to Donald Rumsfeld, the secretary of defense, on the pursuit of nuclear weapons in North Korea and Iran. Jonathan Marks, a radio consultant and former executive at the international broadcaster Radio Netherlands, is among those critics. "Don't you think that Jon Stewart on YouTube has more impact on the way people see America than anything VOA could muster on radio or TV?" he asked. He complained that the VOA's Now 24/7 program in English has been nicknamed "VOA Now and Then" because of reduced programming. "Both times that Saddam Hussein has been world news with his capture and death sentence, VOA English has been off the air," Marks said. "To be fair, its radio in Arabic and Farsi was running."
With control of the U.S. Congress shifting to the Democrats, many VOA employees and supporters are hoping that reductions in the $166 million annual budget will be restored to avoid further cuts in English-language programming. As it is, VOA continues to offer slower-paced "special English" programs to reach non-native English speakers. Ted Lipien, a Voice of America employee who retired last April as a marketing director for Europe and Asia, created FreeMediaOnline.org, a foundation to support independent journalism. He is lobbying against some VOA cuts. "They have focused on the Middle East and taken money away from programming for other regions," he said. "Once your audience goes down, it creates a vicious circle." He added, "The soft power of information and news is grossly under-appreciated." To a certain extent, though, the VOA is facing some of the cold realities of the end of the Cold War. Simon Spanswick, chief of the Association of International Broadcasters, said the VOA has taken the approach that "it's not worth trying to compete in saturated markets with highly competitive broadcasters."
Tags: radioascolto, radiofonia, radio, dxing.
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