Ogni confronto con la triste schiera di anchormen sponsorizzati dei telegiornali nostrani, così solerti nel mettere le loro indubbie qualità professionali al servizio del potere più arrogante, sarebbe ingeneroso. Cronisti della levatura di Walter Cronkite, che ci ha lasciati questa notte, a 92 anni, non ne nascono molti. Sono pochissimi, in ogni caso, quelli davvero in grado di coniugare la difficile arte di "bucare" microfoni e schermi a una visione etica del mondo (e della sua narrazione) che li isola da ogni tentazione populista e caciarona. Paragonare i Cronkite ai Vespa più che ingeneroso sarebbe assurdo.
Leggo sul New York Times che il figlio di Cronkite, Chip, ha riferito che il padre se n'è andato per le complicazioni di una demenza. Non sono un neurologo ma ne capisco abbastanza per poter affermare che doveva trattarsi di una demenza multiinfartuale, l'accumularsi dei danni provocati da una situazione vascolare compromessa. Ho avuto la fortuna di sentir parlare Cronkite dal vivo alcuni anni fa, quando l"'uomo più fidato d'America" venne ospitato alla convention di una azienda di software americana, grande ma allora molto chiacchierata. Cronkite era già un pensionato del giornalismo ma non aveva perso un grammo del suo carisma e certo non appariva indementito quando ricordava i suoi incontri con Kennedy o le sue cronache di guerra. A proposito di Kennedy raccontò di come gli era capitato di dare la notizia dell'attentato di Dallas in fretta e furia, rivolgendosi a un'America sbigottita. Il giornale newyorkese pubblica nella sua galleria fotografica l'immagine di un Cronkite in maniche di camicia, gli occhiali con la montatura grossa a nascondere lo sguardo, la smorfia di chi cerca di contenere le lacrime. Il Times racconta che forse per la prima volta nella sua carriera, quella sera Walter perse il suo proverbiale contegno, la "composure" così diversa dall'untuoso sussiego dei reporter da compagnia, fino a doversi toglierseli, gli occhiali, per asciugarsi brevemente gli occhi. Quando lo sentii parlare, sul palco di quella convention, Cronkite ricordò invece di essersi trovato poi in uno studio sguarnito e di aver preso personalmente una delle tante telefonate che martellavano i centralini della CBS. Gli toccò di subire le contumelie di una anziana spettatrice che trovava indegno il fatto che per dare una notizia del genere il giornalista non indossasse la giacca.
Inevitabilmente, la carriera di Walter Cronkite iniziò dalla radio. Riprendo qui la fotografia pubblicata dal Times, con il giovane leone dei newscast ai microfoni di KCMO di Kansas City, nei primi anni Trenta. Leggeva i notiziari e i risultati del football e venne licenziato perché aveva polemizzato su uno stile giornalistico che giudicava insufficiente. Sono andato per curiosità sul sito di KCMO, oggi una delle tante talk radio conservatrici. Non ho trovato nessun cenno, alla notizia a parte lo spezzone audio delle Fox News. Forse è giusto che giornalisti come lui se ne vadano da un mondo che è così penoso raccontare.
Leggo sul New York Times che il figlio di Cronkite, Chip, ha riferito che il padre se n'è andato per le complicazioni di una demenza. Non sono un neurologo ma ne capisco abbastanza per poter affermare che doveva trattarsi di una demenza multiinfartuale, l'accumularsi dei danni provocati da una situazione vascolare compromessa. Ho avuto la fortuna di sentir parlare Cronkite dal vivo alcuni anni fa, quando l"'uomo più fidato d'America" venne ospitato alla convention di una azienda di software americana, grande ma allora molto chiacchierata. Cronkite era già un pensionato del giornalismo ma non aveva perso un grammo del suo carisma e certo non appariva indementito quando ricordava i suoi incontri con Kennedy o le sue cronache di guerra. A proposito di Kennedy raccontò di come gli era capitato di dare la notizia dell'attentato di Dallas in fretta e furia, rivolgendosi a un'America sbigottita. Il giornale newyorkese pubblica nella sua galleria fotografica l'immagine di un Cronkite in maniche di camicia, gli occhiali con la montatura grossa a nascondere lo sguardo, la smorfia di chi cerca di contenere le lacrime. Il Times racconta che forse per la prima volta nella sua carriera, quella sera Walter perse il suo proverbiale contegno, la "composure" così diversa dall'untuoso sussiego dei reporter da compagnia, fino a doversi toglierseli, gli occhiali, per asciugarsi brevemente gli occhi. Quando lo sentii parlare, sul palco di quella convention, Cronkite ricordò invece di essersi trovato poi in uno studio sguarnito e di aver preso personalmente una delle tante telefonate che martellavano i centralini della CBS. Gli toccò di subire le contumelie di una anziana spettatrice che trovava indegno il fatto che per dare una notizia del genere il giornalista non indossasse la giacca.
Inevitabilmente, la carriera di Walter Cronkite iniziò dalla radio. Riprendo qui la fotografia pubblicata dal Times, con il giovane leone dei newscast ai microfoni di KCMO di Kansas City, nei primi anni Trenta. Leggeva i notiziari e i risultati del football e venne licenziato perché aveva polemizzato su uno stile giornalistico che giudicava insufficiente. Sono andato per curiosità sul sito di KCMO, oggi una delle tante talk radio conservatrici. Non ho trovato nessun cenno, alla notizia a parte lo spezzone audio delle Fox News. Forse è giusto che giornalisti come lui se ne vadano da un mondo che è così penoso raccontare.
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