Il 17 giugno gli amici della School of Management del Politecnico di Milano organizzano in convegno dedicato alla pubblicità "nell'era della ipercomunicazione e dell'interazione". Il convegno, "La pubblicità è servita" vedrà la partecipazione di un esperto in marketing di levatura mondiale, Philip Kotler.
E' buffo perché la notizia di questo convegno mi è arrivata dopo l'istruttiva lettura della newsletter Taylor on radio-info, dove ieri si dava conto di una conferenza americana, BIA Winning Media Strategies, che a Washington DC sta appunto discutendo la situazione della pubblicità in questa epoca di forte confronto (e crisi) tra media tradizionali e Internet. Vi riporto qui gli appunti su alcuni interventi che mettono in evidenza aspetti come la grande sopravvalutazione del mezzo televisivo e la capacità di Internet di attrarre numerosi piccoli flussi di investimenti pubblicitari che le aziende su scala locale cominciano a gestire in proprio e che sfuggono completamente al controllo da parte delle agenzie e dei media che prima fungevano da collettori.
Negli Stati Uniti ormai si passano più ore settimanali davanti a Internet, posta elettronica e persino radio, che davanti alla tv. Eppure, sottolinea Taylor citando una statistica proiettata alla conferena, i grandi investitori pubblicitari allocano le loro risorse sulla televisione. C'è poi il piccolo caso raccontato da un società di consulenza, la McVay NewMedia, di una catena di pizzerie bio di New Orleans, "Naked Pizza" (Pizza Nuda, ma niente di sconveniente) che ha concentrato la sua strategia di marketing su Twitter, dove ha accumulato tremila "followers". Ora il 15% del suo fatturato giornaliero deriva dal passaparola su Twitter e dalle promozioni lanciate sulla piattaforma di microblogging, dal buono sconto alla maglietta omaggio. Perché si chiedono quelli della McVay, la radio integrata con Internet non dovrebbe intercettare una parte di queste attività di marketing, rilanciarle renderle ancora più pervasive? Perché un mezzo di comunicazione che ne ha viste tante, che ha resistito brillantemente alla carica della televisione ora non riesce ad aggiornarsi? Secondo gli esperti americani le stazioni radio di maggior successo sono ormai quelle che non fanno affidamento solo sul loro sito Web, con il dominio associato alle call letters, la sigla identificativa. Sono piuttosto quelle che si inventano nuove cose, che costruiscono un brand riconoscibile? Il business locale ha bisogno di media locali per rendersi visibile e la radio - negli USA, ma non soltanto negli USA - potrebbe diventare un nodo fondamentale perché da sempre sa coniugare i due aspetti della radice locale e della dimensione estesa, che travalica ogni confine. Con Internet, le infrastrutture telefoniche cellulari e tutti gli strumenti della "iper" e "crossmedialità" si possono inventare molte cose e probabilmente alcune di queste cose funzionerebbero.
Negli Stati Uniti ormai si passano più ore settimanali davanti a Internet, posta elettronica e persino radio, che davanti alla tv. Eppure, sottolinea Taylor citando una statistica proiettata alla conferena, i grandi investitori pubblicitari allocano le loro risorse sulla televisione. C'è poi il piccolo caso raccontato da un società di consulenza, la McVay NewMedia, di una catena di pizzerie bio di New Orleans, "Naked Pizza" (Pizza Nuda, ma niente di sconveniente) che ha concentrato la sua strategia di marketing su Twitter, dove ha accumulato tremila "followers". Ora il 15% del suo fatturato giornaliero deriva dal passaparola su Twitter e dalle promozioni lanciate sulla piattaforma di microblogging, dal buono sconto alla maglietta omaggio. Perché si chiedono quelli della McVay, la radio integrata con Internet non dovrebbe intercettare una parte di queste attività di marketing, rilanciarle renderle ancora più pervasive? Perché un mezzo di comunicazione che ne ha viste tante, che ha resistito brillantemente alla carica della televisione ora non riesce ad aggiornarsi? Secondo gli esperti americani le stazioni radio di maggior successo sono ormai quelle che non fanno affidamento solo sul loro sito Web, con il dominio associato alle call letters, la sigla identificativa. Sono piuttosto quelle che si inventano nuove cose, che costruiscono un brand riconoscibile? Il business locale ha bisogno di media locali per rendersi visibile e la radio - negli USA, ma non soltanto negli USA - potrebbe diventare un nodo fondamentale perché da sempre sa coniugare i due aspetti della radice locale e della dimensione estesa, che travalica ogni confine. Con Internet, le infrastrutture telefoniche cellulari e tutti gli strumenti della "iper" e "crossmedialità" si possono inventare molte cose e probabilmente alcune di queste cose funzionerebbero.
Two panelists at this mid-afternoon session of the BIA Winning Media Strategies conference – Professor Martin Block of Northwestern’s Medill School, and Arbitron’s Pierre Bouvard. Block is an expert in areas like media planning – which has morphed from the traditional “outbound, marketer-controlled” model where “optimization” of the buy “reigned supreme”, to something far more complex and consumer-driven. How has the world changed? Consider just one chart – Participants in the BigResearch CIA (Consumer Intentions and Actions) study say they spend 131.3 minutes a day on email (astounding). 129.6 minutes a day with TV. 127.5 minutes a day with the Internet. And 93.5 minutes a day with radio. Block says “radio usage has been creeping up”, if you include satellite and web radio. He features a couple of slides about a recent TNS study that should’ve gotten much more attention – 53.6% of the budget spent by the top 7 automotive brands in 2007 went to TV. Radio settled for less than 8%. But if you map the media usage, TV was “over-allocated”, with a “substantial underinvestment in Internet and radio.” At that point, BIA’s Rick Ducey said “Boy, radio looks pretty interesting…” That segued nicely into Arbitron’s Pierre Bouvard, who summarized very efficiently the latest Edison-Arbitron study, which shows this was the year “video popped, like the Internet popped in 1999.” 77% of those in the study say they continue to listen to radio as much as or more than before. Bouvard says people who listen to online radio “are voracious radio consumers” who spend 35% more time than the average with terrestrial radio. He reports that “I’m seeing nothing in the data that AM/FM is being eroded”, even while there’s “a big uptick in online radio.”
McVay New Media’s Daniel Anstandig asks a helluva question after opening with a story about New Orleans’ “Naked Pizza” chain. They use Twitter as their main marketing tool, even putting “Twitter” first on the sign outside their store. And now – Anstandig says “up to 15% of their daily business is coming from Twitter. They figured out how to do [local] digital marketing on their own.” So here’s Daniel’s question – “How many other local advertisers are going to figure out how to market their business online, before we [in the media] figure out how to help them?” Researcher Gordon Borrell picks up more trends, and says of local online, “47.6% of the revenue is going to 'unaffiliated', meaning not TV, radio newspaper – pureplay, out-of-market” media. But Borrell says “there’s a high churn rate, and [the business] is falling back into the hands of newspaper, TV, radio.” But radio’s got serious, serious catching up to do. The stations that are really out-performing are those that “aren’t relying on their ‘call-letter.com’ sites. They’re branching out. They have new brands, and those brands are lifting them above” the traditional reach. He says these high-performers are attacking “Yellow Pages, classifieds and direct mail customers.” He drops an amazing statistic, just published by Borrell Associates – “Direct mail did $49 billion last year.” Remember that radio’s now fallen below $20 billion, and Internet’s around $24.5 billion. Gordon says “Direct mail is ready for an incredible fall…half of direct mail is never read.” His key questions dovetail with some of the “five key factors to building a profitable business” laid out by fellow panelist Ray Mena of Emmis Interactive. Borrell asks “What business are you in? Does your company have a vision” for new media? Mena’s first point – “Is this a business or a hobby?”.
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