19 ottobre 2012

Il DAB "zeromediale". A Trento tutti pronti alla ripartenza della radio digitale, senza una data sul calendario



Nella provincia di Trento gli operatori pubblici e privati della radio italiana si apprestano a mettere in onda cinque ensemble DAB+ per almeno una quarantina di programmi. Accanto a queti programmi, che potrebbero essere costituiti da una quota significativa di contenuti originali, ci saranno servizi tipici del digitale, primo tra tutti l'infotraffico basato sullo standard TPEG. Un operatore come DBTAA, Digital Broadcasting Trentino Alto Adige, consorzio che sarà responsabile della messa in onda di undici stazioni locali della provincia, tra cui Trentino in Blu, Radio Dolomiti, Radio Tirol, fa sapere attraverso il suo responsabile Luigi Seppi che i costi di avviamento dell'impianto previsto sulla Paganella (e immagino per eventuali ripetitori low power) oscillano tra i 130 e i 150 mila euro. Non poco, in una congiuntura come la nostra.

Torno dal convegno organizzato per presentare la sperimentaz... Pardon, il Progetto Pilota di radio digitale DAB+ nella provincia di Trento, senza aver fugato tutti i dubbi che nutrivo alla partenza ma con una certezza parecchio lusinghiera per me: il fatto che Radiopassioni sia letto dalle persone che contano nel settore radiofonico. Dev'essere per forza così se Sergio Natucci ha aperto il suo intervento centrato sulle attività che Club DAB Italia si appresta a lanciare su uno dei tre ensemble "nazionali" assegnati in trentino, citando proprio il titolo del mio post di ieri: Ultimo treno per Trento. «Il DAB per noi non è un fumetto,» ha dichiarato un po' piccato Natucci, ribadendo poi che se il DAB italiano non è partito dieci anni fa è colpa di quelli che non hanno mai messo mano alla regolamentazione delle frequenze e anche della RAI che ha usato la Banda L (peraltro tre volte più costosa della Banda III in termini di investimenti, secondo Natucci) «per metterci i suoi ponti».
Mi preme ribadire a questo punto che il titolo Ultimo treno per Trento non voleva essere irrispettoso nei confronti delle ottime intenzioni degli editori radiofonici italiani. Ho sempre sostenuto che il DAB rappresenta una grossa opportunità per l'Italia. Forse avrei visto volentieri la creazione di più spazi per i nuovi entranti in un mercato blindato, ma è chiaro che con questo assurdo ritardo abbiamo compromesso, forse definitivamente, questa eventualità. Sono convinto che la mancata regolamentazione dell'analogico come del digitale (il quale era oggettivamente difficile da regolamentare vista la presenza in Banda III di un numero spropositato - rispetto alle medie europee - di canali televisivi, in maggior parte pubblici e di vincoli militari) abbia pesato come un macigno sui ritardi del DAB in Italia. 
Anche in presenza di tante condizioni avverse, tuttavia si poteva fare di più. Ma così non è stato. Non sarà colpa degli editori, ma neppure degli osservatori come me, che dal 1995 a oggi hanno assistito ad almeno due o tre rilanci in grande stile di una tecnologia che oggi, oggettivamente, sta rollando per l'ennesima volta su una pista ingombri di ostacoli vecchi e nuovi. Non solo infatti - come bene ha sottolineato a Trento Elena Porta, di Digiloc, la società che gestirà l'ensemble Aeranti nel trentino - ancora oggi la Banda III rischia di non riuscire a sistemare tutti i 16 network nazionali e il migliaio di emittenti regionali e locali che potenzialmente dovrebbero migrare al digitale («ci vorrebbero undici blocchi» ha detto la Porta, ma questi blocchi non ci sono). Nel frattempo la radio DAB si è trovata anche a dover fare i conti con una piattaforma di distribuzione dei contenuti, il sistema convergente di Internet e delle reti telefoniche cellulari, che non possiamo far finta di mettere sotto al tappeto reiterando gli indubbi vantaggi dei minori costi del broadcast contro le spese nascoste della connettività IP, o la minor potenza impegnata da una singola antenna emittente digitale rispetto alle numerose antenne analogiche (e l'ascolto indoor? E la badilata di inutili kilowatt che una stazione FM oggi è costretta a riversare nell'etere per farsi sentire in uno spettro assurdamente affollato?). Non dico che il broadcast digitale non abbia i suoi vantaggi rispetto al broadcast analogico o rispetto al broadband multimediale. Ne ha eccome. Ma i conti in questo settore vanno fatti senza trascurare l'estrema variabilità delle condizioni sul pianeta Internet e magari inserendo nell'equazione anche una valutazione attendibile delle persone che ascoltano la radio in Italia, valutazione oggettiva che manca da due o tre anni.

La situazione è difficile per la radio digitale in generale di fronte all'avanzata delle alternative tecnologiche e infrastrutturali capaci di catturare l'attenzione del pubblico e  di rivendicare nelle sedi normative l'uso di risorse che un tempo erano appannaggio del broadcast (a Trento è emerso un discreto pessimismo sui destini di una Banda L che quasi certamente passerà dal DAB a servizi di tipo telefonico). A questo si aggiunge la constazione che se i timidi regolatori italiani arrivano sempre in colpevole ritardo con il reperimento e l'assegnamento delle frequenze destinate alla radio digitale, gli editori non sempre brillano per tempestività e capacità di marketing. Guardate il caso del convegno di oggi. Da RAIWay, Club DAB, Digiloc e DBTAA abbiamo appreso che prima o poi dalla Paganella pioveranno su Trento e dintorni i segnali di cinque ensemble DAB+, per oltre una quarantina di prorgammi. Tutti hanno insistito sulle opportunità di arricchimento dell'offerta, Natucci in particolare ha insistito molto sull'infotraffico TPEG, Elena Porta ha parlato delle "reinterpretazione" della famigerata Legge Gasparri (che per i concessionari del DAB prevede solo il simulcast dei contenuti FM) a favore di una quota di programmi originali ed esclusivo che può arrivare al 50% del tempo totale di trasmissione. Ma per la milionesima volta nella mia carriera mi sono trovato davanti a un tavolo di operatori che annunciano la "futura disponibilità" di un'offerta che non c'è, con tanto di display di magnifici ricevitori Pure che allo stato attuale possono sintonizzarsi, quando va bene, su dieci, quindici programmi ripresi, male, dalla FM analogica. La speranza è che nella sala del Centro congressi su a Sardagna, ripida terrazza affacciata sull'Adige e sul capoluogo, non ci fossero troppi giornalisti locali, perché domani i loro lettori si troveranno davanti ai soliti pezzi di scenario dedicati a una tecnologia che non c'è, che al momento, in Italia, mi sento di definire "zeromediale". Non bisogna essere degli Steve Jobs per sapere che nell'era degli iPad e del 4G, non puoi permetterti di annunciare una tecnologia se questa arriverà nei negozi tra sei o dodici mesi. Se davvero vogliamo (ri)lanciare la radio digitale in Italia - prima che l'Europa ci costringa a farlo ex lege (con le conseguenze devastanti sul mercato legacy che abbiamo visto per le televisioni) e prima che Internet renda obsoleto l'intero dibattito - occorre tempestività e impegno da parte del regolatore, motivazione da parte degli editori e una strategia di marketing coerente, coraggiosa, fulminea. Basta formule stile "entro fine anno", "se tutto va bene", "valutiamo le opportunità", "cerchiamo di capire i costi". Voglio dei network e delle stazioni pubblici, privati o marziani che siano capaci di dirmi: dal primo novembre i consumatori trentini potranno ascoltare in digitale, in casa come sull'autoradio, cinque programmi esclusivi, le cronache in diretta delle partite locali dei campionati, i concerti live della loro città, con in più le informazioni testuali e visuali sul traffico, sui punti di interesse, sugli itinerari turistici.
Senza tutto questo, le incognite sul DAB all'italiana sono - alla luce di un possibile scenario di switch off dell'FM analogico imposto dall'Unione Europea e in un contesto infrastrutturale di massiccia migrazione verso le metafore di Internet mobile - una spada di Damocle appesa sulle teste di editori e ascoltatori. L'Italia che è stata la culla della radiofonia libera, dinamica e creativa, oggi rischia seriamente di diventare la tomba di un modo troppo vecchio di fare radio.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao, non sono serviti sei mesi o un anno, è il 7/1 e in meno di tre mesi sono attivi 3 gruppi: RAI (con 7 canali), Club DAB Italia (12C - 8 canali) e Trentino DAB1 (a.k.a. DBTAA - Digital Broadcasting Trentino Alto Adige - 10A, 12 canali)

Andrea Lawendel ha detto...

Emozionante. E le vendite di ricevitori a Trento come vanno? Le code per strada ci sono? Quanti sono i programmi esclusivi per il DAB+? Strana la tempistica, tra l'altro. Sette programmi RAI a meno di due mesi dalla pubblicazione del bando RAIWay? O sono i vecchi programmi ricevibili in DAB Musicam?