Un infinito processo alle intenzioni. Un tormentone basato su fatti del tutto inconsistenti - una manciata di dichiarazioni quasi sempre peraltro seguite da smentite ben più autorevoli - per montare la panna della "pubblica opinione", con la frusta della manipolazione retorica. La discussione sulla possibile (ma quando mai...) reintroduzione negli USA della Fairness Doctrine, la par condicio mediatica sulla discussione dei temi politici, continua a servire alla destra conservatrice per mettere la sinistra di potere sul banco degli imputati, per accusare quel socialista bolscevico del presidente Obama di voler censurare l'opposizione.
Il prossimo anello in una catena che sembra non finire mai (e assomiglia così tristemente agli artifizi di cui si servono a piene mani i media assai più condizionati e condizionabili di casa nostra) è un libro che uscirà a maggio per un grande editore, Simon&Schuster, scritto da uno dei padri della talk radio conservatrice americana: Brian Jennings. Il volume-denuncia si intitola manco a dirlo "Censorship, The threat to silence talk radio" e mette sullo stesso piano le forbici di una censura dittatoriale (e già questo in un paese retto da un Parlamento democratico è parecchio azzardato) e una legge abolita da vent'anni che cercava forse in modo artificioso, ingenuo e inefficace, di fissare le regole di una forma di discussione più equilibrata, assegnando alle diverse parti politiche lo stesso peso in termini di tempo di trasmissione. La par condicio può essere una stupidaggine, il frutto di una visione romantica e ottimistica del dibattito politico come leale confronto di idee tutte egualmente costruttive. Ma non è censura. Farlo credere, gridare allo scandalo ancor prima di una eventuale proposta di legge, non è un modo per essere democraticamente vigili, per tenere deste le coscienze. E' pura disinformazione, oltretutto di perfetto stampo staliniano. A questo punto viene anche il sospetto che sia un ottimo modo per occupare tante ore di programmazione con un argomento inesistente, solo per mascherare un vuoto di idee che à invece molto concreto e dovrebbe preoccupare i conservatori più di quanto abbia fatto l'elezione di Obama.
Questo è quello che penso e potrei sbagliare. Ma il tema riguarda comunque certi meccanismi di creazione del consenso, un gioco non sempre trasparente in cui la radio riveste un ruolo importante. La storia di uno dei fatti citati nel libro di Jennings e riportati anche dallo stesso autore in un suo post del blog conservatore "Big Hollywood" è molto rivelatrice:
Il prossimo anello in una catena che sembra non finire mai (e assomiglia così tristemente agli artifizi di cui si servono a piene mani i media assai più condizionati e condizionabili di casa nostra) è un libro che uscirà a maggio per un grande editore, Simon&Schuster, scritto da uno dei padri della talk radio conservatrice americana: Brian Jennings. Il volume-denuncia si intitola manco a dirlo "Censorship, The threat to silence talk radio" e mette sullo stesso piano le forbici di una censura dittatoriale (e già questo in un paese retto da un Parlamento democratico è parecchio azzardato) e una legge abolita da vent'anni che cercava forse in modo artificioso, ingenuo e inefficace, di fissare le regole di una forma di discussione più equilibrata, assegnando alle diverse parti politiche lo stesso peso in termini di tempo di trasmissione. La par condicio può essere una stupidaggine, il frutto di una visione romantica e ottimistica del dibattito politico come leale confronto di idee tutte egualmente costruttive. Ma non è censura. Farlo credere, gridare allo scandalo ancor prima di una eventuale proposta di legge, non è un modo per essere democraticamente vigili, per tenere deste le coscienze. E' pura disinformazione, oltretutto di perfetto stampo staliniano. A questo punto viene anche il sospetto che sia un ottimo modo per occupare tante ore di programmazione con un argomento inesistente, solo per mascherare un vuoto di idee che à invece molto concreto e dovrebbe preoccupare i conservatori più di quanto abbia fatto l'elezione di Obama.
Questo è quello che penso e potrei sbagliare. Ma il tema riguarda comunque certi meccanismi di creazione del consenso, un gioco non sempre trasparente in cui la radio riveste un ruolo importante. La storia di uno dei fatti citati nel libro di Jennings e riportati anche dallo stesso autore in un suo post del blog conservatore "Big Hollywood" è molto rivelatrice:
Pardon the Obama Media Hypocrisy!Jennings si riferisce a un altro autore conservatore, Stanley Kurtz, che durante la campagna presidenziale si è occupato dei rapporti tra Obama e un vecchio attivista politico radicale, William Ayers. Per i candidati conservatori è stato uno dei temi "forti" di queste elezioni, in cui Obama veniva accusato di aver frequentato e favorito gruppi che non esitavano a ricorrere a bombe e bottiglie molotov. In Censorship, Jennings rivela per esempio che la stazione WGN di Chicago, che aveva intervistato Kurtz mesi prima delle elezioni, era stata sommersa di telefonate e mail di protesta da parte di un gruppo di supporter di Obama organizzati in una community online, il cosiddetto Obama Action Wire (la storia viene raccontata anche dal Chicago Tribune). L'Action Wire ha funzionato davvero, ha avuto le sue pagine Web e il suo gruppo su Facebook, ed era un modo molto attuale per organizzare l'attivismo politico pro Obama e sfruttarne meglio le capacità di confronto delle varie opinioni, per cercare di smascherare i tentativi di ledere l'immagine di un avversario politico con "fatti" inconsistenti e distorti. Certo, c'era sempre il rischio che anche l'Action Wire diffondesse notizie fasulle e interpretazioni basate su fatti inventati. Ma l'attenzione del discorso di Jennings è rivolta su un unico punto: se l'Action Wire esiste e coinvolge un certo numero di persone e queste persone automaticamente, qualsiasi cosa dicano, magari anche quando dicono la verità diventano pericolosi automi in mano a forze ostili. Insomma, inviare un messaggio di posta elettronica a una stazione radio o discutere di politica sono gesti "intimidatori", per definizione. A campagna conclusa, William Ayers in persona ha scritto sul New York Times un editoriale che spiega con chiarezza certi retroscena. Riporto qui il paragrafo conclusivo dell'articolo di Ayers:
by Brian Jennings
When writing my book Censorship: The Threat To Silence Talk Radio, I included one of the Obama campaign’s most hypocritical moments. After reading this, you’ll have no question why the “Teleprompter of the United States” needs one. John McCain was no challenge in the debates but Obama avoided this confrontation. An excerpt from my book which Simon & Schuster will publish May 5th:
In late August, 2008, Obama supporters unleashed their venom on Chicago’s WGN radio for allowing a critic of Barack to come on the air. The station had scheduled an interview with Stanley Kurtz, author of an article that linked Obama to 60’s radical William Ayers. (Ayers - now a professor in the College of Education at University of Illinois - was co-founder of a radical left-wing organization called the Weather Underground that was responsible for bombings of public buildings in the 60’s and 70’s, resulting in injuries to and deaths of several people.)
Obama supporters were incensed that the radio station would interview someone whom they accused of being a “hatchet man”, spreading what they considered to be lies and distortions about their chosen candidate. Their intent was clear and to the point. They wanted to intimidate WGN and force management to reverse its decision to put Kurtz on the air. They urged their supporters to send intimidating e-mails and make phone calls to WGN radio to complain; the station was deluged with calls and e-mails.
This controversy developed into a major story not only in Chicago, on Obama’s home turf, but all across the country. It was yet another frontal assault on free speech. According to my long-time friend, former WGN Program Director Bob Shomper - who now programs WLS in Chicago - the controversy developed as a result of trying to give Obama’s campaign the opportunity to come on the radio show with Kurtz. How ironic! In other words, the station offered to fairly balance the show, but Obama supporters declined that offer and continued their intimidating tactics to try to prevent the interview from being aired. Shomper said, “Instead, they e-blasted their national database to clog our call-in lines.” Rather than choosing to debate the issues, the campaign resorted to intimidation.
Footnote: Because the mainstream media endorsed and worshipped Obama, few of them will now leave the alter. For their own sake, they need him to succeed. Otherwise, they run the risk of a total credibility meltdown. Journalism is dead in America. That’s a topic for another day. Thank you.
The dishonesty of the narrative about Mr. Obama during the campaign went a step further with its assumption that if you can place two people in the same room at the same time, or if you can show that they held a conversation, shared a cup of coffee, took the bus downtown together or had any of a thousand other associations, then you have demonstrated that they share ideas, policies, outlook, influences and, especially, responsibility for each other’s behavior. There is a long and sad history of guilt by association in our political culture, and at crucial times we’ve been unable to rise above it.
President-elect Obama and I sat on a board together; we lived in the same diverse and yet close-knit community; we sometimes passed in the bookstore. We didn’t pal around, and I had nothing to do with his positions. I knew him as well as thousands of others did, and like millions of others, I wish I knew him better.
Demonization, guilt by association, and the politics of fear did not triumph, not this time. Let’s hope they never will again. And let’s hope we might now assert that in our wildly diverse society, talking and listening to the widest range of people is not a sin, but a virtue.
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