Maurizio Bertolino mi ricorda con una mail che domani, 26 giugno, è la data fissata per la protesta contro la revisione della legge sul copyright americana. Sulla base della quale le stazioni radio via Internet saranno costrette a partire dal 15 luglio (e retroattivamente a partire dal 1 gennaio!) a versare un gettone per ogni brano musicale trasmesso.
Nel suo commento su FindLaw, la bella avvocatessa Cecily Mak spiega che per una Web radio di piccole dimensioni questa decisione equivale alla bancarotta. I conti fatti da Cecily sono un pugno nello stomaco. Una stazione Web che oggi paga diecimila dollari annui a SoundExchange, finirà per pagarne 700 mila. La minaccia grava anche sui siti Web che offrono agli individui la possibilità di creare dei canali radiofonici personalizzati. Si parla di tariffe "amministrative" da 500 dollari per il servizio, oltre alle "play rates". Ciao Peppa.
Insomma SaveNetRadio ha lanciato l'allarme e il 26 giugno si prevede che molte Web radio faranno ascoltare una giornata di costruttivo silenzio, con la speranza di sensibilizzare al problema un pubblico ormai abituato a trovare su Internet una alternativa ai tradizionali canali AM/FM.
I quali canali, faranno però bene a tenere dritte le antenne. Secondo Audiographics le prossime vittime della revisione delle norme sul copyright saranno loro. Oggi una stazione radio hertziana (ma una Web radio ascoltata col Wi-Fi non è per caso Hertziana anche lei?) paga solo in ragione di un contributo versato all'autore del brano musicale eseguito. Ma le associazioni dei cantanti dicono che anche gli interpreti andrebbero ricompensati. Con buona pace di chi invece ritiene che la pubblicità di un brano trasmesso per radio è una forma di compensazione più che sufficiente, visto che aiuta a vendere dischi. La MusicFirst Coalition come riferisce la CBS è uno dei movimenti di protesta a favore di una maggiore "equità" nei pagamenti delle royalties anche agli esecutori di un brano. Al grido di "Fair pay for air play" la Coalizione, un gruppo pieno di cantanti di grido, come Celine Dion, chiede un percorso legislativo per ottenere più denaro.
Audiographics invita le stazioni radio a smettere di suonare la musica dei soliti tromboni, facendo ascoltare quella di artisti sconosciuti, magari creando le proprie etichette e case editrici. Non è una idea del tutto peregrina e si inserisce bene nel contesto di una scena musicale che sta finalmente svoltando le spalle ai miti costruiti sul nulla.
Molti artisti devono la loro popolarità alle stazioni che trasmettono la loro musica. Cercare di rivalersi sulle radio per ottenere un presunto compenso sulle perdite finanziarie legate alla pirateria dei dischi (e farli pagare meno no, eh?) è una forma indiretta di suicidio. Sembra di vedere lo sceriffo di Nottingham che aumenta del 200% le tasse spremute da una popolazione di poveracci ogni volta che Robin Hood lo prende per il naso. E immagino che i firmatari dei progetti di legge pro-balzelli siano gli stessi falchi che invocano la riduzione o perché no l'abolizione della fiscalità generale. Finché l'industria discografica poteva contare su un canale distributivo fisico, controllabile dall'A alla Z andava tutto bene, le stazioni radio svolgevano un servizio utile, erano funzionali al discorso della creazione dei grandi hit, di una musica di cassetta quasi sempre pessima. Ora che si tratta di adeguare tutto il discorso a una economia nuova, ora che il grosso editore musicale deve industriarsi e muovere il culo, senza accontentarsi di far muovere le dita degli altri sui tasti, tutto quel che si muove va spremuto come un limone. Proprio un bell'esempio di imprenditorialità moderna, bravi.
Nel suo commento su FindLaw, la bella avvocatessa Cecily Mak spiega che per una Web radio di piccole dimensioni questa decisione equivale alla bancarotta. I conti fatti da Cecily sono un pugno nello stomaco. Una stazione Web che oggi paga diecimila dollari annui a SoundExchange, finirà per pagarne 700 mila. La minaccia grava anche sui siti Web che offrono agli individui la possibilità di creare dei canali radiofonici personalizzati. Si parla di tariffe "amministrative" da 500 dollari per il servizio, oltre alle "play rates". Ciao Peppa.
To illustrate, a relatively small webcaster may currently struggle to pay its $10,000-per-year bill to SoundExchange. Under the new regulations, that annual fee will go up to close to $700,000. This harms all parties, as the station will be forced to shut down, the consumer will no longer be able to enjoy the service, and the artists whose music is played will no longer be able to collect any royalties at all for distribution, as a previous distribution channel now no longer exists.
Larger webcasters, in contrast, may not be driven out of business, but they too will suffer. Not only are these companies now responsible for exorbitant royalty rates for services delivered since the beginning of 2006, but the quality of the service they deliver will suffer for lack of diversity, and as a result, consumers may pursue their music via alternative (and often pirated) sources.
To illustrate, numerous large media and technology companies such as Yahoo!, RealNetworks, AOL, and Live365 offer Internet radio to their consumers. Many of these companies distribute "personalized" radio services, in addition to their pre-programmed stations. This means that a user can create their own station based on a few select artists. As a result of offering personalized stations, companies such as RealNetworks can easily offer over 400,000 stations in a year. Now, however, such companies will be charged a $500 administrative fee per station, plus per play rates. The annual administrative fee alone will thus come to about $200 million per company - and again, retroactivity will raise the fee even higher.
The upshot: Say goodbye to personalized radio stations. With little or no revenue tied to this service, these companies are sure to remove them. Again, the webcaster, the artist and the consumer all lose out. And again, illegal online music sources may fill the gap, providing services that once were legally offered, but now are prohibitively expensive to offer legally.
Insomma SaveNetRadio ha lanciato l'allarme e il 26 giugno si prevede che molte Web radio faranno ascoltare una giornata di costruttivo silenzio, con la speranza di sensibilizzare al problema un pubblico ormai abituato a trovare su Internet una alternativa ai tradizionali canali AM/FM.
I quali canali, faranno però bene a tenere dritte le antenne. Secondo Audiographics le prossime vittime della revisione delle norme sul copyright saranno loro. Oggi una stazione radio hertziana (ma una Web radio ascoltata col Wi-Fi non è per caso Hertziana anche lei?) paga solo in ragione di un contributo versato all'autore del brano musicale eseguito. Ma le associazioni dei cantanti dicono che anche gli interpreti andrebbero ricompensati. Con buona pace di chi invece ritiene che la pubblicità di un brano trasmesso per radio è una forma di compensazione più che sufficiente, visto che aiuta a vendere dischi. La MusicFirst Coalition come riferisce la CBS è uno dei movimenti di protesta a favore di una maggiore "equità" nei pagamenti delle royalties anche agli esecutori di un brano. Al grido di "Fair pay for air play" la Coalizione, un gruppo pieno di cantanti di grido, come Celine Dion, chiede un percorso legislativo per ottenere più denaro.
Artists Coming After Radio With Pay for Play
It's time. Radio industry executives need to lift their heads from the sand, and quit being fixated on a satellite radio merger that represents only a sliver of the cost associated with a new problem they've been warned was coming.
Remember the internet radio royalty rates that where confirmed in March, and the ongoing internet radio industry fight against these unfair fees that broadcasters wouldn't join? Well, gotcha!
The record industry is coming after broadcasters to pay the same remarkably high fees that it's trying to kill/control the online radio industry with. Recording artists and music companies are set to release details today on how they want to give "...performers the right to receive compensation when their music is broadcast by radio stations."
Mr. or Ms. Radio Executive, let me explain what's happening. Instead of helping online radio keep its fees equitable with yours, you're now going to have to fight like hell to keep your music fees away from theirs. If broadcast radio is forced to pay the same "performance fees" that internet radio must pay, the cost of running a terrestrial radio station will go through the roof.
Here's the ironic part, the one that indicates there's going to be a shift towards radio creating its own stars: Labels, music companies, and artists that wouldn't have made a penny without radio exposure now have the audacity to demand that the media which made them, must pay them - more.
Those major broadcasters that were noted not to be in Washington a few weeks ago, when the online radio industry people were pleading for support, are now being forced to face the same problem: Pay additional fees over what BMI, ASCAP, and SESAC are charging for the privilege of giving artists exposure.
It's time all artists and record companies demanding these new fees were ejected from radio programming, and for radio to start giving some time playing the thousands of quality artists that were ignored in the past. Three weeks after this occurs the removed artists will become distant memory in all but a few persons' minds. Use Howard Stern as an example. He's keeping those few million on Sirius happy, but there aren't many terrestrial listeners who care much about what he does or says anymore.
If you're an artist who's not receiving radio airplay, you're out of ears, out of mind, out of luck. (Just ask any independent artists who've been trying to get radio exposure what that feels like.)
Let the backlash begin. It's time.
Audiographics invita le stazioni radio a smettere di suonare la musica dei soliti tromboni, facendo ascoltare quella di artisti sconosciuti, magari creando le proprie etichette e case editrici. Non è una idea del tutto peregrina e si inserisce bene nel contesto di una scena musicale che sta finalmente svoltando le spalle ai miti costruiti sul nulla.
Molti artisti devono la loro popolarità alle stazioni che trasmettono la loro musica. Cercare di rivalersi sulle radio per ottenere un presunto compenso sulle perdite finanziarie legate alla pirateria dei dischi (e farli pagare meno no, eh?) è una forma indiretta di suicidio. Sembra di vedere lo sceriffo di Nottingham che aumenta del 200% le tasse spremute da una popolazione di poveracci ogni volta che Robin Hood lo prende per il naso. E immagino che i firmatari dei progetti di legge pro-balzelli siano gli stessi falchi che invocano la riduzione o perché no l'abolizione della fiscalità generale. Finché l'industria discografica poteva contare su un canale distributivo fisico, controllabile dall'A alla Z andava tutto bene, le stazioni radio svolgevano un servizio utile, erano funzionali al discorso della creazione dei grandi hit, di una musica di cassetta quasi sempre pessima. Ora che si tratta di adeguare tutto il discorso a una economia nuova, ora che il grosso editore musicale deve industriarsi e muovere il culo, senza accontentarsi di far muovere le dita degli altri sui tasti, tutto quel che si muove va spremuto come un limone. Proprio un bell'esempio di imprenditorialità moderna, bravi.
1 commento:
Mi chiedo se e quanto un'introduzione più forte delle licenze Creative Commons anche in ambito musicale possa in parte migliorare lo scenario.
Posta un commento