Sono molto lieto di poter dare in anteprima rispetto alla trasmissione di questa sera, 22 giugno, il commento che Larissa Mugaljova specialista di problemi spaziali della
Voce della Russia, da Mosca, ha curato sul "caso" dei fratelli torinesi Judica Cordiglia e della ricezione di trasmissioni dallo spazio 45 anni fa. Il contributo della Mugaljova verrà trasmesso da
Voce della Russia sulle frequenze dei programmi in italiano, nell'ambito di una edizione speciale di "Made in Russia". L'amico Alexander Prokhorov, della redazione italiana di VoR, mi ha cortesemente inviato l'articolo - e lo ringrazio molto - perché in queste settimane abbiamo avuto modo di parlare del libro appena pubblicato dai Gianbattista e Achille Judica Cordiglia e delle polemiche che il loro monitoraggio aveva suscitato in passato, in particolar modo in relazione alla possibilità che un certo numero di cosmonauti sovietici avesse perso la vita in una serie di voli sperimentali anche successivi al "debutto" di Gagarin. Secondo i fratelli spaziali le vittime potenziali sarebbero addirittura quattordici.
A questo proposito aggiungo anche che la comunità radioamatoriale torinese avrebbe manifestato un grande interesse nei confronti di questo tema. Sono in corso discussioni sulla possibile organizzazione di un convegno nel quale invitare i due diretti protagonisti di quella comunque formidabile avventura, per un dialogo aperto con radioamatori e altri esperti.
Intanto, ecco l'inquadramento storico fornito dalla nostra autorevole fonte russa, nella traduzione della collega Giovanna Germanetto, anch'essa della redazione italiana di VoR. L'illustrazione che vedete viene da AFP e riguarda la navicella sovietica Photon andata all'asta in questi giorni a Parigi, dove si è svolto il salone aerospaziale a Le Bourget (l'ho visto dal trenino per il Charles De Gaulle e mi è spiaciuto molto non potermi permettere una deviazione con visita). La navicella è stata battuta
secondo la BBC a un prezzo di 72mila euro ed è stata acquistata da un collezionista privato francese.
MADE IN RUSSIA (edizione speciale)
VOCE: V’invitiamo ad ascoltare una edizione speciale della nostra rubrica “Made in Russia”. Il programma di oggi sarà dedicato interamente al tema spaziale, per poter rispondere ad alcune affermazioni dei fratelli Giovanni Battista ed Achille Judica Cordiglia pubblicate dalla “Stampa” di Torino l’8 maggio ultimo scorso.
Fin da bambini i due fratelli ebbero la passione per il radioascolto e da quanto raccontano allestirono “in casa una piccola stazione radio, fatta di materiali recuperati dai depositi di guerra”. E dalla fine degli anni ’50, quando l’Unione Sovietica lanciò nello spazio il primo satellite artificiale della terra, ed essi captarono il suo segnale, per loro “cominciò la caccia ai segnali dallo spazio”.
VOCE: I fratelli Judica furono testimoni della lotta che i russi e gli americani avevano ingaggiato per impadronirsi del cosmo, - scrive il giornale. Per mezzo della loro radio “acchiapparono i segreti, divulgarono i successi e le tragedie, registrarono i suoni e le voci di missioni in cui avevano messo il naso. Non perché fossero spioni di mestiere, - scrive “La Stampa”, - ma perché erano entrati in un gioco più grande di loro.” Tra l’altro bisogna dire che 20 anni non sono poi pochissimi, quando il giornalista scrive dell’alto grado professionale “dei bricconcelli dell’etere”. Giocavano benissimo il loro gioco, - nota l’autore dell’articolo. I servizi segreti d’America e dell’URSS sapevano di loro e li seguivano considerandoli dei gangster dello spazio. Secondo le parole dei fratelli Judica a loro piaceva semplicemente sapere qualcosa per primi, li appagava la conferma di qualcosa che non avrebbero dovuto sapere. E raccogliere attorno alla loro radio “giornalisti e televisioni di tutto il mondo”. Giochi innocui dei giovani “esploratori”.
VOCE: Come raccontano i fratelli Judica Torino era il primo punto dove i cosmonauti sovietici riprendevano contatto con le basi del loro paese dopo il black out imposto dal sorvolo degli Stati Uniti e dell’oceano. Colsero la voce di Jurij Gagarin e annunciarono la presenza del primo uomo nello spazio qualche minuto prima che lo ufficializzasse la TASS. Vogliamo precisare a questo punto che il comunicato fu diramato più tardi perché sulla “Vostok” il 12 aprile 1961 era salito il tenente Gagarina, ma atterrava... il maggiore Gagarin. In quegli attimi venivano preparati e firmati i documenti che lo avanzavano di grado. Con questo si spiega l’insignificante ritardo nella comunicazione della notizia. Di questo tra l’altro ha poi scritto anche la stampa sovietica.
VOCE: Poco dopo il volo di Jurij Gagarin del 12 aprile 1961, - raccontano i fratelli Judica, - essi avrebbero registrato nel maggio del 1961 “la morte in diretta di un equipaggio: due uomini e una donna”. Dobbiamo notare che a quei tempi nell’URSS non c’erano ancora navi spaziali pilotabili capaci di accogliere più di un cosmonauta. Le prime navi del tipo “Vostok” ( ne furono costruite sei) erano abbastanza piccole. Per questo i cosmonauti si sceglievano non solo in base alle loro capacità personali, ma tenendo conto anche della loro corporatura, statura. Infatti i primi cosmonauti, lo stesso Gagarin, e quelli che vennero dopo Titov, Nikolaev, Popovich, Bykovskij, Leonov e gli altri erano di piccola statura non più di un metro e 60. Ciò era dettato dalla necessità di economizzare in misure e peso della navicella. Per questi nel maggio del 1961 una navicella capace di accogliere tre cosmonauti semplicemente non esisteva. E anche le donne nella squadra dei cosmonauti cominciarono ad apparire solo dopo il volo di Gagrin. Gli allenamenti duravano un anno e Valentina Tereshkova, la prima donna che volò nello spazio, partì per la sua missione sulla “Vostok-6” solo il 16 giugno 1963. Valerij Bykovskij che compì la missione con lei, volava però su un’altra navicella, la “Vostok-5” ed era partito due giorni prima, il 14 giugno. E solo quando furono costruite navi spaziali più ampie del tipo della “Voskhod”, il 12 ottobre 1964 nello spazio fu lanciato un equipaggio di tre persone: il comandante della nave Vladimir Komarov, l’ingegnere di bordo Konstantin Feoktistov e il medico Boris Egorov. Dopo di questo nello spazio cominciarono a volare equipaggi composti di due o tre persone. Il 18 marzo 1965 partirono in volo sulla “Voskhod” Pavel Beljaev e Alexej Leonov e durante quella missione Leonov per la prima volta nel mondo uscì nello spazio aperto.
VOCE: Dopo di loro i cosmonauti cominciarono a volare sulle navi “Sojuz”. Era già morto Serghej Koroljov, il progettista capo della tecnica missilistica e delle navi spaziali sovietiche. E il primo volo della “Sojuz” con Vladimir Komarov a bordo si concluse tragicamente. La nave non era stata ancora collaudata del tutto, non tutto aveva funzionato come si deve e non si era dischiuso il paracadute. Koroljov aveva l’abitudine di controllare più volte il funzionamento di ogni sistema della navicella. Anche se prima nello spazio venivano lanciate piante, sorci, insetti, i cani cosmonauti.
VOCE: Bisogna dire che molto prima delle prove con gli uomini furono realizzati degli esperimenti con esseri biologici. Dal luglio del 1951 al settembre del 1962 vennero compiuti 29 voli sperimentali con i cani nella stratosfera all’altezza di 100-150 chilometri. Otti di quei cani morirono. Morirono per motivi diversi: la depressurizzazione della cabina, un intoppo nel sistema del paracadute, difetti nel sistema di assicurazione della vita. Purtroppo non ebbero nemmeno un centesimo di quella gloriosa notorietà che toccò poi agli altri loro “colleghi quadrupedi” che volarono poi sulle orbite attorno alla Terra. Anche se molto più tardi, ma del loro enorme apporto allo sviluppo della cosmonautica pilotata, alla storia della conquista dello spazio ha raccontato nel suo libro il luminare della medicina spaziale l’accademico Oleg Gazenko che aveva diretto l’Istituto della medicina aeronautica e spaziale, come allora si chiamava l’attuale Istituto dei problemi medico-biologici dell’Accademia delle Scienze della Russia.
VOCE: Ecco quanto scrisse nel suo libro l’accademico Gazenko dei tempi che precedettero il volo di Gagarin: “In tutto c’erano 5 navicelle spaziali, satelliti artificiali. Cominciarono a lanciarli nell’agosto del 1960 fino al 25 marzo del 1961. Di fatto erano già le navi su cui avrebbe volato Gagarin, erano le prove della sua nave fornite di tutti i sistemi di bordo. Aveva una forma sferica. Sopra vi ero lo scomparto con tutte le apparecchiature, sotto c’era il sistema di frenaggio. Prima di entrare negli strati densi dell’atmosfera tutto questo si staccava e discendeva solo la sfera. Prima si apriva il paracadute di frenaggio, poi il paracadute principale. All’altezza di 4 chilometri dal portello fuoriusciva la capsula con dentro il cane, che aveva un suo paracadute. Gagarin pure si catapultò! Così si sperimentavano tutti i sistemi nel loro complesso. La capsula, il contenitore si trovava sulla poltrona del futuro cosmonauta”.
VOCE: Nei due voli che precedettero quello di Gagarin, il 9 e il 25 marzo,fu catapultato automaticamente un manichino al quale per scherzo diedero il nome in codice di Ivan Ivanovich. Della necessità del volo di un simile manichino racconta il direttore dell’Istituto dei problemi medico-biologici l’accademico Anatolij Grigorjev.
(voce)
VOCE: In questi esperimenti il momento più interessante, come mi raccontavano i miei maestri Oleg Gazenko e Vassilij Parin, era anzitutto provare la collocazione dei rilevatori medici, come meglio agganciarli. In secondo luogo, bisognava stabilire le condizioni radiologiche durante il volo. Perciò non era semplicemente un manichino, era farcito di rilevatori che dovevano registrare l’influenza dei raggi cosmici sulle varie parti del corpo nella prospettiva che al suo posto si trovasse un organismo vivo. Questi erano i compiti e io credo che gli specialisti che vi lavorarono superarono felicemente la prova. Fu una cosa molto utile che diede tante informazioni di carattere scientifico. Questo volo avvenne dopo i cani, ma prima del volo di Jurij Gagarin, - ha detto l’accademico Anatolij Grigorijev.
VOCE: Nel processo di valorizzazione dello spazio cosmico non tutto poteva andare bene. Oleg Gazenko scrive nel suo libro: “Il 26 ottobre del 1960 al cosmodromo di Bajkonur sulla pista di lancio esplose e bruciò un missile balistico intercontinentale R-16 che si preparava per un ennesimo esperimento. Morirono tra le fiamme 92 persone tra cui il Comandante in capo delle truppe missilistiche, il maresciallo d’artiglieria Mitrofan Nedelin. Di questo allora si parlò poco. E chissà forse l’eco di quella tragedia diede il motivo ai fratelli Judica di parlare di “molte vittime nascoste”.
VOCE: “Un’altra volta, - scrive “La Stampa” riportando le parole dei signori Judica, - captammo il battito cardiaco e il respiro affannoso di un essere cui evidentemente mancava l’aria. Ci accusavano di inventarci persino i nomi degli astronauti, dimenticando che li prendevamo dalle riviste sovietiche”. Innanzi tutto i fratelli Judica potevano aver sentito il respiro di uno di quei poveri cani che non sopravvissero. Mentre i nomi dei cosmonauti che non avevano ancora volato nello spazio non li conosceva nessuno, erano tenuti nel massimo segreto! Perciò non potevano essere stampati su nessuna rivista sovietica.
VOCE: Vediamo quindi che nella pubblicazione della “Stampa” di Torino molte cose non combaciano... Siamo pronti ad ascoltare qualsiasi domanda e a continuare il dialogo facendo luce su fatti che un tempo si nascondevano. Abbiamo a disposizione molti ricordi di coloro che parteciparono a quegli avvenimenti che per la prima volta nel mondo, passo per passo, aprivano all’umanità la strada nello spazio cosmico. Avete delle domande da farci, qualcosa non è chiaro, per favore, scriveteci, cari amici.
VOCE: Il programma è stato curato dal commentatore della Voce della Russia Larissa Mugaljova specialista di problemi spaziali.