Da parecchio tempo questo blog affronta la tematica della transizione verso la radiofonia numerica (in Europa a standard Eureka 147/DAB) collocandola in un inevitabile (forse) contesto di switchoff. Senza una regolamentazione in tal senso è molto difficile che il settore, nelle sue articolazioni pubbliche e commerciali, possa affrontare gli investimenti necessari per mantenere, nella lunga fase di transizione incominciata all'inizio degli anni Novanta del secolo scorso con le prime sperimentazioni, che dovrà assicurare la continuità del servizio attraverso la duplice offerta analogica e digitale. Detta in altri termini, se la tecnologia DAB vuole affermarsiì, non potrà essere che a scapito della tecnologia dominante, la radio in FM.
Per questo non può non destare una certa impressione la copertina del numero appena pubblicato della rivista tecnica dell'EBU, l'unione dei broadcaster europei, che apre l'edizione di dicembre 2013 con uno strillo mai tanto esplicito: End in sight for FM? (La fine dell'FM è vicina?). Il numero di "tech-i" si focalizza sulla Norvegia, dove i network FM lasceranno definitivamente il posto al DAB+ già nel 2017. Ma nel frattempo, oltre alla Gran Bretagna, anche l'Olanda, che da poco ha effettuato il passaggio dal DAB al DAB+ torna a considerare uno switchoff che però potrebbe non verificarsi prima del 2023.
Stesso discorso per la Svezia, che potrebbe decidere lo switchoff entro il 2022 e dove addirittura era stata presa in considerazione una alternativa ancor più radicale: eliminare del tutto le infrastrutture radiofoniche terrestri, analogiche o digitali, e distribuire i contenuti direttamente via Internet, sfruttando le reti della telefonia cellulare. L'operatore infrastrutturale Teracom ha valutato l'ipotesi commissionando uno studio alla società di ricerche A-Focus e l'esito è ovviamente del tutto favorevole ai normali modelli diffusi uno-a-molti. Agli attuali livelli di costo la banda trasmissiva per una distribuzione dei programmi radiofonici in Svezia attraverso la rete IP è notevolmente più cara. A-Focus calcola che per i programmi pubblici e commerciali svedesi occorrerebbero 860 milioni di euro all'anno per far viaggiare la radio verso qualche milione di telefonini, contro una spesa compresa tra i 10 e i 20 milioni di euro per l'operatività di una buona infrastruttura broadcast terrestre. Questo a parte ogni altra considerazione sulla copertura delle reti 3G e 4G e sul numero di svedesi - superiore al milione a quanto sembra - che non utilizzano Internet.
La vecchia radio non tramonta come modello distributivo, ma fatti salvi grandi stravolgimenti che vadano a colpire il settore broadcast pubblico, forza trainante dell'evoluzione verso il DAB (e sono stravolgimenti che dopo la chiusura della greca ERT e della regionale valenciana RTVV non si possono escludere a priori), se il modello rimane la tecnologia analogica dovrà prima o poi cedere definitivamente il passo.
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