Una formula che ricalca, a partire dal nome, l'idea che aveva spinto Stefano Boeri a inventare Bookcity, fiera diffusa dell'editoria libraria che Milano contrappone da pochi anni al Salone torinese, disseminando la città di incontri con editori e scrittori. Radiocity Milano, iniziativa lanciata da Filippo Solibello di Rai Radio 2, non è altrettanto diffusa, o almeno lo è in un senso molto diverso. Un luogo che ospita la manifestazione c'è: la Fabbrica del Vapore, a due passi dalla vibrante Chinatown di via Paolo Sarpi. In compenso sono le radio protagoniste a rilanciare i contenuti del nuovo festival della radiofonia attraverso i loro programmi. Alcune hanno allestito uno studio mobile nel piazzale della Fabbrica, per produrre direttamente, con la partecipazione del pubblico, i contenuti.
Al suo debutto quest'anno Radiocity (il festival si conclude domani, 15 marzo, con un atteso incontro con la responsabile di BBC Radio, Helen Boaden), tradisce qualche sintomo della sindrome da prima edizione. Le emittenti rappresentate potevano essere più numerose, le cose da fare e ascoltare più stimolanti, la discussione più animata. Ma tra eventi e pubblico convenuto gli organizzatori potranno sicuramente dirsi soddisfatti, l'idea appare valida, è ragionevole aspettarsi che come è avvenuto per Bookcity, anche Radiocity possa crescere e imporsi come appuntamento regolare. A latere del festival, si stanno svolgendo alla Fabbrica del Vapore i lavori di FRU2015, il festival delle stazioni universitarie promosso dalla loro federazione Raduni (una trentina le webradio accademiche rappresentate). Quest'anno il FRU propone come sempre una serie di seminari e il concorso per giovani talent radiofonici. Ho assistito, in parte, alla selezione dei concorrenti, dopo aver ascoltato nel pomeriggio l'incontro con Renzo Arbore.
La mia impressione è positiva, ci sono molte cose buone in Radiocity, a partire dalla sede, con i suoi scenari di archeologia industriale che mi sembrano molto appropriati. Quanto a contenuti, c'è ancora parecchio da fare, ma temo che questo discorso si applichi in generale anche alla radiofonia in Italia, da troppo tempo povera di sperimentazione. Forse è il caso di dare più spazio al mondo delle emittenti non nazionali con vocazione informativa e di servizio. Altrimenti tutto si riduce all'esaltazione della cifra stilistica da conduttore dei grandi network, una cifra che non è cambiata da 40 anni. Mi è un po' dispiaciuto ritrovare questo stile - la parlantina a raffica, la generale vacuità, la dittatura playlist compilata dalle grandi case discografiche - nei provini del talent show di FRU2015, come se ancora oggi l'unico possibile sbocco per l'aspirante conduttore radiofonico debba per forza di cose essere una scrittura presso le varie 105, RDS o Deejay. Per fortuna, anche per merito dei visitatori a Radiociy si respira un clima positivo, aperto a una maggiore creatività.
Un incontro piacevole è stato quello con Ermanno Bechis, giovane scienziato della comunicazione formatosi a Torino e all'università di Leicester, collaboratore di webradio e autore di un programma, New-Beat (diffuso in syindication da quattro webradio piemontesi). Il programma di Ermanno, che si articola anche in veri e propri happening dal vivo, è un intelligente ibrido che fonde music discovery e discussione sulla street art. Malgrado un certo arroccamento su modalità che hanno fatto il loro tempo, Radiocity dimostra che la radio ha ancora la volontà e le capacità di cambiare.
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