Le emittenti radiofoniche locali sono in una situazione economica molto difficile, con una contrazione degli introiti pubblicitari tre volte più ingente rispetto a quella che già pesa sui network radiofonici nazionali, e il presidente dell'associazione REA, Antonio Diomede scrive al ministro dello Sviluppo economico per annunciare una giornata di protesta convocata per il 21 giugno a Roma, davanti alla sede del dicastero.
Diomede dichiara di rivolgersi al governo per «rappresentare la gravissima situazione economica in cui versa la piccola e media emittenza radiotelevisiva locale la quale, nel corso dell’ultimo trimestre, ha registrato una fortissima contrazione della pubblicità pari al 29,5%, vale a dire 10,5 punti ancor meno della perdita registrata nelle grandi reti nazionali per effetto, com’è noto, della stagnazione dei mercati. Il presidente REA, che riunisce 420 emittenti radiotelevisive, ricorda che a sostegno del pluralismo informativo sancito dall’ordinamento costituzionale, la legge prevede alcune misure di sostegno economico di cui alla legge 28 dicembre 2001, n. 448 da erogare secondo modalità e criteri di attribuzione impartiti nel Regolamento di cui al Decreto del Ministro delle Comunicazioni di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, n. 225 del 1 ottobre 2002. «Allo stato dei fatti - scrive Diomede, la erogazione dei contributi alle radio locali è costantemente in ritardo di oltre tre anni nonostante le proteste delle emittenti sfociate nell’atto di diffida del 19 dicembre 2009 e nell’azione giudiziaria TAR del 7 febbraio 2010.»
Purtroppo è così, dopo lo sconvolgimento dell'assetto televisivo avvenuto con una transizione al digitale terrestre presentata con toni trionfalistici ma piena di risvolti negativi per le emittenti locali, adesso sono le piccole stazioni radio a lanciare un grido d'allarme. Spesso i loro segnali sono schiacciati tra quelli molto potenti diffusi dalle sorelle maggiori ma è soprattutto il pessimo quadro congiunturale della pubblicità locale, inserito nel contesto di crisi generalizzata delle attività commerciali, a preoccupare. Le radio private italiane medio-piccole, rappresentano un patrimonio ormai storico ma sempre vitale di pluralismo e cultura localista, sono voci importanti per la collettività che ora rischiano di soffocare per mancanza di spazio e di risorse. Si potrà obiettare che il mercato sta esercitando in modo brutale quel minimo di selezione naturale che in uno spettro herziano ben regolamentato avrebbe imposto fin da subito dei precisi limiti allo sviluppo del settore. Ma il punto fondamentale è cercare di attenuare il rischio di disertificazione cui si sta andando incontro. Non è troppo tardi per inserire dei criteri di pianificazione delle frequenze più equi, magari partendo una buona volta da una analisi di come vengono oggi utilizzate le risorse dell'FM. E si può anche pensare di trasformare le misure di sostegno economico di cui parla Diomede in precisi incentivi alla digitalizzazione, anche della radiofonia locale. Una sorta di legge per la rottamazione dell'analogico, che premi le emittenti locali interessate ad assicurare a se stesse e ai proprio ascoltatori un futuro.
3 commenti:
La transizione al digitale per le emittenti radiofoniche locali sarebbe la fine. Sopravviverebbero, forse, soltanto le grosse realtà regionali con le spalle coperte da una proprietà attiva non soltanto nel campo editoriale. Tutte le altre, ovvero la stragrande maggioranza, si troverebbero costrette a perdere i diritti sulle frequenze analogiche attualmente esercite (e quante emittenti, ancora oggi, sistemano i bilanci cedendo impianti come fossero rami d'azienda) oltre che a dover prevedere ingenti investimenti nella transizione al digitale con un piano di ammortamento a lunghissima scadenza.
Poi, sinceramente, non mi immagino proprio le emittenti locali consorziarsi per gestire un mux Dab quando sono ben note le ataviche rivalità esistenti tra esse nel medesimo bacino di servizio e sule quali si potrebbe riempire un libro di aneddoti.
La vera soluzione per l'emittenza locale è giungere, finalmente, ad una reale pianificazione dello spettro radioelettrico. Che si potrebbe ottenere, semplicemente, riducendo le potenze impiegate. Oggi ci sono kilowatt in gioco per coprire un raggio di pochi chilometri, follie allo stato puro e consumi alle stelle con conseguente aggravio sui bilanci.
Tutti, dal primo all'ultimo broadcaster, dovrebbero essere obbligati a ridurre le emissioni in antenna ad un decimo dei valori attuali. Come d'incanto la situazione, anche per l'ascoltatore, migliorerebbe all'istante.
Purtroppo in Italia non si arriverà mai ad una efficace ottimizzazione dello spettro radioelettrico in FM perché i network - e di conseguenza la politica - non sono interessati a ciò. Loro preferiscono continuare, come da legge Mammì in poi, a vivere in questa sorta di far west dell'etere dove la mancanza di controlli efficaci (e di relative sanzioni) rende possibile ogni abuso, soprattutto nei confronti dell'emittenza locale.
La definizione "locale" è abbastanza ampia. Ci sono realtà radiofoniche molto radicate su specifiche città e perfettamente strutturate che potrebbero tranquillamente inserirsi in un multiplex gestito da un operatore aperto. Ci sono anche stazioni davvero microscopiche che tuttavia soffrirebbero comunque per l'impossibilità di ricoprire le spese. Una forma di comunicazione può e deve essere sostenuta con le risorse pubbliche, a patto però che siano disposte a innescare un ciclo di rinnovamento dell'intero sistema e francamente non ha senso che certe stazioni mantengano la stessa impronta che avevano nel 1975. Non è un caso se in Francia il ritardo subito dal digitale DAB sia legato proprio all'opposizione da parte dei grandi network, spaventati dai livelli degli investimenti necessari per la digitalizzazione, mentre le radio locali sono molto favorevoli. Se l'Europa non andrà completamente a scatafascio la transizione alla radiofonia digitale sarà inevitabilmente legge (il che ovviamente non esclude la possibilità di lasciare in FM alcune tipologie di stazioni). Tanto vale cominciare a muoversi per tempo e trovo giusto che il settore sia disposto a mettersi un po' in gioco.
Personalmente sono stato entusiasta del Dab sin dagli albori, tanto da aver montato in auto (dicembre 1998) il primo ricevitore consumer Blaukpunkt (D-Fire 101 controllato da una Toronto RDM128, reperti storici ancora in magazzino!) quando all'epoca nell'area di Milano si ricevevano soltanto (con frequenti interruzioni di servizio) le emittenti Rai e quelle del bouquet di Club Dab. Ancora oggi sulle auto ho ricevitori Dab+.
Però non posso esimermi dal rilevare che il Dab, per ben due volte in Italia, è stato un fallimento totale. La prima alla fine degli anni novanta: la copertura era deficitaria, ristretta alle aree metropolitane, ed in commercio i ricevitori si trovavano solo su ordinazione e a prezzi folli. La seconda nel 2007 quando, nonostante lo strombazzato annuncio di un network nazionale circa l'imminente copertura totale della penisola in tecnologia digitale, tutto rimase lettera morta: scarsissimo interesse del pubblico, nonostante articoli di stampa, e nuovamente difficoltà nel reperire i ricevitori.
Bisogna dire, a onor del vero, che il Dab dell'epoca, codificato in Mpeg1 Layer 2, era qualitativamente pietoso.
Ora la radio digitale torna alla carica con la nuova codifica in AAC, certamente più performante ma ancora bisognosa di un bitrate considerevole per eguagliare le prestazioni qualitative di una emissione FM adeguatamente processata. Ciò è quanto ho testato di persona con un Orban 8600 Hd ed una emissione simultanea Fm e Dab+.
Sarà un nuovo fallimento? In Italia probabilmente sì, se non si interverrà a livello legislativo con una transizione imposta dall'alto, come è stato per il passaggio dalla tv analogica al DVB-T. E se, sul versante editoriale, non ci sarà un adeguato impegno per l'innovazione.
In Norvegia, dove lo spegnimento dell'emissione radiofonica analogica è stato programmato per il 2017, si sono dati tre anni di tempo per il passaggio. Ovvero per tre anni le emittenti dovranno sostenere il doppio costo della trasmissione analogica e digitale.
Quante radio locali in Italia riuscirebbero attualmente nell'impresa, senza avere immediati benefici diretti?
E' vero che la transizione al digitale potrebbe essere anche un'occasione per ripensare e rilanciare il media radiofonico implementando nuove forme comunicative (si pensi al Dmb) e di interazione con gli ascoltatori. Ma tutto ciò presuppone, alle spalle, la presenza di un editore e di un progetto editoriale. Oggi, purtroppo, per una lunga serie di motivi che sarebbe troppo lungo elencare, c'è una parte consistente dell'emittenza radiofonica locale che è ridotta a stazioni fantasma, senz'anima: un computer con playout in onda, notiziari nazionali e programmi preconfezionati scaricati da internet e pubblicità, quando si riesce a raccoglierla; zero presenza sul territorio di riferimento. Fatte le doverose proporzioni, è come se esistesse un quotidiano locale cartaceo composto interamente con testi e foto forniti da agenzie di stampa.
Spiace doverlo scrivere, ma forse la transizione al digitale potrebbe essere davvero l'occasione per eliminare questi simulacri di radio.
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