Secondo il Blog di Medianetwork, programma di Radio Netherlands sulle onde corte e altri media, sarebbero in via di risoluzione i problemi finanziari che hanno determinato la sospensione delle trasmissioni in onde medie di Big L Radio London, emittente satellitare di Ray Anderson. L'imprenditore della radio aveva attivato nel maggio scorso una frequenza, 1395 kHz, affittata da Nozema, la Raiway olandese, che trasmetteva appunto dai Paesi Bassi. Ma a settembre, a causa delle bollette non pagate, Nozema aveva chiuso i rubinetti e Big L ha dovuto rinunciare alla copertura terrestre. Oggi Anderson sostiene di aver trovato nuovi finanziatori del suo progetto, che rimanda a un'altra, ben più mitica Radio London, attiva negli anni Sessanta da un mercantile ancorato al largo delle acque territoriali britanniche (erano anni in cui la radiofonia privata era anche e soprattutto pirata e in cui gli ascoltatori cercavano alternative musicali dalle onde della extraterritoriale Radio Luxy). Anderson non è nuovo a certe imprese. Nel 1997, in occasione del trentennale dalla chiusura forzata della vera Big L, si fece concedere dall'Authority inglese una licenza temporanea (RSL) per una trasmissione commemorativa, a bordo di un'altra nave. Poi è venuto il lancio del canale Internet e satellitare, su Sky. Mesi fa il primo tentativo di copertura, serale, con una frequenza radiofonica terrestre, ma le cose, come si è visto, andarono male.
Riuscirà davvero Big L a tornare sulle onde medie? E soprattutto, ha ancora senso per una emittente prettamente musicale e commerciale, una banda di frequenze sparita dalla prassi e dalla memoria di milioni di radioascoltatori europei? Entrambe le cose sono piuttosto dubbie. Non si capisce perché gli investitori pubblicitari dovrebbero dar soldi a una stazione che decide di operare non già in modulazione di frequenza, ma sui 1395 kHz, in una banda che neppure le nostre nonne, passate in massa su Radio Maria, ricordano più di aver usato da bambine. Le onde medie in Europa sopravvivono, forse, in nazioni come la Spagna, dove lo spettro è sempre stato affollato di offerte radiofoniche pubbliche e private, e forse nella stessa Gran Bretagna. Ma anche in queste due nazioni di grandissima tradizione radiofonica, la qualità dell'FM ha fatto praticamente piazza pulita dei vecchi ricevitori e nessun essere pensante si metterebbe ad ascoltare la musica rock sulle onde medie, magari in autoradio. Pochi anni fa, un network privato tedesco, Mega Radio, pensò di lanciare sulle medie un canale giovanilista. Fallimento completo e chiusura della stazione.
Eppure molti pensano ancora di poter "rivitalizzare" il mezzo. In Francia, il Csa, l'authority locale, ha lanciato nel 2003 un piano di rilancio pensato anche per sfuggire alla saturazione della banda degli 88-108 MHz (se fossero in Italia forse utilizzerebbero il bazooka). Sono state concesse numerose licenze utilizzando canali abbandonati da Radio France. Con quali risultati in termini di ascolto? Difficile saperlo perché in questo caso il rilancio sembra molto artificioso, dettato più da ragioni culturali e politiche che da precise esigenze di mercato. I francesi hanno ritenuto opportuno riattivare antenne che l'ente pubblico aveva dismesso, forse con la nobile intenzione di favorire una maggiore diversificazione dell'offerta.
Ma le analoghe decisioni prese dalla Rai nel maggio del 2004 (e discussa con grande disappunto, ma forse con non troppa partecipazione, su forum come Amici di Radio 3 e Idearadio) e da altri enti nazionali e privati europei prima e dopo la Rai, verso un graduale smantellamento delle onde medie deve pur far capire qualcosa ai regolatori. I quali hanno anche avanzato l'idea che forse le onde medie potrebbero rinascere sull'onda degli standard digitali e dunque su una rinnovata qualità dei segnali. Anche qui è tutto da vedere. Le onde medie vengono dimenticate solo perché l'FM "suona" meglio? Se anche così fosse, niente autorizza a pensare che un rilancio qualitativo (sempre supponendo che il digitale lo sia), coincida con un ritorno di interesse. E la qualità dei programmi non interessa a nessuno? Dopo i fenomeni di concentrazione e di cessione di frequenze dalle stazioni FM locali e dai network regionali a quelli nazionali, in Italia ci ritroviamo con un etere FM sicuramente saturo... Di programmi tutti dannatamente uguali. Quello radiofonico, analogico o digitale che sia, è un mezzo da bacini di utenza estesi, vuoi su scala locale, vuoi a livello nazionale. Digitalizzando le frequenze oggi disponibili si arriverebbe a una potenziale moltiplicazione dell'offerta (comunque non paragonabile a quella offerta dalla televisione digitale, satellitare o terrestre che sia). Davvero questo potenziale di offerta verrà riempito da un moltiplicarsi di programmi diversificati? O la soddisfazione dei gusti dei milioni di piccole nicchie preconizzati dalla teoria della Lunga Coda non è piuttosto meglio affidarla a mezzi intrinsecamente punto-punto come Internet?
Il mio, ovviamente, è un discorso molto di parte. Quello di uno che sulle onde medie preferisce cercare di ascoltare segnali lontanissimi e che vede come il fumo negli occhi ogni possibile interferenza europea. Ma è un discorso su cui varrà presto la pena di ritornare.
Riuscirà davvero Big L a tornare sulle onde medie? E soprattutto, ha ancora senso per una emittente prettamente musicale e commerciale, una banda di frequenze sparita dalla prassi e dalla memoria di milioni di radioascoltatori europei? Entrambe le cose sono piuttosto dubbie. Non si capisce perché gli investitori pubblicitari dovrebbero dar soldi a una stazione che decide di operare non già in modulazione di frequenza, ma sui 1395 kHz, in una banda che neppure le nostre nonne, passate in massa su Radio Maria, ricordano più di aver usato da bambine. Le onde medie in Europa sopravvivono, forse, in nazioni come la Spagna, dove lo spettro è sempre stato affollato di offerte radiofoniche pubbliche e private, e forse nella stessa Gran Bretagna. Ma anche in queste due nazioni di grandissima tradizione radiofonica, la qualità dell'FM ha fatto praticamente piazza pulita dei vecchi ricevitori e nessun essere pensante si metterebbe ad ascoltare la musica rock sulle onde medie, magari in autoradio. Pochi anni fa, un network privato tedesco, Mega Radio, pensò di lanciare sulle medie un canale giovanilista. Fallimento completo e chiusura della stazione.
Eppure molti pensano ancora di poter "rivitalizzare" il mezzo. In Francia, il Csa, l'authority locale, ha lanciato nel 2003 un piano di rilancio pensato anche per sfuggire alla saturazione della banda degli 88-108 MHz (se fossero in Italia forse utilizzerebbero il bazooka). Sono state concesse numerose licenze utilizzando canali abbandonati da Radio France. Con quali risultati in termini di ascolto? Difficile saperlo perché in questo caso il rilancio sembra molto artificioso, dettato più da ragioni culturali e politiche che da precise esigenze di mercato. I francesi hanno ritenuto opportuno riattivare antenne che l'ente pubblico aveva dismesso, forse con la nobile intenzione di favorire una maggiore diversificazione dell'offerta.
Ma le analoghe decisioni prese dalla Rai nel maggio del 2004 (e discussa con grande disappunto, ma forse con non troppa partecipazione, su forum come Amici di Radio 3 e Idearadio) e da altri enti nazionali e privati europei prima e dopo la Rai, verso un graduale smantellamento delle onde medie deve pur far capire qualcosa ai regolatori. I quali hanno anche avanzato l'idea che forse le onde medie potrebbero rinascere sull'onda degli standard digitali e dunque su una rinnovata qualità dei segnali. Anche qui è tutto da vedere. Le onde medie vengono dimenticate solo perché l'FM "suona" meglio? Se anche così fosse, niente autorizza a pensare che un rilancio qualitativo (sempre supponendo che il digitale lo sia), coincida con un ritorno di interesse. E la qualità dei programmi non interessa a nessuno? Dopo i fenomeni di concentrazione e di cessione di frequenze dalle stazioni FM locali e dai network regionali a quelli nazionali, in Italia ci ritroviamo con un etere FM sicuramente saturo... Di programmi tutti dannatamente uguali. Quello radiofonico, analogico o digitale che sia, è un mezzo da bacini di utenza estesi, vuoi su scala locale, vuoi a livello nazionale. Digitalizzando le frequenze oggi disponibili si arriverebbe a una potenziale moltiplicazione dell'offerta (comunque non paragonabile a quella offerta dalla televisione digitale, satellitare o terrestre che sia). Davvero questo potenziale di offerta verrà riempito da un moltiplicarsi di programmi diversificati? O la soddisfazione dei gusti dei milioni di piccole nicchie preconizzati dalla teoria della Lunga Coda non è piuttosto meglio affidarla a mezzi intrinsecamente punto-punto come Internet?
Il mio, ovviamente, è un discorso molto di parte. Quello di uno che sulle onde medie preferisce cercare di ascoltare segnali lontanissimi e che vede come il fumo negli occhi ogni possibile interferenza europea. Ma è un discorso su cui varrà presto la pena di ritornare.
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