Con la costituzione del consiglio direttivo e del comitato tecnico e la presentazione alla stampa avvenuta nella tarda mattinata di oggi nella sala "Alta Definizione" della sede Rai di corso Sempione, la società Tavolo Editori Radio ha varato ufficialmente le sue attività. Obiettivo "entro il 2017": definire le tecnologie, le modalità e i o gli istituti che permetteranno, a cinque anni dalla dismissione di Audiradio, di avere in Italia un nuovo strumento di rilevamento dell'audience radiofonica. Uno strumento che come ha sottolineato il presidente di Tavolo Editori Radio Nicola Sinisi (in carica per tre esercizi della società fino al 2018), torna finalmente sotto il controllo di tutti gli editori radiofonici nazionali e di 250 emittenti locali rappresentate dalle associazioni Aeranti Corallo e FRT. Il capitale della srl ammonta a 110 mila euro, suddivisi in 17 mila versati da Radio Rai, 16 mila 500 euro versati da ciascuna delle due associazioni di emittenti locali più le analoghe quote conferite da Elemedia, Sole 24 Ore, Kiss Kiss, Rti R 101, RDS, RTL 102.5, Radio Italia e Finelco. Massimiliano Montefusco, di RDS, ha aggiunto che le intenzioni sono quelle di misurare non solo numeri e durata dell'ascolto, ma anche le modalità di fruizione di un mezzo che secondo Sinisi è l'unico, tra i mass media storici, a saper mettere radici su tante piattaforme: radio analogica, DAB, Web, tv terrestre e satellitare, «senza dimenticare l'ascolto differito dei podcast.»
È partito un po' a rilento, l'incontro di stamattina con i giornalisti, con Sinisi, che è anche direttore di Radio Rai, quello che ha preso il posto di Bruno Soccillo, stranamente a disagio e poco comunicativo. Poi, con una buona dose di spigliatezza iniettata da Mario Volanti di Radio Italia, Marco Rossignolo di Aeranti e Massimiliano Montefusco di RDS, gli editori e le associazioni seduti al tavolo della conferenza (tutti ad eccezione di Lorenzo Suraci di RTL, che ha preferito sedersi tra il pubblico, un po' defilato (un primo sintomo di tensione interna?), hanno risposto meglio alle sollecitazioni dei colleghi.
La curiosità nei confronti di quella che potremmo chiamare "Audiradio 2 la vendetta" era notevole, ma la stampa specializzata e i quotidiani hanno dovuto accontentarsi di una manciata di dettagli e qualche retroscena. Anche di carattere storico. Come quello di Volanti, che rispondendo a una domanda di Italia Oggi sulle previsioni relative alle tecnologie e costi della futura indagine ha voluto precisare che l'esperienza di Audiradio non si era esaurita per colpa delle divisioni sorte in merito alle tecnologie di rilevamento da utilizzare. Diatribe che hanno fatto da scintilla in un clima già molto agitato, ha detto Volanti, aggiungendo che se Audiradio spendeva 6 milioni di euro all'anno per le sue indagini, oggi gli editori investono 4 milioni e mezzo Qual è il prezzo giusto in un mercato che non arriva a 400 milioni di euro di valore pubblicitario, si è chiesto Valenti? Oltretutto per acquisire dati che non convincono. «Perché nelle nazioni europee la radio viene ascoltata da una percentuale di popolazione mediamente superiore all'80% mentre i numeri di RadioMonitor dicono che la penetrazione in Italia è solo del 66%?» Il punto di partenza del nuovo rilevatore, ha detto in proposito Sinisi, sarà la grande ricerca commissionata a Gfk Eurisko e Ipsos nel novembre del 2015, una indagine che aveva stimato nell'84% la percentuale di italiani che ascoltano la radio in una delle sue varie incarnazioni.
Nessuno oggi ha voluto sbilanciarsi sulle metodologie su cui si baseranno le rilevazioni del Tavolo. Però uno dei primi punti all'ordine del giorno della prima riunione del CdA della società, è stata l'analisi di un ampio studio di benchmark che ha messo a confronto i sistemi di rilevamento radiofonico utilizzati nelle nazioni europee più Stati Uniti e Canada. Impossibile dire oggi come funzioneranno le indagini firmate Tavolo Editori Radiofonici. Tra diari, Cati, metering e loro combinazioni le valutazioni spettano al comitato tecnico: sedici esperti scelti tra gli editori associati che potranno ovviamente avvalersi di consulenti esterni. Parlando con Radiopassioni alla fine della conferenza, Rossignoli ha precisato che la presidenza del comitato tecnico verrà affidata alternativamente a un esponente "nazionale" e ad uno locale. Con il loro aiuto, gli editori della radio sapranno prendere le necessarie decisioni collegiali, ha assicurato Sinisi.
La slide con la tabella dei diversi sistemi di rilevamento
adottati in Europa, Stati Uniti e Canada, discussi oggi nel corso
della prima riunione del CdA di Tavolo Editori Radio.
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Nel corso della discussione con i giornalisti è emerse un tema non marginale: Tavolo Editori Radio non vede al momento alcun tipo di partecipazione degli investitori pubblicitari, leggasi dell'UPA. n realtà, ha detto ancora il direttore di Radio Rai, i contatti con l'Upa ci sono stati, ma al momento non si sono tradotti in un formale accordo di partecipazione. Le porte, ha concluso Sinisi, restano aperte e in generale il Tavolo, per il bene di un mezzo che oggi vale circa 360 milioni di spesa pubblicitaria, intende impostare le sue strategie sul dialogo e la trasparenza. In effetti, se ci si confronta con analoghe esperienze in mercati maturi come la Gran Bretagna, il mondo della pubblicità partecipa direttamente alle decisioni tecniche in materia di rilevamenti. La società Rajar, che dal 1992 misura l'audience britannica della radio, è costituita da un board misto BBC-private (riunite nel RadioCentre) e da un Technical Management Group in cui siede anche la "advertising community".
Alla fine della conferenza, ho approfittato per sollecitare a Rossignoli un parere sullo stato di avanzamento dei piani italiani per il DAB+. «La situazione non è esattamente ferma - ha precisato il rappresentante di Aeranti Corallo. Agcom ha annunciato o sta per annunciari i piani relativi all'area di Torino, manche delle province toscane, umbre, in Sicilia. Il dubbio riguarda semmai le regioni della fascia adriatica da nord a sud, dove bisogna tener conto dei problemi di interferenza con i servizi delle nazioni confinanti. Un modo per risolvere la questione c'è: liberare definitivamente il blocco 13, perché 10 e 11 sono condivisi con la tv.» Senza tali risorse radioelettriche si rischia secondo Rossignoli di avere un mercato del DAB a metà, con un bacino d'ascolto balcanizzato. Una situazione certo non stimolante per i produttori di ricevitori e per le case automobilistiche, un blocco psicologico da cui non è pensabile uscire mandando sul digitale solo i grandi network, non senza contenuti e servizi esclusivi e appetibili. Continuando di questo passo il DAB+ rischia di non decollare mai e nel frattempo, ricorda Rossignoli, cresce la penetrazione e l'interesse nei confronti delle tecnologie alternative al DAB, in particolare le reti mobili a larga banda.
Che dire? I valori del nostro mercato radiofonico sono obiettivamente modesti, a fronte di un mezzo che continua a informare, coinvolgere, emozionare oltre otto italiani su dieci. La disponibilità di dati quantitativi sull'ascolto di questo mezzo nelle sue diverse articolazioni può rappresentare un salto qualitativo importante per tutti: editori, ascoltatori, investitori. Ma questo mercato è pronto a un tale salto? La mia impressione è che a 40 anni dalla rivoluzione dell'emittenza privata, malgrado qualche esempio significativo, la radio italiana ancora non sa parlare il linguaggio della modernità, è troppo avvitato su se stesso, ingessato in un sistema di reciproche sinecure. Il classico caso dell'uovo sodo di oggi preferito alla succulenta gallina ripiena di domani. Un sistema di tiranti e contrappesi immutabili, che del resto vediamo tristemente riflesso nel modo in cui in Italia gestiamo i diritti musicali, o l'evoluzione delle infrastrutture di rete. Il mercato "di quelli che ci sono adesso", una torta destinata a restare piccola e soprattutto a diventare stantìa.
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