Il "grafico del giorno" del sito di data journalism Statista si basa su informazioni Edison e conferma il ruolo maggioritario che la piattaforma radiofonica analogica (più forse qualche decina di migliaia di apparecchi HD Radio, ma i dati non lo dicono) continua ad avere tra gli automobilisti americani. L'ascolto tradizionale della radio è in declino a fronte di una maggiore penetrazione dell'ascolto online, ma a bordo dell'auto, almeno negli Stati Uniti, funziona ancora benissimo. L'84% dei guidatori accende l'autoradio, a fronte di un modesto 21% che consuma contenuti streaming. Più o meno la stessa percentuale utilizza servizi satellitari, che tra parentesi registrano un record: l'operatore SiriusXM proprio oggi ha dichiarato il superamento della soglia di 30 milioni di abbonati dopo averne raccolti 465 mila solo nel primo trimestre del 2016.
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Probabilmente questo zoccolo duro a quattro ruote vale anche per l'Italia, anche se mi piacerebbe avere dei dati più precisi. La questione del consumo di servizi streaming come le Web radio anche in mobilità è fondamentalmente legata alla copertura offerte dalle reti mobili e al costo percepito da chi ascolta. Nell'ormai ultradecennale lotta tra modello tradizionale e piattaforme IP (broadcast versus broadbad), un aspetto non trascurabile continua a essere quello della sostanziale gratuità della radiofonia che abbiamo conosciuto finora e i costi che nel caso delle Webradio sono ripartiti tra chi trasmette e chi riceve (ok, chi riceve sul proprio telefonino deve considerare il fatto che questo dispositivo serve per un intero portafoglio di servizi - telefonate, messaggistica, navigazione, ascolto in streaming - che non può non avere un costo). Su bacini di ascolto molto estesi il modello broadcast è senza dubbio vincente, tanto da essere adottato anche da sistemi di distribuzione come LTE, con i protocolli MBMS, Multimedia Broadcast Multicast Service (a proposito, Fabrizio Mondo, inventore di Zeptle, la piattaforma di "orientamento" e accesso alle radio Web e tradizionali, ha meritoriamente tradotto la corrispondente voce per Wikipedia italiana).
Personalmente non vedo ragione di porre ostacoli all'adozione di modelli distributivi alternativi, ma nemmeno per credere che il futuro del broadcast, analogico o digitale che sia, debba necessariamente essere segnato, se non forse sul lunghissimo termine. In ogni caso è una discussione interessante, e l'online ha dalla sua un indubbio primato: quello della democratizzazione. Fare radio su Web è più che mai alla portata di tutto, mentre soprattutto in Italia, la radio convenzionale è ancora troppo ingabbiata in (non)regolamenti che favoriscono solo chi trasmette già. E si sta visibilmente annoiando, visti certi contenuti.
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