La politica alla radio negli Stati Uniti continua a battere sul ferro caldo dell'oggettivo squilibrio quantitativo tra emittenti apertamente conservatrici e di destra e commentatori "liberal". L'ultimo casus belli è rappresentato dalla nomina, in seno alla FCC, di Mark Lloyd come consulente e Chief Diversity Officer, una figura preposta a suggerire le misure favorevoli a una maggiore rappresentatività dei vari gruppi sociali nei media. L'altro giorno FoxNews ha "scoperto" - in realtà tutti i documenti sono pubblici - che Mark Lloyd, giornalista che ha lavorato per NBC e CNN e che insegna al Public Policy Institute della Georgetown University, non il primo cretino che passa, ha contribuito nel 2007 alla stesura di un documento "contrario" alla talk radio. La (non) notizia rientra nel dibattito sul possibile ritorno della Fairness Doctrine, la norma ora abrogata sulla par condicio nei media. Più volte gli esponenti della nuova amministrazione hanno ribadito che nessuno ha intenzione di rispolverare questa legge, ma ovviamente lo spauracchio della par condicio è diventato un cavallo di battaglia per i vari Limbaugh e compagni, apertamente interessati a creare un clima persecutorio.
Lo studio co-firmato da Lloyd era una semplice valutazione statistica in cui un gruppo di ricercatori calcolava che il 91% della programmazione nelle talk radio fosse ascrivibile a tendenze ultra-conservatrici. Alla fine il documento, intitolato The Structural Imbalance of Political Talk Radio, suggerisce delle possibili manovre correttive, senza peraltro citare in alcun modo la Fairness Doctrine o eventuali "tetti" al numero di ore di trasmissione La via d'uscita da questa situazione di squilibrio, secondo Lloyd e gli altri autori dello studio promosso dalla associazione Center for American Progress, passa per una maggiore attenzione al localismo, un controllo sul numero di stazioni controllabili, l'eventuale richiesta di contributi da parte degli editori commerciali in favore dell'emittenza pubblica. Insomma, nessun bavaglio ma un piccolo ritocco a una deregulation forse troppo spinta. Potete scaricare l'intero studio in formato PDF a questo indirizzo.
Come sappiamo benissimo noi italiani è sempre difficile stabilire il confine tra regole e mercato quando il "mercato" è quello della comunicazione, quando cioè ci sono in gioco gli strumenti capaci di influire più o meno direttamente sui meccanismi di creazione delle stesse regole. Negli Stati Uniti, dove esistono mille sotto-sistemi di controllo, è forse ancora più complicato, anche perché il partito di chi è favorevole alla deregulation può sempre portare come controesempio la stessa elezione di Obama, avvenuta nonostante il forte squilibrio segnalato nel report di Mark Lloyd. Se la talk radio è tanto schierata, evidentemente il suo target è molto stabile e i commentatori dell'ultra destra non riescono a spostare voti. Paradossalmente, chissà, una re-regulation potrebbe invece spingere l'elettorato verso destra. Forse i campioni ultraconservatori potrebbero chiederla, la Fairness Doctrine, invece di osteggiarla. Diverso è il discorso sul localismo, che personalmente mi sembra molto più serio e doveroso. Sarà interessante osservare come evolverà il dibatitto in merito negli Stati Uniti di Obama.
Lo studio co-firmato da Lloyd era una semplice valutazione statistica in cui un gruppo di ricercatori calcolava che il 91% della programmazione nelle talk radio fosse ascrivibile a tendenze ultra-conservatrici. Alla fine il documento, intitolato The Structural Imbalance of Political Talk Radio, suggerisce delle possibili manovre correttive, senza peraltro citare in alcun modo la Fairness Doctrine o eventuali "tetti" al numero di ore di trasmissione La via d'uscita da questa situazione di squilibrio, secondo Lloyd e gli altri autori dello studio promosso dalla associazione Center for American Progress, passa per una maggiore attenzione al localismo, un controllo sul numero di stazioni controllabili, l'eventuale richiesta di contributi da parte degli editori commerciali in favore dell'emittenza pubblica. Insomma, nessun bavaglio ma un piccolo ritocco a una deregulation forse troppo spinta. Potete scaricare l'intero studio in formato PDF a questo indirizzo.
Come sappiamo benissimo noi italiani è sempre difficile stabilire il confine tra regole e mercato quando il "mercato" è quello della comunicazione, quando cioè ci sono in gioco gli strumenti capaci di influire più o meno direttamente sui meccanismi di creazione delle stesse regole. Negli Stati Uniti, dove esistono mille sotto-sistemi di controllo, è forse ancora più complicato, anche perché il partito di chi è favorevole alla deregulation può sempre portare come controesempio la stessa elezione di Obama, avvenuta nonostante il forte squilibrio segnalato nel report di Mark Lloyd. Se la talk radio è tanto schierata, evidentemente il suo target è molto stabile e i commentatori dell'ultra destra non riescono a spostare voti. Paradossalmente, chissà, una re-regulation potrebbe invece spingere l'elettorato verso destra. Forse i campioni ultraconservatori potrebbero chiederla, la Fairness Doctrine, invece di osteggiarla. Diverso è il discorso sul localismo, che personalmente mi sembra molto più serio e doveroso. Sarà interessante osservare come evolverà il dibatitto in merito negli Stati Uniti di Obama.
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