Uno degli snodi centrali del dibattito sull'applicazione delle tecnologie è l'usabilità, la "leggerezza" di quelle che dopo tutto sono derivazioni di una scienza complessa, dura, elaborata da esperti che spesso faticano a rendere perfettamente accessibili le loro invenzioni. Quella della radio è forse una delle invenzioni più leggere della scienza moderna, facile da capire e implementare, economica da convertire in un mercato di apparati, ricchissima se misurata sul piano delle conseguenze culturali, sociali e politiche. Ho trovato l'articolo che segue su All Africa, a proposito di uno studio ricavato dalla tesi di specializzazione di Ibrahima Sarr, massmediologo senegalese. Analizzando l'influenza dei media nella campagna presidenziale del 2000 in Senegal, Sarr ha potuto rendersi conto della capacità della radio di stimolare il dibattito in fasce di popolazione escluse, per povertà e analfabetismo, da fonti "elitarie" come la televisione e la carta stampata. Le radio comunitarie sono le uniche a parlare in lingua wolof e per ascoltarle basta una radiolina. "La miniaturisation des équipements avec le transistor, l'autonomie et la baisse des coûts des récepteurs, le maillage du territoire par les stations de radio, le décloisonnement linguistique par le recours à la langue wolof expliquent le succès de la radio au Sénégal," afferma Sarr.
Non è certo un'idea nuova, ma fa piacere che qualcuno se lo ricordi in un momento in cui la radio viene sempre presentata come sorella povera di media più blasonati, "ricchi", potenti e tendenzialmente digitali. Lo dovrebbero ricordare tutti coloro che cercano di aggiungere ulteriori strati di complessità sistemica attraverso la digitalizzazione della radio. Come se la leggerezza della radio analogica fosse un difetto, una tara di cui vergognarsi. Avverto già le vostre obiezioni: che differenza fa, per chi l'ascolta, se l'apparecchio radio è analogico o digitale. Anzi, il digitale è pieno di vantaggi, la trasmissione di testi e immagini, l'interazione con Internet...
Resta il fatto che fuori dai nostri ricchi mercati pubblicitari, che dobbiamo ringraziare per il sostentamento dato a un'industria dei contenuti radiofonici tanto eccellenti, la radio può avere una funzione assai più preziosa, può aiutare una nazione del terzo mondo a costruire una propria coscienza democratica. Un regalo di valore inestimabile che la "radio leggera" elargisce a fronte di un piccolo investimento in infrastrutture e apparecchi semplici ma perfettamente funzionali. Investimenti che col digitale si moltiplicano a dismisura, perché la catena diventa enormemente complicata, dal più piccolo pezzo di silicio al marketing dei piani di abbonamento. Anche quando il digitale ha un grande successo di pubblico (vedi il caso della telefonia cellulare), ci sono attori del mercato - gli operatori telefonici nel nostro esempio - completamente sommersi di debiti. Che tra parentesi stiamo finanziando noi.
Quando tra qualche tempo, entrando in negozio, dovremo decidere tra diversi standard digitali terrestri o satellitari, orientandovi a fatica tra multiplex DAB+ e DMB, televisione mobile, multicasting, compatibilità con sistemi operativi e altre amenità digitali, forse ci verrà voglia di emigrare in Senegal. Sarebbe davvero il colmo se le loro guardie di frontiera ce lo impedissero.
Non è certo un'idea nuova, ma fa piacere che qualcuno se lo ricordi in un momento in cui la radio viene sempre presentata come sorella povera di media più blasonati, "ricchi", potenti e tendenzialmente digitali. Lo dovrebbero ricordare tutti coloro che cercano di aggiungere ulteriori strati di complessità sistemica attraverso la digitalizzazione della radio. Come se la leggerezza della radio analogica fosse un difetto, una tara di cui vergognarsi. Avverto già le vostre obiezioni: che differenza fa, per chi l'ascolta, se l'apparecchio radio è analogico o digitale. Anzi, il digitale è pieno di vantaggi, la trasmissione di testi e immagini, l'interazione con Internet...
Resta il fatto che fuori dai nostri ricchi mercati pubblicitari, che dobbiamo ringraziare per il sostentamento dato a un'industria dei contenuti radiofonici tanto eccellenti, la radio può avere una funzione assai più preziosa, può aiutare una nazione del terzo mondo a costruire una propria coscienza democratica. Un regalo di valore inestimabile che la "radio leggera" elargisce a fronte di un piccolo investimento in infrastrutture e apparecchi semplici ma perfettamente funzionali. Investimenti che col digitale si moltiplicano a dismisura, perché la catena diventa enormemente complicata, dal più piccolo pezzo di silicio al marketing dei piani di abbonamento. Anche quando il digitale ha un grande successo di pubblico (vedi il caso della telefonia cellulare), ci sono attori del mercato - gli operatori telefonici nel nostro esempio - completamente sommersi di debiti. Che tra parentesi stiamo finanziando noi.
Quando tra qualche tempo, entrando in negozio, dovremo decidere tra diversi standard digitali terrestri o satellitari, orientandovi a fatica tra multiplex DAB+ e DMB, televisione mobile, multicasting, compatibilità con sistemi operativi e altre amenità digitali, forse ci verrà voglia di emigrare in Senegal. Sarebbe davvero il colmo se le loro guardie di frontiera ce lo impedissero.
La radio, principal instrument de démocratisation de la communication politique, selon un chercheur
Agence de Presse Sénégalaise (Dakar)
ACTUALITÉS
26 Juillet 2007
Publié sur le web le 26 Juillet 2007
(http://fr.allafrica.com/stories/200707261137.html)
By BK/AD
La radio constitue "le principal instrument de démocratisation de la communication politique au Sénégal", affirme Ibrahima Sarr, évoquant une "forte médiatisation de la vie politique" du pays.
"Nous pouvons soutenir sans courir le risque d'un désaveu" que ce médium "est le principal instrument de démocratisation de la communication politique au Sénégal", soutient-il dans un ouvrage récemment publié aux éditions L'Harmattan.
Tiré d'une thèse de doctorat nouveau régime soutenue en mars 2004 à l'université Paris II Panthéon-Assas, ce livre est intitulé : "La démocratie en débats: L'élection présidentielle de l'an 2000 dans la presse quotidienne sénégalaise".
"Si le traitement de la politique par les journaux et la télévision n'a intéressé , la plupart du temps, qu'une élite urbaine, la radio quant à elle a favorisé l'inclusion de larges groupes qui, jusqu'ici, ont souffert d'un +provincialisme linguistique+", a-t-il expliqué. Selon lui, "la miniaturisation des équipements avec le transistor, l'autonomie et la baisse des coûts des récepteurs, le maillage du territoire par les stations de radio, le décloisonnement linguistique par le recours à la langue wolof expliquent le succès de la radio au Sénégal"'.
"En outre, les populations analphabètes, jusque-là tenues à l'écart des débats politiques, ont maintenant l'opportunité, par le biais d'émissions interactives, de donner leurs points de vue sur les grandes questions nationales", écrit Ibrahima Sarr.
Pour lui, cette ouverture vers le public analphabète ne doit cependant pas "faire perdre de vue l'existence d'émissions politique en langue française. La forte médiatisation de la vie politique explique le recours aux professionnels".
Sur un autre plan, l'auteur souligne que le développement des canaux d'information "a beaucoup contribué à l'élargissement de l'audience de la communication politique avec la forte médiatisation de la vie politique".
"Les journaux sénégalais apparaissent très politisés puisqu'ils consacrent la plupart du temps leurs +unes+ aux acteurs politiques", a-t-il estimé, soulignant que c'est "en de rares occasions que la politique cède la vitrine de ces journaux à l'économie, au sport, ou aux faits de société".
"Malgré des tirages limités et malgré un lectorat évanescent, cette presse, dans le cadre de la circulation de l'information, va donner lieu à une diffusion plus large que celle entendue en terme de distribution", fait-il remarquer.
"Depuis 1994, avec la naissance de Sud FM (la première radio privée du Sénégal), les différentes stations de la bande FM se distinguent par des revues de presse en wolof pour capter une partie du public", argumente Ibrahima Sarr. Citant le journaliste Mame Less Camara, il poursuit : "les radios interagissent avec la presse écrite pour la rendre accessible à des secteurs jusque-là non concernés pour les questions de langue".
"On ne peut donc plus se contenter de limiter l'impact de la presse écrite en l'expliquant par des réalités que sont l'analphabétisme et la faiblesse du pouvoir d'achat. Il faut intégrer désormais le travail de traduction et de large diffusion que font maintenant les radios", précise le journaliste.
Ibrahima Sarr a été journaliste au quotidien Le Soleil (public) et à Sud Quotidien (privé). Il enseigne au CESTI depuis la soutenance en 2004 de sa thèse de doctorat, intitulé : "La démocratie en débats. L'élection présidentielle de l'an 2000 dans la presse quotidienne sénégalaise. Sémiologie d'une communication du politique. Perspectives pour une éducation aux médias".
Nessun commento:
Posta un commento