Hanno pacificamente dimostrato, davanti alla sede del governo di Belgrado, i dipendenti della redazione di Radio Serbia Internazionale - Radio Jugoslavia, che dovrebbe chiudere i battenti il prossimo primo di luglio. L'emittente, uno dei pochi servizi internazionali sopravvissuti in Europa sulle onde corte, è nata 79 anni fa e trasmette (per la verità in modo non sempre regolare) in una dozzina di lingue, tra cui l'italiano, su 6100 kHz dagli impianti di Bijeljina, località inserita nell'enclave della Repubblica Srpska dichiarata nei confini della Bosnia Erzegovina. La decisione di chiudere il servizio si inserisce nel quadro di una radicale manovra di privatizzazione, a sua volta iniziata per venire incontro alle pressanti richieste di Bruxelles e delle istitutuzioni di credito internazionali per l'erogazione di sostegni finanziari alla Serbia. I vari governi che si sono succeduti dopo la guerra in Jugoslavia e i bombardamenti della NATO hanno cercato di privatizzare l'economia serba per anni, ma solo nel 2014 una nuova legge ha innescato un meccanismo che dovrebbe portare alle cessione di centinaia di imprese statali, una ottantina delle quali nel settore dei media (informazioni qui sul sito della Privatization Agency). Le emittenti di Serbia e Vojvodina continueranno a erogare il servizio pubblico di RTS, ma solo dopo che il loro sostegno finanziario verrà tolto dal bilancio statale e inserito nel normale contesto della fiscalità. Il problema è che a quanto dicono i redattori di Serbia Internazionale, il loro non è più considerato servizio pubblico essenziale.
In effetti nessuno contesta che le intenzioni dei privatizzatori siano più che valide. Anche perché in parallelo in Serbia sono stati fatti significativi passi avanti nel campo della tutela della libertà di stampa e della difesa dei giornalisti. È stata creata per esempio, in collaborazione con l'ufficio Libertà dei Media dell'OSCE una commissione governativa per investigare su diversi omicidi che hanno coinvolto negli anni passati giornalisti come Dada Vujasinović, uccisa 21 anni fa, e Milan Pantić. L'assassinio di Slavko Ćuruvija, redattore e editore di un giornale, ha portato a degli arresti a più di 15 anni di distanza anche grazia a una efficace campagna di sensibilizzazione della Commissione. Con l'aiuto dell'agenzia Saatchi&Saatchi è stata realizzata una vera e propria azione mediatica, attraverso la pubblicazione in forma anonima di una delle tante lettere di minaccia ricevute quotidianamente dai giornalisti serbi (la lettera era assolutamente autentica, non così il realistico filmato in cui un uomo incappucciato ribadiva le sue promesse di morte). L'intera stampa serba ha rilanciato questa azione, prendendola estramemente sul serio, e solo dopo la Commissione governativa ha rivelato l'efficace simulazione. La campagna ha addirittura vinto un premio speciale al Festival della creatività pubblicitaria di Cannes del 2014.
Sarebbe davvero un peccato se dopo tutto questo dovesse restare in silenzio proprio il piccolo gruppo di redattori che cerca di tenere informato il mondo sulle vicende interne della loro nazione.
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