18 dicembre 2012

Giornata dei migranti 2012: da Lampedusa a Chiasso, per non dimenticare

Oggi,  il 18 dicembre, per le Nazioni Unite, è la Giornata internazionale dei migranti. Qui su Radiopassioni non è la prima volta che ricordo la ricorrenza: la prima è stata cinque anni fa. Da allora la situazione è solo diventata più complessa e per quanto riguarda l'Italia, con i suoi liquidi confini, le sue piccole isole meridionali gettate come schegge di promesse difficili da mantenere quasi a portata di remo di un mondo che si accontenta anche di queste promesse, il suo lungo lato esposto a oriente, il fenomeno delle migrazioni è - o dovrebbe essere - ai primi posti della classifica dei problemi nazionali da affrontare, in una chiave di maggiore equità, solidarietà e soprattutto di lotta all'indifferenza.
E invece cinque anni dopo quella mia prima segnalazione della Giornata, delle iniziative coordinate dalle ONG belga December 18 (in particolare la stazione Web Radio1812 e tutte le emittenti online e on air che vi partecipano direttamente con i loro programmi), di tutti gli altri eventi che troverete anche quest'anno nel calendario curato da Global Migrants Action, nonostante tutto questo succede ancora di ascoltare appelli come quello lanciato da Giusi Nicolini, combattiva neosindaco di Lampedusa. Ho letto in questi giorni la trascrizione delle parole che Giusi, con la sua bella cadenza siciliana, aveva pronunciato nella trasmissione di Radio 3 Fahrenheit (era il 7 novembre, la potete risentire qui) e ho pensato di dare il mio piccolo contributo cercando di farla circolare il più possibile. 

Sono il nuovo Sindaco delle isole di Lampedusa e di Linosa.
Eletta a maggio, al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa e questa per me è una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore. Abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai Sindaci della provincia per poter dare una dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme, perché il Comune non aveva più loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti una domanda: quanto deve essere grande il cimitero della mia isola?
Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l’idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l’inizio di una nuova vita. Ne sono stati salvati 76 ma erano in 115, il numero dei morti è sempre di gran lunga superiore al numero dei corpi che il mare restituisce.
Sono indignata dall’assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell’Europa che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra.
Sono sempre più convinta che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente. Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l’unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l’Europa  motivo di vergogna e disonore. 
In tutta questa tristissima pagina di storia che stiamo tutti scrivendo, l’unico motivo di orgoglio ce lo offrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai naufraghi, come è successo sabato scorso, ed avrebbe dovuto accorrere con le velocissime motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quelle motovedette vengono però efficacemente utilizzate per sequestrare i nostri pescherecci, anche quando pescano al di fuori delle acque territoriali libiche.
Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all’accoglienza, che dà dignità di esseri umane a queste persone, che dà dignità al nostro Paese e all’Europa intera. Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene  consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza.
Giusi Nicolini
E' davvero agghiacciante pensare che l'Europa del Nobel per la pace, dell'industrializzazione, di un benessere che la crisi attenua senza annullare, riesca a tollerare lo stillicidio dei corpi che il mare restituisce di malavoglia e che fanno addirittura fatica a trovare un pezzo di terra per una pietosa sepoltura. Eppure è quello che succede e continuerà a succedere a Lampedusa, malgrado i lodevoli sforzi degli abitanti e della loro nuova, coraggiosa rappresentante. Continuerà a succedere anche dopo la Giornata del migrante, ma intanto soffermiamoci a pensare almeno per qualche minuto a una tragedia che è anche il sintomo di un nostro fallimento generazionale, della nostra incapacità di perseguire e condividere gli stessi sogni di tanti "viaggiatori della speranza". 
Lasciatemi concludere citando il racconto dei ragazzi del Liceo di Mendrisio, il "Treno delle 8 e 47", trasmesso oggi dalla loro emittente Web Radio Lime in collaborazione con Radio Gwendalyn di Chiasso, uno degli attivi partecipanti al progetto di Radio1812. Il treno descritto in questo piccolo radiodocumentario parte ogni mattina dal confine italo-svizzero - dove ho personalmente assistito a tanti controlli, alcuni dei quali finiti con il brusco invito a scendere, armi e bagagli, per colpa di qualche problema con i passaporti e visti - e arriva fino a Lugano, senza proseguire. Un convoglio ideale per  le guardie di frontiera che devono smistare verso i centri di accoglienza di diverse località svizzere i migranti, legali e illegali, che a Chiasso riescono ad arrivare fortunosamente, a piedi, con l'autobus da Como, con i treni Tilo dall'Italia. Quel treno esiste per davvero, esistono davvero quei viaggiatori disorientati, sottomessi, così vividamente descritti dalle semplici parole dei giovani liceali di una delle nazioni più opulente della terra. Parte puntuale, come tutto in Svizzera, alle 8.47 del mattino. Tutto molto asettico, efficiente, distaccato, niente a che vedere con i vecchi barconi di Lampedusa e l'avvolgente disorganizzazione siciliana, che riesce a funzionare contro ogni umana aspettativa. Ma come per i barconi quello che conta è il carico del treno ed è un carico che gronda dolore e rimandi a una Europa povera e devastata, a treni guidati da efficienti europei che portavano verso le miniere e le fabbriche della ricostruzione. O che pochi anni prima conducevano a centri di accoglienza un po' particolari, verso quell'oblio che - chissà - vorremmo inghiottisse oggi anche i disperati che bussano alle nostre porte. Senza pensare che dimenticando loro dimentichiamo noi stessi e tutto tornerebbe a essere perduto.

1 commento:

mariu ha detto...

Segnalo il radiodocumentario di Antoinette Werner, Premio Canevascini 2011
Ricomincio da Chiasso
http://reteuno.rsi.ch/home/networks/reteuno/Il-documentario/2012/08/21/Ricomincio-da--.html