17 agosto 2009

Morte accidentale di un filosofo

Si può morire in molti modi, nessuno particolarmente stupido, o intelligente (parametri valutativi quanto mai vacui, nella fattispecie). Sui sentieri di montagna, si dice, si può morire per impreparazione, incidente o "semplice" fatalità. Quando giorni fa un caro amico mi ha chiamato al telefono, poco prima della partenza da Favignana, ho pensato che il fato che si era appena portato via Flavio si incastrasse ironicamente (diabolicamente?) con il suo mestiere di filosofo. Non lo vedevo da un po' ma con lui c'era sempre stata una strana sintonia. I contatti tra noi non risalivano propriamente agli anni del liceo, ma a diverso tempo dopo, quando con un gruppo di altri amici filosofi Flavio si era rivolto alla nostra piccola struttura di service editoriale per la pubblicazione di una rivista, "Itinerari filosofici". Una di quelle iniziative che dottorandi e docenti universitari e in nuce devono coltivare, in Ialia, nella speranza di accumulare gli indispensabili punteggi.
Era un vero teoretico, Flavio, scriveva di cose per me inarrivabili, era un grande esegeta di Heidegger, il più ermetico di tutti. Dopo la chiusura di Itinerari riuscì a entrare in dottorato a Padova e negli ultimi anni era ricercatore a Pavia, dove gli avevano affidato il corso di ermeneutica filosofica. Aveva una figlia grande, perché diversamente da noi si era sposato prestissimo. Quando ci si frequentava abbastanza assiduamente stava con una nuova fidanzata simpatica, ma la cosa non era andata avanti. Ne aveva incontrata un'altra ed era nato un secondo figlio, molto più piccolo della prima. Era appassionato di archeologia, ricordo i suoi racconti dagli scavi più esotici e amava andare in montagna, seriamente, da rocciatore esperto. All'inizio di agosto aveva portato il figlio a camminare, dalle parti di Crodo, nell'alta valle del Toce. Per fotografare il bambino - mi ha raccontato il mio amico - ha messo male un piede su un pietrone liscio ed è andato giù, forse sbattendo la testa, rovinando nelle acque alte, turbolente, del fiume. Sotto gli occhi del figlio, che ha dovuto dare l'allarme.
Nella sua pagina del sito di UniPavia leggo che il titolo preciso della sua tesi di dottorato era "Mondo, esistenza, verità. Ontologia fondamentale e cosmologia fenomenologica nella riflessione di Martin Heidegger". Sul sito Filosofiateoretica.it, della Statale di Milano, si trova per esempio un suo recente intervento a un convegno su Derrida. Flavio diceva di odiare la psicologia (nell'accezione filosofica del termine), le sue sonde erano rivolte alle verità assolute, alle radici del pensiero astratto, liscio e impenetrabile come quei pietroni sul Toce.

3 commenti:

soundsetting ha detto...

Leggo il profilo del filosofo sfuggito alla rappresentazione, lo sento parlare e vedo con quale disinvolta aderenza si tiene ancorato alla vetrosa parete della conoscenza teoretica. Ventose di pura passione. La pietra come solvente dell’anima sembra averlo sottratto alla vita nella maniera più cruda, sotto gli occhi del figlio. Dalla tua voce però si apprende che il suo rapporto con la natura era totale, oltre i limiti consentiti dalla finitezza; e che il suo pensiero era geometricamente coincidente con la struttura molecolare della pietra. Dopo un lungo cammino di vita anche il figlio lo capirà e potrà sentirsi sostenuto dalla figura del padre, il cui pensiero è ovunque. Grazie.

Andrea Lawendel ha detto...

Parlavo proprio ieri con l'amico che condivideva con me il carico dell'amicizia con Flavio e del lavoro prestato, ormai tanti anni fa, a quel gruppo di filosofi di belle speranze. Era stato ai funerali dove, mi raccontava, erano intervenuti alcuni colleghi, il preside di facoltà di Pavia... Quando Soundsetting parla di "aderenza" quasi molecolare, senza (chissà?) aver conosciuto Flavio, la sua intuizione mi appare inquietante. Aderenza è un termine di precisione più algebrica che semantica quando penso alla facilità - e sì, alla passione, alla pura letizia - con cui Flavio dirigeva verso l'esterno i dendriti del suo interno pensiero. Tutti prima o poi, perdiamo l'appiglio sulla parete liscia della vita. Pochi potranno dire di aver avuto familiarità con il senso dietro questa muraglia. Flavio, forse, era uno di loro. Lui apparteneva al senso.

Andrea Lawendel ha detto...

Fare un po' di promozione ad altri siti non mi disturba affatto - ammesso che RP con la sua piccola audience possa assicurare una qualche visibilità. Non deve necessariamente trattarsi di siti diciamo così "on topic". Nel caso di Dislocazione ho esitato un po', perchè non capivo e sinceramente non so ancora se capisco, le intenzioni di "giuseppesprovieri" Che comunque non ha voluto restare proprio del tutto anonimo (trascurando il fatto che Giuseppe Sprovieri è quasi sicuramente solo un rimando alla Galleria Permanente Futurista che espose Marinetti). Sospetto che possa esserci una qualche relazione tra le immagini di sradicamento o ri-radicamento che "Giuseppe" (tanto vale chiamarlo così) sembra voler collezionare e il tragico aneddoto fotografico qui raccontato. Ma non escludo qualche correlazione meno specifica, o addirittura una piena casualità.
Insomma, forse il commento di cui sopra non c'entra nulla con un necrologio, ma preferisco lasciare decidere a voi. L'idea di Dislocazione mi sembra in ogni caso suggestiva, anche se mi troverei in oggettiva difficoltà nel reperire la cartolina illustrata di Milano indispensabile per raccogliere la sfida e non sono nemmeno troppo sicuro di essere abilitato a farlo considerando che abito dove sono nato. Esistono ancora queste cartoline? C'è ancora qualcuno che visita Milano e ne spedisce una? Dovrò fare un salto in una delle bancherelle turistiche che ancora resistono intorno alla Galleria. Se la trovo farò così, Giuseppe: per sottolineare il senso di straniamento che provo da anni nei confronti di una città non più mia, mi faccio fotografare sullo sfondo della scena inquadrata dalla cartolina. Potrebbe valere lo stesso?