30 dicembre 2018

Radio Underground, di Alison Littman

Uscito da poco più di un mese per un piccolo editore indipendente, Last Syllable Books, il romanzo della giovane storica e giornalista Alison Littman è direttamente ispirato alla tesi di laurea  specialistica dell'autrice, a sua volta basata sulle lettere scritte dagli ascoltatori ungheresi di Radio Free Europe oggi conservate negli archivi della Hoover Institution a Stanford. Sono soprattutto lettere scritte a "zio Laci", soprannome di Géza Ekecs, titolare di una rubrica di dischi a richiesta in onda verso la fine degli anni 50, a rivoluzione ormai "normalizzata", nei programmi ungheresi di Radio Free Europe. Ovviamente si trattava di dischi molto particolari: quelli dei Beatles, degli Stones e delle altre icone del rock, proibitissimi oltre-cortina. Pochi anni fa la rivista Forbes ha pubblicato un ricordo di Géza Ekecs (pseudonimo di Lászkó Cseke), conduttore di Teenager Party dal 1958 al 1992.  
In Radio Underground si intrecciano le vicende di Eszter, una donna ribelle, fanatica ascoltatrice delle trasmissioni clandestine trasmesse dalla CIA, che finisce per farsi rinchiudere in manicomio a causa della sua partecipazione alla rivolta. E di sua figlia, Dora rimasta sostanzialmente orfana, che comincia a capire le motivazioni di sua madre solo diversi anni dopo, quando sarà lei a innamorarsi di un ragazzo che scrive a zio Laci per farsi dedicare qualche canzone sovversiva. 
Il libro l'ho scoperto per caso, ma ho trovato una recensione molto bella e una intervista via mail alla Littman, entrambe pubblicate sul blog di Lyn Miller-Lachmann, scrittrice e editor che divide la propria residenza tra New York e Lisbona. Nell'intervista, la Littman afferma di aver individuato un parallelo inquietante tra la propaganda di Radio Free Europe (che secondo alcune interpretazioni incitò gli ungherese all'insorgere contro il regime comunista promettendo aiuti materiali che non sarebbero mai arrivati) e quello che succede oggi con la politica condizionata dalle fake news e dalla propaganda, di probabile matrice russa, che mira a creare divisioni in un occidente "democratico" così disamorato della tanto decantata libertà di espressione. Un altro mutamento prospettico che personalmente mi colpisce riguarda invece l'Ungheria e il suo regime attuale, sicuramente diverso da quello che Eszter avrebbe sognato.