Il presidente della FIMI Enzo Mazza mi segnala la disponibilità sul sito Web della Federazione dell'industria musicale italiana della traduzione del Digital Music Report 2013, rilasciato pochi mesi fa dalla IFPI (che riunisce a livello mondiale le associazioni di categoria come la Fimi). Il report si può scaricare a questo indirizzo e se proprio volete l'originale potete fare riferimento a questa pagina del sito IFPI, ma in quest'ultimo dovrete rinunciare agli interessanti approfondimenti sul mercato italiano proposti nella versione della FIMI. Con lo sbarco in Italia dei grandi nomi dello streaming (o "abbonamento") musicale - Deezer, Spotify, Rdio - anche la nostra nazione affronta la transizione della musica digitale dal modello "download" inaugurato da Apple iTunes. Nel mondo, sui 5,2 miliardi di dollari di fatturato della musica digitale per il 2012 4,3 erano ancora attribuibili al download, cioè al vero e proprio acquisto privo di supporto fisico. Ma il 10% del mercato è già fatto di consumo in streaming, fisso e mobile, e nazioni come la Svezia e la Francia, proprio grazie a Spotify e Deezer, gli abbonamenti superano, come numero di consumatori, i download.
Ovviamente la vera svolta arriverà quando il pioniere del download, Apple, annuncerà l'atteso servizio streaming. Nel frattempo Cupertino si è fatta superare, per tempestività, da Twitter che ha presentato in anteprima un servizio più simile alla "music discovery" (ovvero alla possibilità di scoprire nuovi gruppi e cantanti facendo leva sulle proprie conoscenze social) e soprattutto da Google, che nel corso della sua conferenza per sviluppatori, Google I/O ha chiamato Chris Yarga a presentare il suo nuovo servizio streaming Google Music "All Access" (dal minuto 39 del filmato con tutti i keynote dell'evento). Se Twitter Music sembra aver parzialmente deluso i primi recensori, Google Music All Access sembra essere più in linea con il resto del gruppo degli streamer e anzi non fa che confermare un mio sospetto: non sarà facile per nessuno, neanche per i big (a eccezione forse della stessa Apple, il cui marchio è noto anche ai sassi) imporsi nel mercato che Spotify, Deezer, Pandora e più recentemente Rdio, si sono in pratica inventato. Anche per All Access i primi commenti non sembrano entusiasti e anzi i recensori mettono in risalto qualche limite del nuovo servizio in streaming lanciato dal motore di ricerca. Il costo degli abbonamenti mobili non si discosta da quello dei concorrenti, che hanno a loro vantaggio prezzi più bassi per il consumo della musica dal desktop e al contrario di Google offrono una parte di contenuti free. Le quattro sezioni di Google All Access - Genres, Recommended, Featured, New Releases - permettono di abbinare l'ascolto puro alla discovery basata su raccomandazioni automatiche ma anche sulla selezione ragionata dei brani, integrandosi al servizio Google Music che già oggi offfre la possibilità di "streamizzare" la musica che risiede sui nostri computer e dispositivi personali.
Il punto è sempre lo stesso: l'economia della musica liquida sarà sul lungo termine più ricca di quella che ruotava intorno ai dischi, fatta la tara delle rispettive forme di pirateria? Oggi la musica digitale vale poco più di un terzo (esattamente il 34%) del mercato della musica "registrata" in generale, che a sua volta mostra timidi segnali di ripresa (16,8 miliardi di dollari nel 2010, 16,3 nel 2011, circa 16,5 nel 2012). La sensazione quindi è che la crescita dei consumi digitali legali abbia comunque un effetto positivo, anche perché la grande diffusione di dispositivi come gli smartphone non può che portare a un allargamento della base di potenziali ascoltatori/consumatori di contenuti musicali.
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