Se i dati comunicati dalla società di ricerca NPD sono attendibili (e non c'è ragione per dubitarlo) gli americani molto presto consumeranno più musica attraverso Pandora e Spotify che ascoltando la radio in FM. Music Acquisition Monitor, l'osservatorio di NPD sui canali di accesso utilizzati dai consumatori di musica, rileva che oltre il 50% degli utenti Internet, 96 milioni di persone, utilizza Pandora o servizi on demand come YouTube, VEVO, Spotify, MOG, Rhapsody, and Rdio per soddisfare il proprio fabbisogno musicali. Nel dare la notizia, Huffington Post si chiede se il progressivo tramonto della radio come strumento di scoperta e ascolto di brani e autori musicali implichi anche un cambiamento generale del modo in cui ci rapportiamo a questa importantissima forma di espressione artistica. In altre parole: lo streaming che sta prendendo il posto della radio ci induce anche ad ascoltare una musica diversa rispetto al passato? Le prime risposte sembrano affermative: nelle hit parade pubblicate da Spotify compaiono brani che difficilmente avrebbero conquistato la stessa popolarità grazie alla sola radio, ma che l'azione combinata di Web radio e social network rende gettonatissimi.
Il 10 novembre del 2001 Apple lanciò una mattonella bianca fortemente voluta da Steve Jobs, tornato da cinque anni nell'azienda che lo aveva letteralmente costretto, lui, il cofondatore, alle dimissioni. Da un anno Jobs aveva rimosso la provvisoria "i" (per interim) davanti all'acronimo CEO (amministratore delegato) ed era arrivato al culmine di un percorso di risanamento che resterà nella storia del management. La mattonella si chiamava iPod ed era stata concepita come accessorio ideale per un servizio varato all'inizio di quell'anno. Un servizio che nessuno si sarebbe mai aspettato da una azienda di informatica, perché in quegli anni, in piena crisi della giovane "Internet economy", l'idea di aprire un negozio di musica, per di più online, equivaleva, per un imprenditore che costruiva computer, a un certificato di insanità mentale.
Con un congruo anticipo su quasi tutti i suoi colleghi imprenditori, Jobs aveva capito che le tecnologie digitali, l'hardware, il software, non erano un semplice prodotto da sviluppare e vendere. Erano un inarrestabile agente di cambiamento sociale, economico, politico, persino psicologico. I neuroscienziati oggi ci dicono che i cambiamenti riguardano anche l'aspetto più fisico del nostro cervello, ossia le connessioni che si stabiliscono tra le sue cellule, i neuroni. La musica in download è forse il segno più tangibile del tipo di trasformazioni che Jobs aveva in mente con l'accoppiata iTunes/iPod. L'industria discografico, basata sul CD (che aveva sostituito il vinile senza rinunciare ai suoi modelli di distribuzione e promozione, anche se il mercato della nuova musica dovette fare i conti con l'inedito problema delle copie pirata), è stata rivoltata come un calzino.
Forse neppure lo stesso Jobs poteva pensare che anche il modello del download poteva andare in pensione così presto. Oggi iTunes e gli altri store musicali vanno ancora forte, ma il modello del Web come infinito juke box in grado di sfornare - gratis, con la sponsorizzazione di uno spot pubblicitario, o direttamente a pagamento - decine di milioni di brani diversi si sta affermando in modo inesorabile e comporterà da parte delle case discografiche e delle società consortili che gestiscono i diritti musicali un ulteriore fase di ripensamento.
La discussione è in corso anche in Italia, dove Spotify ancora non è arrivato (in compenso ci sono diversi servizi analoghi, sia nazionali - Play.me, Cubomusica - sia esteri - Rara, Deezer). Nel maggio scorso la FIMI, l'associazione confidustriale della musica italiana, ha organizzato un interessante convegno di cui posso fornire le due relazioni principali, quella del presidente della FIMI Enzo Mazza e quella dell'economista Carlo Alberto Carnevale Maffè. Diversi dettagli sui contributi degli altri relatori, tra cui Stefano Quintarelli, li potete trovare nel reportage di Chefuturo. Nello stesso periodo, prima dell'estate, la startup italiana SingRing (azienda del gruppo Digital Magics), leader nel nuovo comparto dei testi delle canzoni (le "lyrics") e del karaoke online, aveva inaugurato una nuova iniziativa rivolta agli ascoltatori/spettatori di videoclip. Il Progetto Video che SingRing ha confezionato firmando gli accordi con EMI Music, Sony Music Entertainment, Universal Music Italia e diverse etichette indipendenti consente agli editori musicali e non di pubblicare su web, mobile e Smart TV i videoclip ufficiali nel pieno rispetto del diritto d’autore, usufruendo anche di un sistema che permette di integrare i messaggi pubblicitari nei video clip. Luca Messaggi, CEO di SingRing ha detto che con questa iniziativa «nasce un nuovo network musicale cross editoriale che dà: ai publisher e alle record company la possibilità di trarre valore aggiunto dalla musica online, agli inserzionisti l’opportunità di raggiungere un target molto interessante su una piattaforma premium completamente pianificabile e agli utenti la possibilità di fruire di un’esperienza totalmente innovativa grazie ai nostri contenuti di qualità. Il network di SingRing, leader in Italia, supera i 4,6 milioni di utenti unici al mese, pari al 58% del mercato lyrics. Adesso siamo pronti per affrontare una nuova sfida: ‘SingRing Video’» I video di questo VeVo all'italana sono online sui tre canali del portale Virgilio.it: ViTV, Musica e Testi Canzoni e su siti di "pop culture" come Airdave.it. Il catalogo video di SingRing comprende oltre quarantamila videoclip musicali, interviste, making of, EPK (electronic press kit) e backstage di artisti italiani e internazionali. Dopo aver avviato verso una prematura pensione il mezzo radiofonico, ora Internet si appresta ad attaccare la musica televisiva di MTV.
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