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15 marzo 2013

Twitter pronta al lancio di una app per la musica social. I pro e i contro della music discovery


Nel 2009 scrivevo questo post dedicato ai servizi Web che aiutavano i visitatori a scoprire nuovi cantanti e gruppi musicali. Il Web è ovviamente diventato una opportunità formidabile per i musicisti e l'industria musicale. Talmente formidabile da far paura alle case discografiche, agli editori radiotelevisivi e agli stessi economisti, che spesso non riescono a misurare l'impatto della musica digitale incarnata da fenomeni come YouTube, Vevo, Pandora o Spotify. A questo proposito volevo condividere due bellissimi report presentati lo scorso anno a Milano, in occasione di un convegno organizzato dalla FIMI, l'associazione confindustriale della musica italiana; si tratta degli interventi del presidente di FIMI Enzo Mazza e dell'economista Carlo Alberto Carnevale Maffè sul presente e il possibile futuro della musica "liquida". Quel convegno milanese aveva coinciso con il lancio della piattaforma di streaming musicale Feezy.it, come dire lo Spotify italiano, con 11 milioni di brani e possibilità di accesso gratuito da computer Win e Mac, con applicazioni player off-browser sviluppate per la tecnologia Microsoft PlayReady. Feezy ormai funziona da quasi un anno, ignoro le cifre ufficiali ma temo che la notorietà sia molto bassa e non penso che i promotori - Sony, Emi, Warner e Universal - siano soddisfatti. Qui comunque c'è il pdf della cartella stampa dal sito e il comunicato ufficiale che mi era arrivato allora, a fine maggio 2012.
Ma accantoniamo per il momento Feezy e la situazione italiana per tornare al post del 2009 da cui siamo partiti. In quella occasione citavo un articolo di un giornale economico americano che elencava una serie di servizi di "music discovery", destinati - o almeno così sembrava - a risolvere il problema numero uno di un mezzo tanto potente e dispersivo: fare da ponte tra un pubblico potenzialmente molto vasto e i musicisti che proprio grazie al Web hanno la possibilità, un tempo neppure concepibile, di farsi ascoltare ovunque, ma che proprio per colpa del Web si trovano a essere nascosti in un mare di interferenze digitali e rischiano di naufragarvi senza lasciar traccia. Il classico individuo cancellato da una folla immensa. Nel giornale di soli quattro anni fa (ma sembrano dieci), si citava il nome di un sito, We Are Hunted, di scoperta musicale "sociale e condivisa". Già allora "social" era una parola magica che sembrava risolutiva per tutto.
Oggi CNet ha annunciato che We Are Hunted è stata acquisita (già l'anno scorso, si pensa) da Twitter, che starebbe pensando di costruirvi sopra una sua applicazione di music discovery da lanciare entro la fine di marzo, un servizio che sfruttando i tweet di amici e personaggi o organizzazioni possa guidare tutti verso la scoperta di tesori musicali sconosciuti. Il servizio dovrebbe assumere per il momento la forma di una app per iOS e i brani verrebbero distribuiti in streaming grazie alla piattaforma SoundCloud. Del resto, Twitter è già pieno di segnalazioni di brani musicali e  nel corso degli anni molti hanno provato a costruire delle app o dei siti Web che fungessero in pratica da apparecchio radio "sintonizzato" su queste segnalazioni (penso a siti come Song.ly o Blip.fm e a molti altri che non esistono neppure più), spesso identificate dall'hashtag #nowlistening. E fuori da Twitter, Facebook ha già messo in pratica una aggressiva strategia musicale, integrandosi in modo molto trasparente con Spotify, Rdio, Deezer e moltissime altre piattaforme musical in streaming. Guardate che cosa scriveva Evolver.fm a proposito delle strategie di Facebook già nel 2011, in un momento in cui venivano attivati oltre una dozzina di servizi di discovery su almeno 16 previsti.
Come andrà a finire con l'iniziativa di Twitter? Difficile dirlo adesso, senza neppure aver visto come verrà messa in pratica la sua idea di scoperta musicale. Quello che posso suggerire è la lettura di un formidabile editoriale apparso su Hypebot nel novembre scorso a firma di un autore di un blog molto, molto intelligente sul business della Web music, Sidewinder.fm. Il post si intitolava Music Discovery, la marcia verso il fallimento digitale e con argomenti molto semplici e razionali smontava il mito delle startup che in questi ultimi mesi cercano di cavalcare un fenomeno con la speranza, anzi la certezza di sfondare. L'anno scorso avevo trovato questo articolo di DailyTekk che catalogava addirittura un centinaio di servizi musicali, venti di quali di music discovery (se vi è venuto il malditesta qui trovate un distillato della lista di app musicali curata da Evolver.fm). In quel post Kyle Bylin scriveva che il vero punto debole della music discovery è il fatto di essere una falsa soluzione di un falso problema. Tutti amano ascoltare musica e scoprirne di nuova, ma quello che manca è il tempo per seguire con costanza tutti questi servizi di "scoperta". La gente scopre la musica molto spesso per caso, quando sta facendo altro, ascoltando la radio (meno male!) o parlando con gli amici: lo sforzo classificativo di tutti questi  servizi è insomma privo di senso, le startup che ci credono vanno sicuramente incontro al fallimento. Sullo stesso blog Sidewinder.fm pochi giorni dopo interveniva anche Sagee Ben-Zedeff, citando lo studio Music 360 che annualmente Nielsen pubblica negli Stati Uniti per analizzare gli stili di consumo della musica da quelle parti. A sua volta Ben-Zedeff citava un post scritto su Hypebot da Clyde Smith, che commentando i risultati pubblicati da Music 360 tracciava un semplice sistema di tre equazioni senza incognite:

scoperta = ascolto della radio (quasi la metà dei teenager americani continuerebbero a farlo, nonostante tutto, forse attraverso il Web)
ascolto = You Tube (non ci sono storie, il 64% dei teenager la musica la ascolta gratis su You Tube)
acquisto = sì, ma soprattutto su suggerimento degli amici

Quali sono le conclusioni di Ben-Zedeff? Che un elemento social nella fruizione della musica c'è, ma che la scoperta avviene di solito quando non devi fare nessuna fatica, cioè quando incontri un contenuto che qualcun altro ha selezionato al tuo posto. Oggi "selezionato" si dice "curato", il content deve essere curated oltre che king. La socialità va bene, scrive, ma deve essere estesa, del tutto normale in qualsiasi sito Web musicale. Non solo, deve essere condivisione, non semplice segnalazioni fatte agli amici. Lo stesso vale per la scoperta, che molti siti offrono in una modalità che obbliga comunque l'ascoltatore a farsi parte attiva e che non deve diventare "un lavoro" (adesso mi metto a fare della discovery), ma deve piuttosto essere parte integrale dell'esperienza di ascolto. 
Ma è davvero possibile offrire questo tipo di modalità. Ben-Zedeff è convinto di sì e forse è sincero visto che ha costruito la sua piattaforma di condivisione musicale, Serendip. Questo servizio fa parte di una nuova generazione di servizi di ascolto e discovery interpretato, oltre che dal servizio di Ben-Zedeff, anche da piattaforme fortemente social come Ex.fm e Tomahawk (e chissà che anche We Are Hunted e Twitter non vadano in direzioni analoghe). Ma anche da cataloghi in streaming come Spotify, Deezer e Rdio, capace di aprirsi al mondo social attraverso le loro API, che a loro volta permettono di sviluppare potenti estensioni e plug-in che consentono non solo di far sapere in giro quello che si ascolta ma di seguire le play list di esperti e amici che magari ne sanno più di noi e possono consigliare qualche novità anche mentre stiamo ascoltando la solita musica.
Serendip, ovvero "the sound of now", mescola gli elementi della curatela, della condivisione e dell'ascolto passivo di tipo radiofonico, in una piattaforma molto raffinata (sul sito potete scaricare un mediakit pieno di loghi e informazioni). Il login avviene direttamente con l'account di Facebook o di Twitter e poi tutto avviene (un po' come in Rdio o Spotify per la verità) attraverso modalità di ascolto di tipo radiofonico o seguendo le suggestioni che arrivano dalle proprie amicizie, anche se l'aspetto della curatela in Serendip è più accentuato che altrove. 
Forse meno elegante e avanzato graficamente parlando di Serendip, Ex.fm si propone come un servizio simile ma più essenziale e concreto, basandosi su tre modalità distinte di ascolto/scoperta: Trending, con i flussi musicali costruiti sulla base dei contenuti più seguiti al momento, sia a livello di comunità di utenti che di esperti Trendmaker; Explore, in cui la scoperta avviene sulla base di contenuti già selezionati attraverso blog, pagine personali, siti Web che la finestra di Explore mette a disposizione dell'utente di Ex.fm aprendo ogni giorno una risorsa diversa; e infine Sites, il catalogo di tutte queste risorse esplorabile tutto in una volta all'insegna del motto "Sites are the new CDs". Un altro punto a favore di Ex.fm è che l'aspetto social viene esaltato premendo molto sulla scoperta non solo musicale ma anche di nuove relazioni direttamente sul sito. Insomma Ex.fm cerca di funzionare anche come vero e proprio social network più che agganciarsi a Facebook (anche se ovviamente tutto ciò che si ascolta si può segnalare). Come Serendip, Ex.fm si può utilizzare su Web attraverso il browser o con app su smartphone. 
Infine c'è il discorso Tomahawk, che meriterebbe un approfondimento a parte. Il concetto di fondo non è quello del sito o dell'applicazione, ma del player. Tomahawk è un vero e proprio player multipiattaforma per Win, Mac e Linux. La tecnologia è stata sviluppata da The Echo Nest, la startup di tecnologie di Web music che pubblica anche il blog Evolver.fm. In questo articolo, uscito al momento del lancio di Tomahawk, viene spiegato bene il suo funzionamento. In sostanza il programma è un grande aggregatore, un iTunes finalmente aperto che raccoglie la musica residente sul vostro pc aggiungendovi quello che arriva dai vostri contatti social (non di Facebook però, solo Twitter, GoogleTalk e Jabber), o dalla vostra attività su Spotify, Soundcloud, Last.fm. In più Tomahawk essendo completamente aperto, può essere "raggiunto" da altri provider di contenuti musicali, ed è associato a un vero e proprio motore di ricerca, Toma.hk, alimentato, per esempio, da Shuffler.fm, una tecnologia presentata all'edizione 2011 del festival South by southwest che attinge i suoi contenuti da selezionati blog musicali.

12 novembre 2012

IFPI: le case discografiche investono nella scoperta di nuovi talenti musicali


Un report molto corposo (scaricarlo richiede una buona connessione perché sono 15 mega di pdf) realizzato da IFPI, la federazione mondiale dei proprietari di diritti intellettuali musicali, ossia le case discografiche, rivela che queste ultime hanno ancora un ruolo importantissimo nella scoperta e nella promozione di nuovi talenti musicali: cantanti, gruppi, autori... Nel suo recente studio "Investing in music" l'associazione, che è presieduta dal grande baritono Placido Domingo, calcola che le cosiddette attività di "artists and repertoire" - l'equivalente della "ricerca e sviluppo" di talento per un editore discografico - rappresentano ancora un investimento significativo. Almeno 4 miliardi di dollari e mezzo se si includono anche le attività di promozione. Da solo l'"A&R" degli editori discografici vale 2,7 miliardi di dollari, il 16% del fatturato annuo dell'industria discografica. Malgrado il grande successo delle band indipendenti e dei social network musicali che guidano milioni di persone verso i brani di artisti poco conosciuti e innovativi, la casa discografica è ancora un punto di riferimento fondamentale e che molti cantanti e complessi puntano ad avere un editore. The Unsigned Guide ha condotto un’indagine nel Regno Unito dalla quale è emerso che il 71% degli artisti britannici ancora senza un contratto vorrebbero stipularne uno con un discografico.

Questo non significa che gli editori non stiano perseguendo strategie nuove per la vendita online e lo streaming della musica. Nel comunicato stampa in italiano che ho appena ricevuto dalla FIMI, la federazione confindustriale degli editori discografici italiani, leggo che l'economia tuttora legata al disco o alle sue alternative digitali legali, vale molto più di quella generata per esempio dai concerti live. «Il live - scrive la FIMI, non ha sostituito il mercato discografico come fonte di ricavi, mentre le case discografiche investono 2,7 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo, non ci sono prove di investimenti di tale portata in altri settori dell’entertainment musicale. I primi cinque concerti globali dal vivo del 2011 - U2, Bon Jovi, Take That, Roger Waters e Taylor Swift - hanno tutti i cataloghi e prodotti musicali importanti alle spalle.» La lettura del comunicato FIMI è molto istruttiva e contribuisce comunque all'analisi di un mercato sempre più complesso, lo trovate qui.