26 novembre 2011

Le onde corte del Presidente del Consiglio

Il bellissimo diario di Kim Andrew Eliott sulla public diplomacy attraverso la radio non poteva lasciarsi sfuggire il lancio della France Presse, ripreso dai giornali di mezzo mondo, in cui veniva tratteggiato un sommario ritratto di Mario Monti, personaggio che è sempre stato avaro di interviste troppo personali. La stampa italiana ha rilevato in questi giorni che a infrangere la regola era stato sei anni fa L'Espresso, che era riuscito a parlare a cuore aperto con un Monti da poco uscito dal governo dell'Europa (nel 2004 il governo Berlusconi si era rifiutato di confermarlo per un terzo mandato di Commissario, puntando piuttosto su un autentico cavallo di razza come Rocco Buttiglione - respinto al mittente per le sue dichiarazioni omofobiche e intolleranti).
Nella parte più autobiografica della conversazione, a un certo punto Monti risponde così a una domanda dell'intervistatrice del settimanale, Stefania Rossini:
Ha intenzione di raccontare sessant'anni di sobrietà? Rintracci almeno un attimo di irrequietezza. Anche lei sarà stato adolescente.
«Un po' tardivo, per la verità. Non ero precoce da nessun punto di vista. Studiavo, ero appassionato di ciclismo e passavo molte notti ad ascoltare la radio ad onde corte. L'ho fatto per anni».

Le serviva per evadere?
«No. E' stato utile un po' per conoscere le lingue e molto per capire il mondo. Ascoltavo trasmissioni dall'Australia, dai Paesi dell'Est e dall'Africa. Nel 1958 ho capito da parole in codice che era scoppiata la ribellione in Algeria. Nel 1960 ho sentito in diretta il discorso di insediamento di John Kennedy».
Monti, insomma, era un vero e proprio collega, un fratello dell'etere senza confini. In un periodo, oltretutto, in cui la televisione in Europa ancora non conosceva la capillarità e la tempestività della radio. Almeno per tutti gli anni 60 e direi fino alla morte di Mao (1976) le notizie da guerre, ribellioni, colpi di stato e disastri arrivavano sul piccolo schermo solo dopo essere transitate per i microfoni e gli altoparlanti delle radio. Il riferimento all'Algeria in quella intervista all'Espresso ci dice che il "DXer" Mario Monti fu testimone diretto del "putsch" da parte dei francesi anti-indipendentisti, che il 13 maggio del 1958 portò alla creazione, ad Algeri, di un Comitato di salute pubblica contrario alla politica coloniale di Parigi. In seguito a quel colpo di stato in Francia venne eletto un governo, presieduto da Pierre Pflimlin, che sarebbe durato appena un paio di settimane e avrebbe aperto la strada al ritorno di De Gaulle e alla fine della Terza Repubblica. L'articolo apparso nel 1988 sulla rivista storica Vingtième Siècle e intitolato Radio-Algérie, un acteur méconnu de mai 1958, rende giustizia alla buona memoria dell'attuale Presidente del Consiglio (anche lui a suo modo di un comitato di salute pubblica), a distanza di quasi mezzo secolo dai fatti che un Monti quindicenne sentiva raccontare in modo concitato dal suo apparecchio sintonizzato - secondo i dati che ho ritrovato sul World Radio Handbook del 1960 - sugli 11.835 kHz delle onde corte. Molto meglio delle gonne corte di Berlusconi, no?

2 commenti:

soundsetting ha detto...

Un profilo storico utilissimo e come sempre esaustivo. Trovo essenziale sottolineare l’ambivalenza della modalità di fruzione ‘non lineare’ dei contenuti di derivazione radiofonica, che costituisce l’opportunità più recente, per l’ascoltatore e per gli editori, nel percorso che descrivi. La libertà dal flusso dei palinsesti, peraltro sapientemente intortati di propaganda e pubblicità, credo non abbia prezzo e penso rappresenti una vera e propria conquista civile. Aspetto potenziato dal non secondario corollario dell’operazione, costituito dalla possibilità di conservazione e catalogazione del patrimonio dei beni immateriali. L’attivazione e implementazione del catalogo, per intenderci, a millenni di distaznza dall’ideale fondazione dell’archivio, della Biblioteca di Babele. Contraltare dell’operazione, come fai notare nel testo, è la possibilità di censura e controllo dei contenuti attraverso le maglie del web, che a dispetto dell’ideale profumo di libertà che promana, si trasforma in ganscia costrittiva nelle mani dei gestori dell’informazione. C’è quindi la perdita di un valore importantissimo, quello dell’anonimato, che ha consentito ad esempio a Monti di tenersi aggiornato sulla geopolitica degli anni ’50, senza che per un buon mezzo secolo nessuno lo sapesse…! Credo quindi che lo spirito vincente resti quello del Dxing, sebbene trovi enormemente facilitante, e mai vi rinuncerei, la mia attuale condizione di libero ascoltatore di patrimoni che mi avrebbero scavalcato a troposferiche altezze, per utilizzre le quali mi sono evolutivamente mancati intuizione ed educazione tecnologica.
S.

Roberto ha detto...

Credo che molti tra noi della fascia di "mezza età" abbiamo più ricordi radiofonici che televisivi; erano anche i tempi della "Guerra Fredda" e della propaganda dai Paesi dell'Est, che comunque - a prescindere dalle ideologie dell'ascoltatore - acuiva quel senso di DX considerata la chiusura di "quel mondo" tutto sommato neanche poi tanto distante da noi.
Forse proprio a causa dell'ubiquità della Rete si tende adesso a uniformare tutte le voci e le notizie a un livello quasi locale; e forse facendo calare quell'interesse per il "lontano" che in quegli anni era molto maggiore.
E che dire di Monti? "Buon sangue non mente"... qualsiasi idea si abbia della sua "manovra", il fatto che il suo svezzamento sia passato anche attraverso questo interesse comune, mi dà una chance perlomeno sulla sua serietà.