Visualizzazione post con etichetta normativa italiana. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta normativa italiana. Mostra tutti i post

30 marzo 2015

Onde medie verso l'approvazione. Giorgio Marsiglio pubblica un prezioso "How To"

Mentre sulle frequenze delle onde medie continuano a spuntare nuove trasmissioni tra il pirata e lo sperimentale, il Parlamento si accinge a discutere il progetto di legge europeo che dovrebbe portare a un definitivo chiarimento in materia di autorizzazioni a trasmettere in modulazione di ampiezza tra 520 e 1600 kHz. Giorgio Marsiglio, in previsione di questa conclusione dell'iter parlamentare ha preparato un dettagliato documento che spiega passo passo tutto quello che un aspirante broadcaster delle onde medie deve sapere: dal perché allo stato attuale le trasmissioni sarebbero "formalmente proibite", fino ai possibili scenari che si aprirebbero con il varo della famosa legge. Il documento si fregia del titolo - del tutto veritiero vista la chiarezza e la ricchezza informativa, -di  "Piccolo vademecum per chi volesse trasmettere in onde medie",. Chi fosse interessato può rivolgersi a Radiopassioni per ricevere ulteriori dettagli.
Scrive Giorgio che il disegno di legge europeo 2014 andrà in primo esame alla Camera dei Deputati con il numero 2977.

(Vedi:

L'autore del prezioso manuale di istruzioni aggiunge anche di voler chiedere di essere ascoltato in audizione (in qualità di autore della denuncia alla Commissione europea) da parte della XIV commissione parlamentare "Politiche dell'Unione europea", di fronte alla quale sarebbe in grado di rappresentare i dubbi di carattere giuridico che riassunti nel vademecum.
Ma c'è un altro punto che l'autore intende sottolineare annunciando la pubblicazione della sua analisi giuridico-normativa. «[È ancora più] importante, però, che in Commissione chiedano di essere auditi (in qualità di stakeholders) coloro che sappiano essere portavoce degli operatori delle onde medie e, meglio di me, rappresentare la bontà e la necessità di rendere possibile ai privati l'accesso alle onde medie: chiedo a voi di individuarli e di convincerli a buttarsi nella mischia.» È lo stesso appello che ho formulato io qualche tempo fa su questo blog: se vogliamo realmente costruire una prospettiva di positivo impiego della risorsa trasmissiva in modulazione d'ampiezza, è fondamentale dare prova di una sostenibile progettualità, sicuramente non bastano le nostalgiche rievocazioni degli albori dell'emittenza commerciale, o l'erratica programmazione di brani musicali di vario gusto. Ripensando ai risultati della consultazione a suo tempo promossa da Agcom, qualche manifestazione di interesse era stata espressa, anche dai grandi gruppi editoriali radiofonici. La sensazione è che debbano arrivare molte più proposte dal fronte dell'associazionismo, del mondo della scuola, della sanità, della pubblica amministrazione locale, del turismo. Sento già la solita obiezione - "siamo in crisi, non ci sono soldi" - brandita come scusa. Però stiamo parlando di una normativa che servirà a inquadrare uno spazio di opportunità nuovo, che in un futuro neanche troppo lontano potrebbe rivelarsi necessario. Fatevi sentire, accidenti! 

19 febbraio 2015

Licenze in onde medie: è arrivato il momento di farsi sentire

Ricevo da Giorgio Marsiglio un commento relativo alla proposta di variazione che il Governo, su mandato europeo, dovrebbe apportare alla normativa che regola l'assegnazione delle frequenze broadcast in Italia. Nella proposta

c'è una esplicita, anche se parziale apertura alla possibilità di assegnare licenze nello spettro delle onde medie, includendo le richieste da parte di nuovi entranti.
Ecco il commento di Giorgio, che con le sue iniziative e interrogazioni presso gli organi europei ha sicuramente influito su questi cambiamenti del quadro normativo.

«Su quella che è senz’altro un’apertura, sia pur timida, delle onde medie a privati possiamo intanto
osservare quanto segue:

• le onde medie vengono ancora considerate una risorsa scarsa, per utilizzare le quali sarà necessario 
partecipare ad una gara per ottenere la concessione in uso di una frequenza

• beneficiari potranno essere anche (ma non esclusivamente) i soggetti nuovi entranti

• non viene fatta distinzione tra tecnica analogica e tecnica digitale

• permane un occhio di riguardo verso la RAI, nonostante il progressivo abbandono delle onde medie da 
parte della stessa

• manca una data entro la quale l’AGCOM dovrà fissare i criteri e le modalità di assegnazione.

Adesso la proposta governativa, dopo il parere della conferenza Stato-Regioni, dovrà affrontare il  percorso parlamentare, lungo il quale sarà necessario vigilare e, per chi potrà farlo, intervenire per ottenere qualche miglioramento e, soprattutto, una data certa per l’ingresso dei soggetti privati nelle onde medie. 
E’ il momento di far sentire la propria voce, sia in Parlamento che presso i mezzi di comunicazione.
Una cosa comunque è sicura: chi già trasmette continui a farlo!»

Personalmente sono molto d'accordo con queste esortazioni, sarebbe ora di farsi sentire con progetti editoriali concreti, che coinvolgano anche l'associazionismo, il volontariato, gli istituti scolastici superiori. I pionieri della liberalizzazione delle onde medie che hanno acceso i primi "timidi" impianti in questi anni, hanno dato un contributo fondamentale, ma adesso è arrivato il momento di dare qualche prova in più della validità delle loro intenzioni. Purtroppo il contesto economico non è dei più indicati per nuove iniziative nel campo, siano esse commerciali o no profit. Ma le onde medie restano una ottima opportunità per dar vita a contenuti e servizi innovativi e comunitari. Vedrei bene in prima linea le università italiane: che cosa aspettano le Web radio di ateneo ad attivarsi?

05 aprile 2012

Emittenti locali in onde medie: il parere dell'esperto in diritto

Giorgio Marsiglio è intervenuto in varie occasioni su questo blog per illuminarci, con il suo sapere giuridico, sui risvolti legali di molti aspetti del radioascolto e delle radiotrasmissioni. Tempo fa mi ha inviato un lungo approfondimento che in origine voleva essere un commento in calce alla questione delle emittenti private in onde medie che nei mesi scorsi, in aree come il Veneto, l'Emilia, il Lazio, avevano costellato l'etere locale con le loro trasmissioni più o meno sperimentali. Purtroppo molte di queste emittenti hanno attirato l'attenzione delle autorità e a quanto mi riferiscono diverse fonti hanno ricevuto vere e proprie ingiunzioni, che le hanno costrette a disattivare - almeno per il momento - i loro impianti. So che in alcuni casi sono stati presentati dei ricorsi.
Giorgio ha elaborato queste note che spiegano - almeno mi sembra di capire - che le emittenti in onde medie ricadono in una sorta di guado normativo che rende problematica la loro permanenza in onda. Un po' la difficoltà riguarda l'impossibilità per un operatore privato di trasmettere senza possedere, o avere successivamente acquisito, una delle licenze "congelate" dal quadro regolamentare dell'ormai lontano 2001. In questo non sono "aiutate" dal fatto di aver scelto lo spettro delle onde medie per trasmettere. In questi anni la legge non sembra aver espressamente vietato l'uso di queste frequenze, ma non le ha neppure favorite, limitandosi a incoraggiare la sperimentazione "con tecniche digitali" e rimandando alla stesura di un piano di assegnamento che ancora non c'è.
Dopo aver preparato e inviato queste note (mi scuso con lui per non averle pubblicate tempestivamente, ma a questo punto forse la mia pigrizia può diventare maggiore completezza informativa), Giorgio non si è fermato e ha ulteriormente approfondito le condizioni giuridiche al contorno di un eventuale scenario normativo di compresenza di emittenti FM e AM (sia in onde medie, sia in onde corte). Si tratta di un vero e proprio saggio in materia legale che non sarebbe possibile riportare qui e che mi limito a segnalare all'indirizzo in cui è stato pubblicato da Giorgio, il sito FiloDiritto. Prima di affidarvi alla lettura, qui su RP, del suo primo "commentario" sulle stazioni in onde medie locali in Italia, riporto qui da FiloDiritto l'abstract del secondo commento:
La libertà di trasmettere mediante stazioni di radiodiffusione circolare (broadcasting) non gode ancora di completa garanzia da parte dell’ordinamento giuridico italiano. Attualmente, infatti, un soggetto privato che intendesse avviare proprie trasmissioni radio nelle gamma delle onde medie si esporrebbe al rischio di sequestri e denunce penali, proprio come le prime radio libere durante gli anni settanta del secolo scorso.
Così, se alla saturazione della banda della modulazione di frequenza si contrappone ora il deserto nella gamma delle onde medie (a causa del progressivo abbandono di tali frequenze da parte della concessionaria di Stato), ciò nonostante il legislatore italiano continua ad imporre uno sterile monopolio statale.
L’autore – dopo aver individuato la vigente normativa italiana in materia di comunicazioni elettroniche, riferibile alle trasmissioni in onde medie con tecnica analogica – la sottopone al vaglio dell’acquis communautaire,constatando l’avvenuta violazione della normativa dell’Unione europea in tema di libertà di concorrenza e di libertà di comunicazione.
Ma ecco quello che aveva scritto qualche settimana fa Giorgio Marsiglio in margine alle notizie che Radiopassioni ha diffuso in merito all'attività delle emittenti in modulazione di ampiezza:

Legge, diritto e le emittenti private italiane in onde medie

Bisogna innanzitutto precisare che tutta la normativa di carattere generale in materia di radiodiffusione sonora, adottata dallo Stato italiano negli ultimi trent’anni (dalla legge n. 103 del 1975 al decreto legislativo n. 177 del 2005) ha sempre disciplinato le emittenti broadcasting private senza distinzione alcuna tra le bande di frequenza utilizzabili. Questo anche se tutte le battaglie contro il monopolio radiotelevisivo abbiano sempre avuto come protagoniste le radio in modulazione di frequenza.
Stesse disciplina, conseguentemente, tanto per le stazioni in FM come per quelle in onde medie, purché la trasmissione dei relativi programmi venga effettuata “nelle bande di frequenze previste per detti servizi dal vigente Regolamento delle radiocomunicazioni dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni” (art. 19 del D.P.R. 27 marzo 1992, n. 255).
E’ anche vero, però, che la normativa di questi ultimi anni – pur continuando a citare anche la tecnica analogica – spende gran parte dei propri articolati a disciplinare le emissioni in tecnica digitale.
Prendendo in esame la radiodiffusione privata, due sono le disposizioni fondamentali, entrambe contenute nel vigente “Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici”, emanato con decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177:

Art. 24 (Durata e limiti delle concessioni e autorizzazioni radiofoniche su frequenze terrestri in tecnica analogica)
1. Fino all'adozione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze di radiodiffusione sonora in tecnica analogica di cui all'articolo 42, comma 10, la radiodiffusione sonora privata in àmbito nazionale e locale su frequenze terrestri in tecnica analogica è esercitata in regime di concessione o di autorizzazione con i diritti e gli obblighi stabiliti per il concessionario dalla legge 6 agosto 1990, n. 223, e successive modificazioni, da parte dei soggetti legittimamente operanti (…) alla data del 30 settembre 2001 (…).

Art. 42 (Uso efficiente dello spettro elettromagnetico e pianificazione delle frequenze)
(…)
10. L'Autorità adotta il piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche in tecnica analogica successivamente all'effettiva introduzione della radiodiffusione sonora in tecnica digitale e allo sviluppo del relativo mercato. (…)

Le suddette disposizioni normative dicono, in sostanza, che solamente le emittenti esistenti alla data del 30 settembre 2001 possono continuare a trasmettere in attesa del nuovo piano di assegnazione delle frequenze analogiche e che tale ultimo piano sarà adottato solo dopo un generico sviluppo del mercato della radio digitale .
A chi si applicano tali disposizioni ? Indubbiamente alla radio in FM (in riferimento alle quali sappiamo che non è possibile il rilascio di nuove concessioni, ma solamente il trasferimento di impianti, di rami di azienda o dell’intera emittente da un concessionario all’altro, oppure l’acquisizione da parte di società di capitali), ma anche alle stazioni in onde medie (considerato il carattere generale della disposizione normativa, come ho osservato fin dall’inizio).
Quindi, con una lettura semplicemente “legalistica” delle citate disposizioni, le emittenti italiane in onde medie di recente attivazione sarebbero tutte illegittime e passibili di spegnimento, in quanto soggetti non esistenti alla data del 30 settembre 2001. A meno che i soggetti titolari delle nuove emittenti non siano già titolari di concessione radiofonica in FM) ed abbiano chiesto - ai sensi dell’art. 2 bis, comma 3, del decreto-legge del 23 gennaio 2005, n. 5 convertito in legge 20 marzo 2001, n. 66 - l’abilitazione alla sperimentazione di trasmissioni radiofoniche in tecnica digitale.
La legge parla però di tecnica digitale, mentre le trasmissioni in onde medie non sono solo in DRM ma anche in tecnica analogica. Quindi anche questa chiave di lettura non è del tutto soddisfacente.
Ad ogni modo, se si adotta una lettura “costituzionalmente orientata” (come peraltro è stato fatto con le prime radio e tv libere degli anni ’70), è certo che tutte le emittenti radiofoniche private devono vedersi garantite la libertà ed il pluralismo dei mezzi di comunicazione, inclusa la libertà di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere (art. 3 del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici , emanato con decreto legislativo n. 177 del 2005).
Si tratta di princìpi di diritto che corrono sempre il rischio di essere disattesi dai provvedimenti amministrativi, con una grossa differenza, però, rispetto al passato: tali princìpi sono ora inseriti in testi di legge, con la possibilità di essere direttamente invocabili dinanzi ai giudici e da questi ultimi direttamente applicati, senza dover ricorrere a contrastate interpretazioni risolvibili solamente dalla Corte costituzionale.

In questo caso, ad un eventuale provvedimento di chiusura un ricorso delle emittenti dinanzi al T.A.R. potrebbe ben opporre quanto segue:

- la mancanza (per chissà quanto tempo) di un piano di assegnazione delle frequenze analogiche non può certo sospendere a tempo indefinito il diritto di trasmettere in onde medie,

- il fatto che nella gamma delle onde medie non vi sia attualmente – complice la riduzione dei programmi in onde medie alla sola Rai Radio 1 e la conseguente riduzione dei siti trasmittenti nel territorio italiano - un problema di affollamento, con il solo obbligo, pertanto, oltre a quello di non interferire con le altre stazioni, di non violare le convenzioni internazionali,

- la non sussistenza di un problema di “uso efficiente dello spettro elettromagnetico”, con conseguente possibilità di assegnazione delle frequenze anche in mancanza del relativo piano.

Le stazioni radio di cui parliamo certamente si saranno “fatte vive” con il Dipartimento per le Comunicazioni rivolgendo ad esso la propria dichiarazione di voler iniziare la fornitura di un servizio di comunicazione elettronica, ai sensi dell’art. 25 dell’altro testo normativo fondamentale del nostro settore, cioè del “Codice delle comunicazioni elettroniche” (Decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259). Questa dichiarazione è volta al rilascio della c.d. “autorizzazione generale” a trasmettere.
E’ importante la terminologia: il Codice parla di “autorizzazione” (e non di “concessione”) proprio perché “l'attività di fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica è libera”, salvo poche e ben precise limitazioni. Tra queste l’eventuale necessità di ottenere la “concessione (e non autorizzazione) del diritto individuale di uso delle frequenza radio”, solo nel caso però queste ultime siano limitate ed il rischio di interferenze dannose non sia trascurabile.
Da ultimo, con riferimento alle radiodiffusione sonora in onde corte verso l'estero (di cui al D.P.R. 10 luglio 1995, n. 391) è necessario precisare che essa non è affatto vietata, anzi, è assoggettata al regime autorizzatorio (al quale, come abbiamo visto, è sotteso un diritto e non una semplice aspettativa).
Vi sono però particolari condizioni da rispettare, che forse hanno disincentivato gli eventuali interessati a chiedere l’autorizzazione. Tra queste l’assenza dello scopo di lucro e la presenza di particolari istanze culturali, etniche, politiche e religiose (art. 1) unitamente al divieto di diffondere programmi che siano stati realizzati per una audience di carattere nazionale (art. 9).

12 novembre 2008

Vendita di ricevitori, iniziativa anti-barriere

Giorgio Marsiglio, un giurista che da anni si occupa delle normative che regolano l'ascolto della radio e la vendita in Italia di apparati di ricezione (scrive su Radiorama dell'AIR e sulla testata telematica Filodiritto), mi ha inviato il comunicato stampa di una sua iniziativa presso le autorità europee, che hanno accolto la sua richiesta per una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per gli "ostacoli ingiustificati e sproporzionati alla libera circolazione dei ricevitori radio". Giorgio affronta in particolare la questione dei limiti che l'Italia pone all'importazione di ricevitori a copertura di frequenza continua. In pratica se in alcune nazioni europee è possibile acquistare radio che ricevono l'intera gamma delle onde corte, in Italia ci sono sempre state difficoltà e proibizioni legate a una normativa antiquata, che danneggiano soprattutto i radioamatori (i limiti imposti riguardano di solito le bande che non cadono nelle porzioni allocate alla radiodifussione nazionale o internazionale).

NORMATIVA SULLE FREQUENZE UTILIZZABILI IN ITALIA DAI RICEVITORI BC:

Avviata la procedura di infrazione comunitaria

Ostacoli ingiustificati e sproporzionati alla libera circolazione dei ricevitori radio della radiodiffusione sonora: con questa motivazione il 16 ottobre 2008 la Commissione europea ha avviato nei confronti dell'Italia una procedura d'infrazione per violazione degli articoli 28-30 del Trattato dell'Unione europea, rubricata al numero 2007-4764.
La normativa statale italiana sottoposta ora all'esame degli organismi comunitari di Bruxelles è quella in materia di frequenze radio utilizzabili in Italia dagli apparecchi riceventi le trasmissioni della radiodiffusione sonora (in lingua inglese denominata broadcasting), dettata dai decreti dell'allora Ministro delle Poste e Telecomunicazioni datati 25 giugno 1985 e 27 agosto 1987. Decreti confermati e mantenuti sino ad oggi in vigore dal successivo decreto ministeriale 28 agosto 1995, n. 548.
Oggetto della normativa statale italiana assoggettata alla procedura d'infrazione sono i comunissimi ricevitori radio presenti in ogni famiglia, idonei all'ascolto dei servizi di radiodiffusione sonora trasmessi non solo localmente ma anche dall'estero nelle gamme delle onde medie e corte. In commercio vi sono però anche apparecchi ricevitori sintonizzabili su frequenze le quali - pur se adibite ai servizi broadcasting negli altri Stati in conformità ai trattati internazionali - sono poste al di fuori delle gamme d’onda indicate dai decreti ministeriali italiani. Trattasi di ricevitori radio regolarmente omologati con la marcatura CE e legittimamente venduti negli altri Stati dell'Unione europea, il cui uso è però vietato in Italia con conseguenti ostacoli ingiustificati e sproporzionati alla libera circolazione di tali ricevitori radio.
Il Governo italiano ha pertanto ricevuto in questi giorni una lettera di costituzione in mora, che lo invita ad eliminare immediatamente gli ostacoli all'uso ed all'importazione in Italia dei ricevitori radio.
E' stato dato così seguito alla denuncia presentata il 31 agosto 2007 dell'appassionato di radioascolto Giorgio Marsiglio il quale, dopo alcuni anni di studio e pubblicazioni sull'argomento ospitati dal mensile Radiorama (organo dell'A.I.R. - Associazione Italiana Radioascolto) e dal giornale telematico Filodiritto, ha inteso rendere concreti i propri dubbi sulla legittimità della normativa italiana chiedendo ed ottenendo l'intervento della Commissione europea.

LINK UTILI:

•per visualizzare lo stato della procedura presso il "Dipartimento per le Politiche comunitarie" della Presidenza del Consiglio dei Ministri digitando la parola chiave "ricevitori radio"
•per visualizzare il testo della denuncia:
http://web.tiscali.it/oscarito/denunciaUE.htm
•per visualizzare il sito “Il diritto al radioascolto”: http://web.tiscali.it/oscarito/
•per contatti con il denunciante: oscarito (at) omnimail (dot) sm
Sin qui il comunicato. Ho colto l'occasione per domandare al mio cortese e competente lettore un parere su un'altra questione: le recenti segnalazioni relative ai ricevitori a onde corte di fabbricazione cinese, respinti dalle autorità doganali per la mancanza di una marcatura CE. So che in questo caso le norme parlano chiaro, il marchio ci vuole. Ma ho chiesto a Giorgio se a suo parere esiste qualche margine di speranza per apparati tutto sommato " innocui" sul piano degli eventuali disturbi irradiati. Ecco la sua tempestiva risposta, che si aggiunge a un altrettanto autorevole parere espresso tempo fa da Massimo Lualdi.

Come è noto - risponde Giorgio Marsiglio - la marcatura CE che troviamo apposta sui radioricevitori BC attestano solamente la conformità alle due direttive LVD (bassa tensione) e EMC (compatibilità elettromagnetica), e nient'altro. Meno di così credo che l'Unione europea proprio non possa chiedere ai fabbricanti che intendano immettere nel mercato comunitario i propri apparecchi. Bisognerebbe - come tu giustamente suggerisci parlando di apparati così innocui come fonti di radiodisturbi - che gli stessi venissero per così dire "sclassificati" di categoria. A tale proposito, osservo che la nuova direttiva EMC (la 108 del 2004) all'art. 1, comma 3, precisa di non riguardare le apparecchiature "incapaci di generare o contribuire a generare emissioni elettromagnetiche che superano un livello compatibile con il regolare funzionamento delle apparecchiature radio e di telecomunicazione e di altre apparecchiature": forse si potrebbe lavorare su questo. Forse impossibile, invece, per quanto riguarda la "bassa tensione". Infatti, la nuova direttiva LVD (la 95 del 2006), all'articolo 1, dispone che "ai fini della presente direttiva per "materiale elettrico", si intende ogni materiale elettrico destinato ad essere adoperato ad una tensione nominale compresa fra 50 e 1000 V in corrente alternata e fra 75 e 1500 V in corrente continua, fatta eccezione per i materiali e per i fenomeni di cui all'allegato II." (attenzione, "materiali" e "fenomeni" ma non "apparecchiature". La decisione comunque spetta agli organismi comunitari, i quali difficilmente andranno a favorire prodotti extracomunitari. Ad ogni modo, per garantire il diritto al radioascolto si può certamente approfondire l'argomento.



20 aprile 2008

Ma in Italia l'ascolto si consolida

Mi è piaciuta la cronaca degli interventi al convegno veneziano della concessionaria Radio e Reti e quindi riporto il comunicato stampa che ho trovato su diversi siti (per esempio quello di Nicola Franceschini, su Dada).
Rispetto alla Francia, l'audience radiofonica in Italia sembra più stabile, forse anche perché finalmente il panorama si è consolidato. Venti anni fa Audiradio rilevava 700 emittenti. Oggi sono solo 300. Se ci fosse un po' d'ordine e meno ridondanza nelle frequenze, forse si aprirebbero nuovi spazi per le stazioni associative, orientate alle comunità di immigrati. Staremo a sentire...
Dal 1988, data di nascita di Audiradio, l’ascolto della radio in Italia è passato da 26 milioni di ascoltatori a 38,4 milioni. Della passione degli italiani per la radio e del futuro della veterana dei mass media si è discusso al meeting di Radio e Reti, storica concessionaria di pubblicità radiofonica, che si è aperto oggi a Venezia alla presenza dei principali operatori del mondo della pubblicità e a numerosi editori radiofonici nazionali e regionali.
La crescita del pubblico della radio in questi due decenni è andata di pari passo con l’incremento degli investimenti pubblicitari sul mezzo: dai 94 miliardi di lire del 1988 ai circa 500 milioni di euro previsti per l’anno in corso, la quota è passata da 1,7% del 1988 al 7% del 2008.
Le 700 radio rilevate da Audiradio nel 1988 sono scese alle circa 300 attuali.
“Il mercato della radio in questi venti anni, per effetto di acquisizioni e accorpamenti, si è semplificato in termini quantitativi ma è cresciuto dal punto di vista qualitativo e la crescita dell’ascolto globale del mezzo ne è la dimostrazione. Quella che era considerato un mezzo in via di estinzione a causa dell’esplosione della tivù privata si è invece rivelato il mezzo più dinamico e innovativo del sistema dei media. La novità dei prossimi anni si chiamerà radio.”, ha detto aprendo i lavori Enzo Campione, presidente di Radio e Reti.
A indagare sui motivi del successo della radio sono stati chiamati filosofi, musicisti, matematici e sociologi.
Coordinati da Claudio Sabelli Fioretti hanno discusso di radio il matematico Piergiorgio Odifreddi che, dopo aver raccontato i suoi esordi nel 1975 a Radio Cuneo Democratica come conduttore di un programma di free jazz, ha spiegato come in FM si possa fare anche divulgazione scientifica. “ A patto però che il ragionamento non si debba interrompere continuamente per trasmettere la musica”., ha precisato.
“Musica e ancora musica”, chiede invece alla radio Max Gazzè, musicista e compositore, che con il brano Il solito sesso, presentato a Festival di Sanremo, ha totalizzato il maggior numero di presenze radiofoniche negli ultimi mesi.
“Per un musicista la radio non è solo uno strumento di promozione del proprio lavoro ma è anche un indispensabile strumento di indagine su quello che altri artisti stanno facendo. A differenza di Odifreddi che vorrebbe una radio di sole parole io vorrei una radio di sola musica.”
La discussione non è stata solo sui modelli editoriali che si contrappongono nell’etere - radio di parola contro radio musicale - ma piuttosto sul ruolo della radio in un mondo della comunicazione che sembra ormai convergere non più sul computer, come si credeva fino a pochi anni fa, ma sul telefonino.
Maurizio Ferraris, docente di filosofia teoretica all’Università di Torino, autore del saggio “Dove sei? Ontologia del telefonino”, ha spiegato come tutte le forme di comunicazione, pubblica e privata, stiano convergendo verso i cellulari (50 milioni di esemplari nella sola Italia) che sono diventati, da strumento di comunicazione personale, uno strumento elettronico in cui si raccoglie il nostro essere sociale e la nostra identità individuale e collettiva.
“La radio indiscutibilmente sta vivendo una seconda vita”, ha concluso il sociologo Francesco Morace, presidente del Future Concept Lab, centro di studio sulle tendenze di consumo e sociali, “perché per la sua stessa natura lavora per affinità con il pubblico. Si ascolta una radio e ci si riconosce in essa per affinità di stili di vita, di gusti musicali. Questa adesione diventa fondamentale per orientarsi nel labirinto di informazioni e di emozioni che ci circonda quotidianamente. La radio ha una ‘buona reputazione’ e questo le ha consentito di guadagnare consenso più di altri media.

20 dicembre 2007

DMB, DAB+ e altre strade per il futuro della radio

Mike Barraclough è intervenuto sul riflettore del British DX Club per rispondere a un altro iscritto che chiedeva lumi sulle differenze tra DAB e DMB. Nella sua risposta Mike cita un altro Mike, l'amico Mullane, che sul suo Multimedia meets radio svolge diversi ragionamenti sui motivi che hanno spinto i regolatori francesi a optare pesantemente per il DMB. Ecco qualche brano del suo post (4 dicembre) intitolato Re-thinking radio's digital future:

British consumers have bought six million DAB radios because they want to listen to services which are not available on either AM or FM. It is a familiar argument and one that has become the mantra of countless analysts, consultants, broadcasters, regulators and journalists.
I have spread the same message through conference speeches, articles, e-mails and blog posts. But now we are all being asked to think again, as France questions whether listeners really do want more choice.
Although DMB audio is less efficient than DAB+, this is only a problem if your objective is to extend choice. But the GRN believes that French listeners are already well served.

"Significantly increased programme offering is not a strong consumer demand," says Radio France's Sylvain Anichini. "In France, there is already a very diverse offering in most places."
"The GRN is plumping for T-DMB, rather than DAB+, because its members believe that multimedia services will play an important part in the future of radio. Unless radio becomes interactive and adds pictures, they say, it will die a slow, but inevitable death.
"Digital radio cannot only be digital sound - it needs to have the right functionalities to compete with other digital offerings," says Anichini. These include a screen, rich data, synchronization between data and sound and high audio quality."
Insomma, la scelta francese del DMB potrebbe essere inquadrata in una ottica precisa: quella improntata a un generale pessimismo sui potenziali della radiofonia, giudicata incapace di resistere alle lusinghe della crossmedialità. In questa ottica il DAB+ è digitale ma troppo "radiofonico". L'unica scelta possibile è andare in direzione del DMB, che supporta nativamente il trasporto di contenuti di tv mobile e visual radio.
Alcune cose scritte da Mike sono state riprese da James Cridland, capo dei Future media and technology della BBC (a proposito, già che abbiamo parlato del nuovo portale Web della BBCvolete dei bei retroscena high-tech del lavoro di questa divisione? Andate a leggervi il blog dei Radiolabs dovrebbe essere una lettura obbligatoria per chi è assunto a RAI.net). Secondo Cridland le affermazioni di Mullane sarebbero scorrette là dove l'esperto mediatico scrive che:

"If you build a network capable of transmitting DMB audio, it is easy to convert it to deliver DMB video. However, if you build a DAB+ network, there is no migration path to the brave new world of multimedia services."

Wrong. 100% wrong. Both DMB and DAB+ (and DAB, for that matter) use the same network. No, there’s no difference in the transmitters or frequencies at all. If you wanted to, you could broadcast DMB, DAB+ and DAB in the same multiplex, using the same transmitter. Far from being “no migration path”, the migration path is built-in: because it’s the same thing. A DMB receiver would pick up all DMB, DAB+ and DAB transmissions - indeed, I’ve got one, which I’ve used successfully to pick up DMB and DAB transmissions. That’s it up there - picking up a DMB channel in Munich. And follow this link to see the same radio picking up DAB radio, in Norway. With multimedia content, dare I say.
Mike then goes on:

"But perhaps the French are the ones who are seeing furthest into the future. … Different choices - T-DMB or DAB+ - may be appropriate in different countries."

Again, the opposite really ought to be true. “Standards” are there for a good reason - to standardise the way we do things, and benefit from globalisation. Arguably, the lack of a common standard has harmed DAB. The “oooh, but DAB+ is just around the corner, shouldn’t we just wait?” countries are procrastinators. The DRM Radio people are confusing the world yet further, with another competing technology. And then, there’s iBiquity’s HD Radio, which adds further complication (and there’s a broadcaster in Switzerland using HD Radio, incidentally). Will we ever get a digital radio into a mobile phone (built for a global market) or a car (built for a global market) when there’s all this local complication?
Putting aside the DAB+/DAB argument for a minute (it’s highly likely that new radios next year will be upgradeable anyway), the last thing that France needs is a ‘new’ digital radio technology; and, confusingly, audio-only DMB broadcasting is not even in the DMB specification, so not only will they be broadcasting something for which they’ll have no receivers, they’ll also be broadcasting out of spec audio, which is a little odd. Nick Piggott raises another point - “DMB Audio” means that cheap radios (the most important consumer driver is price) will be virtually impossible to build.
Different choices may be appropriate in different continents. But frankly, we need a European-wide solution to digital radio broadcasting - and a relevant broadcasting body to advise broadcasters and countries on the best option. France’s bizarre audio-DMB plan is madness: Mike Mullane’s assertions are curiously wrong. Which is a shame, because the last I saw him, he was buying me a beer at the top of a hotel in Singapore, so he can’t be that mad really.

Ho incontrato Mike Mullane di sfuggita a Verona (chissà che non ci si incroci anche a Singapore uno di questi giorni) e non mi è sembrato certo matto. Forse le sue osservazioni sul DMB sono anche in parte condizionate dalla sua appartenenza a un organismo europeo come l'EBU. In ogni caso il punto è un altro e riguarda le motivazioni che avrebbero spinto la Francia a puntare tutto sul DMB Audio e magari anche quelle che sembrano (sembravano?) aver influito sulla sperimentazione del DMB da parte di RAIWay. Davvero molto interessanti sono le osservazioni di un terzo blogger autorevole, Nick Piggott citate da Cridland. Piggott sposta il piano della discussione sull'economia di scala. Proprio a causa dell'overhead video,costruirre un radiolina digitale molto economica, diciamo sotto i 50 euro, sarebbe molto problematico con sistemi come il DMB o il DVB-H.

Meanwhile, over in France, a decision is being made to transmit radio using a variation of the DMB Mobile TV specification called “DMB Audio“, rather than the existing DAB or DAB+ specifications. DMB Audio is the DMB TV specification “adapted” to remove the requirement to transmit a video component, working on the assumption that (TV - Audio) = Radio. Despite the fact that no other country is showing any interest in this Frankenstein technology (c.f. SECAM), and that it delivers a lousy radio experience, there is one compelling reason to reject it (and MBMS and DVB-H) for radio transmission, and it’s one that everyone seems to have overlooked.
Try building a £30 / €50 kitchen radio for MBMS, DMB Audio or DVB-H.
Whilst these technologies can transmit audio, they’re primarily designed to transmit video and phone calls and a whole load of other things which dramatically raise the lowest point of entry to the technology. That means you simply can’t build a cheap and simple radio that will shift in its millions, and critically, can sell at a reasonable price without a subsidy or a contract. DMB-T is interesting because it was an extension of a simple technology to do a more complicated job. “DMB Audio” is the worst idea ever because it’s a complicated technology only using a portion of its capabilities.
It’s true that most modern digital broadcast systems can carry audio services. But that doesn’t mean they’re good technologies to transmit radio to the population as a whole, technologies that can span cheap radios in kitchens through to fully integrated multi-media receivers in mobile phones.
Mi piacerebbe molto capire che cosa ne pensa di tutto questo un altro amico, Mauro Fantin, di Visionee. Esisterebbe davvero una barriera di prezzo così sfavorevole alle ipotesi di adozione del DMB "solo audio"? Se esiste, forse sarebbero da ripensare davvero le scelte sul futuro digitale della radio. Se non esiste, forse è il caso di cominciare a costruirle le famose radioline. Resta però la grande questione di fondo di una radio che così com'è sembra piacere sempre meno, anche nelle sue vesti digitali. La radio secondo voi avrebbe davvero un futuro obbligato di contaminazione mediatica "forte"? Non mi riferisco al connubio radio e Web, quello funziona e non snatura nessuno dei due mezzi. Ma che dire di fenomeni come la visual radio? O della radio che assomiglia talmente tanto alla tv che ancora un po' mi addormento?

27 maggio 2007

La radiofonia italiana tra norme e innovazione

All'indirizzo di Radiopassioni arrivano a volte quesiti di carattere squisitamente tecnico normativo. Come si apre una stazione? A chi devo chiedere le autorizzazioni? Posso aprire una stazione in onde medie? Come si fa a entrare in un multiplex DAB? Io non sono un giurista e conosco gli assetti della radiofonia in altre nazioni molto meglio (comunque poco) di quanto non conosca la situazione italiana. Così mi sono rivolto a un autentico esperto in materia, Massimo Lualdi, di Consultmedia. Con Massimo abbiamo trascorso un paio d'ore in una full immersion radiogiuridica che ha fugato molti dei miei dubbi. Con l'aiuto e il beneplacito dell'intervistato ho verbalizzato la nostra conversazione e la metto a disposizione dei miei lettori. E' una intervista/FAQ sulle leggi vigenti in materia di radiofonia e sulle procedure di attivazione ed esercizio di un impianto radiotelevisivo. Ma i temi affrontati sono anche tecnologici e sociologici, e riguardano il futuro del mezzo radiofonico nella sua fase di evoluzione e convergenza verso il digitale. Insomma, spero sia una lettura interessante.
Potete prelevarlo a questo indirizzo. Quella che segue è l'introduzione.

«Come molti operatori del settore radiotelevisivo - che ancora oggi frequenta in veste di consulente in materie giuridiche ed amministrative - Massimo Lualdi ha fatto la sua brava gavetta, iniziando giovanissimo dietro le quinte di una radio privata da lui fondata, nel 1982, insieme al classico gruppetto di amici e compagni di scuola. NBC, questo il nome della stazione, trasmetteva da Nerviano (nel nord ovest della provincia di Milano) Ed egli - com’era scritto nell’unica regola del gioco di allora - doveva (come gli altri, del resto) occuparsi di tutto. Quando i genitori dei fondatori cominciarono a sospettare che la radio distraesse i ragazzi dagli studi superiori, NBC fu ceduta (1986) ad un commercialista nervianese. Lualdi, tuttavia, avrebbe continuato a collaborare durante gli studi universitari, mentre la stazione passava di mano ancora (1989, 1992 e 1994) fino all’attuale titolare, con denominazione Radio Planet.
In quel momento, Lualdi intravide una nuova finestra di opportunità in un mercato che nel frattempo si era consolidato e aveva assistito a una svolta determinante: da un regime di pressoché totale anarchia normativa si era passati a una fase che egli chiama di “ultraregolamentazione”, nella quale gli editori radiofonici si sono trovati obbligati a dialogare con professionisti delle varie branche che faticavano a comprendersi l’uno con l’altro, rimanendovi schiacciati.
La struttura di competenze a più livelli Consultmedia, da lui fondata, è sorta (nel 1996) nell’ambito di una società di capitali cui fa riferimento anche il periodico telematico Newsline [www.newslinet.it]. Essa affianca l’editore radiotelevisivo e i suoi eventuali uffici legali, tecnici e amministrativi (quando addirittura non assume essa stessa tali ruoli) in un ruolo di interfaccia e cuscinetto tra le diverse sollecitazioni normative - a volte contraddittorie, rileva lo stesso Lualdi - che rendono così particolare il mercato dell’emittenza privata in Italia.
Ho chiesto di incontrare Massimo per una chiacchierata a ruota libera su queste problematiche e per avere una serie di risposte a quesiti che spesso mi giungono nella conduzione del mio blog Radiopassioni.
Ecco la trascrizione di questo proficuo e interessantissimo incontro, a partire dal punto in cui Lualdi ha concluso la sua carriera di radiofonico e iniziato quella di consulente.»